Perché la musica dei più giovani sta rallentando? Un fenomeno che apre anche a nuovi immaginari educativi

Pedagogia hip-hop / Davide Fant Blog - Saturday, September 18, 2021

Questo articolo è stato pubblicato originariamente sulla bella rivista digitale delle amiche dell’Unità di Strada InFo.Pusher di Forlì.

(la prima parte è un pò da nerd musicale, concedetemelo…)

Prendere un brano e rallentarlo

Pochi sanno che tra le diverse influenze che hanno dato origine allo stile musicale della trap si annovera la strana abitudine di un dj di Houston, noto come DJ Screw, di suonare celebri dischi hip-hop a velocità rallentata. Con questa pratica, battezzata chopped e screwed, creava un particolare effetto di straniamento, e aveva raggiunto una certa popolarità.

Oggi qualcosa di simile sta avendo molto successo in rete: sempre più giovani si dedicano al cosiddetto slowed n reverb, pratica in cui si rallentano brani musicali – di qualsiasi genere, non solo hip-hop – aggiungendo però anche un riverbero che rende l’effetto «bolla» ancora più forte, generando una particolare atmosfera ovattata.
Cercando su youtube non è difficile imbattersi in centinaia di questi esperimenti, a cui chiunque può contribuire senza neanche rudimenti di editing musicale: c’è un comodo servizio web che lo fa per voi, il link trovate qui. Basta scegliere il brano a cui si vuole operare questo «hack», inserirlo nel portale, e sorprendersi del risultato: se è un pezzo energetico e danzereccio sembrerà posseduto dagli spiriti (Ghosts of my life…?!), se invece l’originale possiede già un’atmosfera soffusa (Lana del Rey? Billie Eilish?) il trip è assicurato. Come copertina si può utilizzare, come fanno in molti, un’immagine malinconica presa dal mondo dell’animazione giapponese.

Atmosfere low-fi per rilassarsi e riflettere

Il connubio tra musica d’atmosfera e immaginario anime raggiunge però il suo apice in un altro genere di grande successo oggi, il cosiddetto low-fi hip-hop, si tratta di brani musicali con la cadenza hip-hop ma solo strumentali, senza il rap, pezzi rilassanti basati su influenze jazz o ambient. Sempre su youtube si trovano diverse webradio che elargiscono selezioni 24 ore su 24 di quella che definiscono «musica per rilassarsi e per studiare….». A giudicare dal numero di ascolti, e dall’esperienza diretta, si tratta di un fenomeno in continua espansione.

il rap-confidenza

Più underground, ma non meno interessante, è quella variante “rappata” del lo-fi hip-hop caratterizzato, oltre che dalla cadenza iper-rallentata, dall’utilizzo minimale, talvolta la scomparsa, della batteria. Vi sareste mai immaginati interi album hip-hop senza un colpo di batteria? Andate and ascoltarvi l’ultimo lavoro di Ka per averne un esempio. Rappers dai nomi sconosciuti ai più (mike, mavi, navy blue…), ma che hanno sempre più seguito nell’underground, su loop che creano stranianti atmosfere, snocciolano le proprie rime affrontando intime riflessioni personali e temi sociali, dall’ansia al razzismo. Il mood è quello di una confidenza ad un amico intimo, o di un pensiero riflessivo che si fa parola, che si fa voce bassa e profonda.

L’emo-trap: il battito lento che accompagna le parole del nuovo disagio

Ma l’elenco della musica di tendenza che si fonda su tempi «al rallentatore» non finisce qui, non possiamo non citare la emo-trap, che riprende, a modo suo, temi nichilsti e disillusi che in passato sono stati patrimonio, in anche molto differente, di gruppi come i Joy Division, Nirvana o Slipknot (so che l’accostamento farà storcere il naso a più di uno). La struttura ritmica è quella della trap, su cui però troviamo chitarre e voci che ricordano molto il grunge, ovviamente radicalmente rallentate, come se Kurt e soci si fossero ingurgitati una extra-dose di Xanax. Non a caso Xanax e marjuana sono le sostanze più citate in questi testi, utilizzate non per ricercare «vite spericolate» ma, coerentemente, come ansiolitici. Lil Peep e XXXTentacion sono gli artisti più rappresentativi di questa corrente, anzi lo erano, dato che entrambi ci hanno lasciato prima di compiere 21 anni.

