"Qualche giorno fa, su LinkedIn, un recruiter dichiarava di scartare tutti i
candidati che non indicano competenze sull’intelligenza artificiale. Secondo
lui, chi oggi non sa usare (o non dichiara di usare) l’AI non è più
“occupabile”. Mi sono chiesto: cosa scriverei io, dopo trent’anni passati a
lavorare con le informazioni, a progettare conoscenza, senso, orientamento? Sono
forse meno competente solo perché non ho scritto “AI” nel curriculum? E allora
ho provato a rispondere. Non con uno slogan. Ma con un saggio. Un saggio che
parla di incertezza, di etica, di design cognitivo, di consapevolezza come forma
di libertà. Un saggio che collega filosofia, teoria dell’informazione,
architettura digitale e intelligenza artificiale. Perché non è l’AI che
definisce la competenza, ma la capacità di dare forma al sapere. Anche — e
soprattutto — quando è incerto.
Introduzione — Il valore euristico dell’incertezza
L’incertezza, lungi dall’essere un accidente della conoscenza, ne costituisce la
matrice originaria. Fin dalle prime speculazioni epistemologiche, dalla aporia
socratica alla sospensione del giudizio pirroniano, l’incertezza ha accompagnato
la riflessione umana come segno di vitalità del pensiero e non della sua
debolezza. In tempi più recenti, la filosofia della scienza ha sancito
definitivamente il primato del dubbio sull’assoluto, riconoscendo nella
fallibilità e nella revisione continua dei modelli conoscitivi l’unica via
percorribile per l’accesso alla verità, sempre provvisoria. In questo scenario,
l’informazione e le sue architetture assumono un ruolo cruciale, non tanto come
dispositivi di certezza, quanto come sistemi di orientamento nell’incertezza."
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