> La vera via passa per una corda che non è tesa in alto, ma appena al di sopra
> del suolo. Sembra destinata a far inciampare più che a essere percorsa.
>
> Franz Kafka
> Non intendo dire mai più che ho finito un’opera: tutto è opera.
>
> Ludwig Hohl
Il Nuovo Mondo
Come ha potuto, Francesco Toris, chiuso nel manicomio di Collegno, scolpire dal
1899 al 1904 il Nuovo Mondo – quell’opera indefinita, portale o soglia che sia?
La storia ci racconta che salvava, da ogni pasto, frugando nella spazzatura,
ossa e ossicine, sue e altrui, e poi le levigava a lungo, per ore, a notte
fonda. La scultura è un portale: devi subirlo, esserne ipnotizzato, lo varchi
mentre lo vedi. L’equilibrio delle ossa assemblate insieme e sempre in
equilibrio, benché non siano stati usati né chiodi né colla, è un mistero non
risolvibile. Puoi descrivere le figure diaboliche che appaiono, puoi
descriverle, sì, ma a ogni sguardo non sono mai uguali.
È la vittoria di un vinto che non tace ma continua a scolpire, senza sapere in
che direzione andrà.
La psiche è dissolta in deliri, chissà quali, ma la scultura, a un secolo di
distanza, dritta come un totem, equilibrata e perfetta. Cinque anni di lavoro,
iniziati tre secoli fa. La scultura. Il portale. Le figure. Gli animali. Gli
idoli. Quelle ossa non tacciono come reliquie ma dicono, dicono sempre, in un
bisbiglio accorato, allucinatorio. Per Toris sarebbe anormale guardare il
celeste paesaggio di un lago e non le ossa appena levigate nell’atto segreto
della scultura.
Nessuno insegnava a Toris come e cosa fare. Nessuno gli insegnò a scolpire o a
disegnare. Inventò tutto da solo, come accade spesso, per chi è fuori di mente e
non sopporta le infelicità della ragioni. E, se l’opera non si è scomposta e
frantumata per oltre un secolo, lo dobbiamo a qualche genio segreto che, dalle
tenebre, inventa le architetture, a qualche equilibrio demonico.
Noi non vediamo un libro di pietra scavato nel muro di un manicomio come quello
di Fernando Nannetti, ma un portale, una soglia, fatta solo di ossa e che, come
la favola di un idiota, non significa nulla. Significa solo se stessa. Manca a
Toris una popolazione, minuscola e sterminata, che abiti la sua piccola e
immensa opera. Il mistero della sua scultura non è che sia esoterica o mistica o
paranoica: è nel fatto che il materiale che la compone provenga solo dalle ossa
dei pasti di tutti i pazzi del manicomio, giorno dopo giorno, pulite, affilate,
levigate fino formare uno scheletro nuovo, fatto con il resto dei pasti: quello
scheletro è le fondamenta del Mondo Nuovo, le voci segrete da cui lo scultore
reclama resurrezioni. E se Toris volesse, con le ossa che salva dall’immondizia,
narrare di un Invisibile che è necessario custodire nel visibile?
Quando scoprì che ella sua scultura si parlava pubblicamente, Toris si offese
con lo psichiatra che aveva svelato il suo nome e la sua opera, urlò, smise di
parlargli, cessò di scolpire.
Il “Nuovo Mondo” di Francesco Toris
*
Ritrovare le strade
L’artista vaga nei suoi personali deserti. Prende fogli per tracciare segni
disegnare parole e fogli per disegnare parole: ne nasce una scrittura
involontaria, elastica, poetica, un frammentario diario di bordo, un disforme
appunto di viaggio.
L’arte è sempre miniera di un pensiero eretico, complesso, che feconda strade
nuove e rifiuta facili soluzioni scegliendo le anomale bellezze della
complessità.Ogni artista, dal celebre Mirò al segreto Nedjar, lavora a un suo
libro favoloso e interminabile che incide nel segreto della mente, nella
superficie della tela, nelle pagine del libro, nei muri del manicomio, per
provare la massima gioia dalla sua capricciosa o aspra bellezza. Ha ragione
Artaud (che ha infittito di disegni demonici e glossolalie le pagine dei suoi
interminabili taccuini, l’ultimo finisce con la parola “etcetera”), quando, nel
suo Van Gogh. Il suicidato della società, enuncia questo semplice auspicio:
«Che la vita diventi un giorno bella quanto una semplice tela di Van Gogh e per
me basterà. Non penso si possa avere niente di più da augurarsi».
La follia di Vincent è il seme di una diversità inarrestabile e felice, dove
segni nomadi e parole in cammino ci faranno sempre perdere la strada per
ritrovare le strade.
*
Il comune principio di creazione
«Nessuna scultura ne detronizza un’altra. Una scultura non è un oggetto, è un
interrogativo, un problema, una risposta. Non può essere né finita né perfetta.