L’urgenza di respirare

In principio era il rock, i giovani prendevano le distanze dai genitori alzando la velocità. Accelerare era sinonimo di trasgressione, di futuro, di cool (pensiamo al tormentone di Adriano Celentano per cui il mondo è diviso tra rock (il nuovo, vitale) e lento (il vecchio, mortifero). E nella seconda metà del secolo scorso l’accelerazione è sempre aumentata: l’hard rock, l’heavy metal, il punk, l’hardcore, e poi la techno, la jungle e la drum n bass; i bpm (battiti per minuto) continuavano a salire in parallelo con i ritmi della società che lasciavano sempre più senza fiato.

Negli anni ’70 punk ricercava l’ «anima di chi suona» attraverso il rifiuto di ogni tecnicismo, accelerando i riff e alzando la voce che si faceva urlo; oggi invece, nel mondo di Netflix, del binge watching, dello scrolling infinito sui social network, del perpetuo rumore di fondo, della continua richiesta di accelerare ed essere performanti, l’anima i più giovani la ri-cercano nella bassa fedeltà, nelle voci calde e lentamente cadenzate. In opposizione ad un mito del progresso che mostra sempre di più le sue crepe, si impongono ritmi e atmosfere in cui si possono perdere i sensi (la condizione di biancore raccontata da Le Breton, o meglio il «Numb» dei Linkin Park) ma anche, al contrario, riconquistarli; esperienze meditative, in cui si torna a respirare, a riprendere un contatto con sé stessi e con il mondo, e immaginarne uno migliore.

Un conflitto all’altezza dei tempi che viviamo

Logorati (ma non emancipati) dalle raffiche di input del digitale più veloci di quanto si possano rielaborare, i più giovani cercano spazi in controtendenza, in cui la velocità dell’esperienza si riallinea con quella dell’organismo, perché solo così si può sopravvivere.

Si tratta di un fenomeno ancora non sufficientemente tematizzato, e non esente da ambivalenze, ma forse stiamo assistendo a nuove modalità di resistenza da non sottovalutare. Emergono nuovi spazi conflittuali che possono divenire molto importanti in futuro.

Nuove questioni educative

Queste riflessioni possiamo recepirle come curiosità, o come fenomeni interessanti dal punto di vista sociologico, però possiamo anche dargli una particolare attenzione come elementi che possono interrogare il modo in cui conduciamo il nostro lavoro.
Noi, nel campo educativo, della formazione e della cura, come ci posizioniamo rispetto a tutto ciò? Averne consapevolezza può influire sulle nostre pratiche?

Possiamo ad esempio chiederci come intercettiamo queste nuove sensibilità, a che velocità e in che quantità elargiamo i nostri input, quali «spazi rallentati e di intensità», di cui questi ragazzi hanno così urgenza, possiamo allestire con loro.
Siamo in grado (anche nel nostro lavoro on line) di creare setting raccolti, zone franche in cui l’incontro, la confidenza, il silenzio anche, può trovare il suo spazio, oppure anche noi siamo complici (e vittime) del vortice? Quali «hack» possiamo mettere in campo per rallentare gli stimoli, «stare» e tessere senso?
Probabilmente, spinti dalla retorica della «ripartenza», la partita si giocherà sempre più su questo piano: pensiamo solo ai discorsi sulla scuola, in cui la preoccupazione maggiore sembra essere «recuperare il tempo perduto», che non potrà che alimentare nuovo abbandono.
Non è una sfida facile, ma riflettiamoci, e facciamoci trovare pronti.

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