14 novembre, Brasile: un'altra Amazzonia e un altro Mondo sono già in marcia.

Redazionali Ondarossa - Friday, November 14, 2025
da Belém Durata 16m 51s

Siamo a Belém, in Brasile, dove in questi giorni si tiene la COP30 e, parallelamente, la Cúpula dos Povos, lo spazio autonomo in cui movimenti sociali, comunità indigene, popolazioni tradizionali e periferie si incontrano per discutere soluzioni reali e difendere i propri diritti di fronte alla crisi climatica e sociale. 

Questa mattina, 14 novembre, il popolo Munduruku del Movimento Ipereg Ayu ha bloccato l’ingresso della Blue Zone della COP30 chiedendo un incontro urgente con il presidente Lula. Hanno denunciato, tra le altre cose, che tre grandi fiumi — Madeira, Tocantins e Tapajós — sono stati inclusi nel Programma Nazionale di Privatizzazione, aprendo la strada allo sfruttamento privato tramite concessioni e aste.

“Il nostro fiume non è un’autostrada per la soia. La nostra foresta non è in vendita”, hanno dichiarato.

Le loro richieste sono precise: revoca del decreto 12.600/2025 (privatizzazione fiumi), cancellazione della ferrovia Ferrogrão, stop ai progetti imposti senza consultazione previa, demarcazione immediata dei territori e fine dei crediti di carbonio e dei progetti REDD+ calati dall’alto.

Dopo un'ora di picchetto esterno il presidente della COP30, André Corrêa do Lago, è uscito a parlare con loro, lasciandoli poi entrare.

Ci sembra evidente che mentre dentro si negozia seduti a tavolini che ignorano la realtà dei territori, i popoli hanno iniziato a muoversi, in difesa della vita e dei territori con azioni dirette e coraggiose. Un’altra Amazzonia e un altro mondo non solo sono possibili: sono già in marcia.

Domani si terrà la Marcia Globale per il Clima. Da Belém a Roma tracciamo un filo unico per restare uniti, per globalizzare la lotta e la speranza, per riprenderci i nostri territori.

Chiudiamo con la forza e la potenza delle parole di Lourdes Huanca, presidente di FEMUCARINA (Federacion Nacional de Mujeres Campesinas, Artesanas, Indigenas Nativas, Salariadas de Perù) e leader contadina indigena del Perù.

Lourdes Huanca enuncia l’ipocrisia dei discorsi globali sul cambiamento climatico. Sottolinea che ai popoli indigeni viene chiesto di “adattarsi” ai danni provocati da altri, mentre loro custodiscono la Terra da generazioni grazie ai propri saperi ancestrali, come l’uso di fertilizzanti organici e pratiche agricole sostenibili.


Critica le negoziazioni climatiche come la COP 30, che considera piene di parole e prive di soluzioni reali, e chiede che i governi riconoscano che i popoli indigeni non sono una minaccia ma parte essenziale della soluzione per il futuro del pianeta.

Racconta anche la repressione politica che colpisce chi difende la Pachamama e le culture indigene, evidenziando la crisi in Perù e la mancanza di dialogo con le istituzioni.
Rivendica l’intelligenza, la resistenza e la saggezza delle donne indigene, spesso considerate “ignoranti” solo perché molte non sono andate a scuola.

Dice che la loro università è la vita, e che le loro lotte per difendere il territorio equivalgono a una laurea o un dottorato. Contesta l’idea che siano “poverine”: sono rese povere da decisioni ingiuste prese da degli ingrati, ma sono ricchissime di conoscenza e cultura.