La questione non si pone nemmeno. Per Michelangelo, con la Pietà Rondanini, la
sua ultima scultura, ricomincia tutto. E per mille anni Michelangelo avrebbe
potuto continuare a scolpire delle Pietà senza ripetersi, senza tornare
indietro, senza finire nulla, andando sempre più lontano. E anche Rodin».
Giacometti ha un bisogno compulsivo di parlare della sua arte. La parola gli
serve da monologo per rinforzare le sue idee, come conversazione a voce alta in
cui definire e ri-definire una immensa incertezza. Scritture, appunti,
interviste: la sua “opera aperta”, una grande cassa di risonanza dove non c’è
una prima o un’ultima parola, ma tutte le parole sono come i Giganti incompiuti
di Michelangelo: si ripetono all’infinito. L’artista ha due o tre idee, e ripete
quelle per sempre. E, in un processo reversibile di metamorfosi, anche lo
scrittore può avere bisognodell’artista, come l’artista dello
scrittore. La ribellione è il comune principio di creazione : tracciare una
seconda linea, mettere in discussione la prima senza cancellarla, in
un palinsesto di sensi e di suoni che forse è davvero un Nuovo Mondo.
*
I Regni dell’Irreale
Henry Darger inizia il suo diario-libro occultandosi al mondo e cominciando
prima a scrivere, poi a disegnare. Dedica centinaia di pagine alla descrizione
puntigliosa dei tormenti e delle uccisioni di bambini e bambine strangolati,
impiccati, decapitati, smembrati, arsi vivi, crocefissi, sventrati.
Lavapiatti in un ospedale, cattolico fervente e praticante (onora la messa alle
sei di ogni mattina), vive in una casa stretta, poco lontana dalla foce
maleodorante di un fiume. Quando di giorno lava i pavimenti imbrattati, lo
chiamano «idiota» ma lui tace. Da sessant’anni scrive e dipinge bambini e
bambine nelle sue quindicimila pagine dedicate ai Regni Irreali. Nel suo libro
traccia le cronache sia dei bimbi massacrati sia delle loro improvvise
resurrezioni in campi fioriti. Tutto si compie nelle grandi pagine del suo
libro, a notte alta. Lì tutto muore e rinasce. Dio non esiste a caso. Lui lo
prega tutti i giorni. Scruta la carta bianca con pietà, perché fra qualche ora
sarà colma dei cadaveri che disegnerà, e delle minuziose parole di pietà con cui
descriverà ogni dettaglio.
Un’opera di Henry Darger
Le oltre diecimila pagine di Nei Regni dell’irreale intimoriscono il
lettore/spettatore. Henri dipinge con imperscrutabile gentilezza e ogni ragazza
uccisa nella carta è destinata a risorgere. Darger addensa la carta di immagini
fittissime (riproduzioni e disegni), si concentra sul soggetto della percezione
rappresentandolo in tutta la sua interezza, reale e irreale, come sul punto di
esplodere, un attimo prima della morte. Nel suo scantinato di custode-voyeur,
dove lascerà inedite le quindicimila pagine del suo libro, scritto e dipinto,
Darger pensa alle oscure maree del fiume Hudson, ove l’acqua è un’immagine
rifranta e minacciosa che sprigiona migliaia di apparenze, scompone i riflessi,
increspa, agita, è flusso che trascina, portando verso l’evanescenza. Il
solitario custode, che morrà ottantunenne, consuma il suo mondo in una
pittura-parola frastagliata e ininterrotta, piena di fogli disegnati e scritti.
Potrebbe uccidere, le vittime che disegna. Ma dopo? Il finale previsto.
L’irruzione della polizia, la rimozione dei cadaveri, l’incarcerazione
dell’assassino, la fine dell’enigma, le pareti di una cella. A cosa serve
disseppellire il brutale desiderio? A generare morti crudeli, a determinare
l’ergastolo di un miserabile.
Da pittore di forme e di parole Henry può mostrare nei suoi fogli migliaia di
ragazze uccise e risorte nelle sue fantasie pittoriche, in un combattimento
mitico fra crudeli schiavisti e salvatori gentili. La fantasia delirante rende
lui non il miserabile assassino di ragazze che avrebbe potuto essere ma il
pittore-salvatore che mostra, dentro i suoi “Regni dell’irreale”, la realtà di
una psiche che si redime con le sagome dei fantasmi, che sempre risorgono, e non
con i cadaveri delle vittime. L’assassino si traduce e si tradisce nel pittore.
Tanti artisti, anche sani di mente, oltrepassano la superficie visibile per
cercare e trovare il Nuovo, Invisibile Mondo.
Marco Ercolani
*In copertina: Henry Darger, The Vivian girls nuded like child slaves, n.d.
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