“Tra le mie mani nasce il deserto”. Leopoldo María Panero, l’hidalgo della beffa, il martire dell’erranza

Pangea - Friday, July 4, 2025

“Il manicomio, quel monastero psichico dove il muro che divide la medicina dalla religione si apre, e dove arrendersi alla degradazione”.

(J. Hillman, La vana fuga degli dèi)

È grazie ad una sollecita curatela, aliena dalle deadline-codice-a-barre degli editori convenzionali, del coraggioso samizdat Nessuno Editore di Antonio Curcetti, nella traduzione di Antonio Bux e arricchito di una testimonianza di Ianus Pravo, che il lettore italiano (esiste? o, reductio ad unum, si perita di scrivere soltanto?) può godere di una raccolta o, preferibile scelta lessicale, di un ingemmato ed inedito ‘poema’ – ‘poema’ sia detto e ciò basti, non per svogliatezza di traduttore ma poiché, come scrive Bux nella sua nota di gestazione, nella concezione paneriana del dire poesia non meno che nel far(si) poesia tutto l’opus del castigliano è un poema ininterrotto alla Éluard, tanto per tematiche, crimini commessi o presunti ed ossessioni quanto per circolarità del verso del poeta madrileno, repubblicano, alcolista, dalla sessualità feroce e promiscua. Un vademecum per l’internamento nella Spagna franchista. 

La raccolta si apre con un epitaffio che è distillato di provocazione: All’Esercito Popolare Repubblicano e di verso in verso de-costruisce i miti fondanti della Monarchia iberica, Patria e Religione:

“Un giorno le mosche mangeranno dalla mia mano
e umiliato io sarò solo uno spettro da marciapiede.”

(Edgar Allan Poe, o il volto del fascismo)

o ancora: 

“(…) il nulla,
un’entità che fatalmente rompe
con l’amore e la vita, chiede un’ascesa,
per questo una croce negli occhi
e uno scorpione sul fallo raffigurano il poeta
tra le braccia del nulla, del nulla rigonfio,
quando dice che neanche Dio è superiore al poema.”

(Quello che Stéphane Mallarmé volle dire nelle sue poesie)

o ancora: 

“(…) e tra le mie mani nasce il deserto,
la paura tra i miei occhi è Gesù Cristo
come una stella che giace nel nulla.”

(Nascita di Gesù)

In Panero coincide la profezia di Tiresia (la follia distorce lo spazio-tempo dell’umanità meccanica) non meno che il furore anticattolico in un qui ed ora dove la religione non può che farsi pre-colombiana o non essere:

“E il mondo dice, Dio non esiste
è immaginare il Papa
mentre gli atei piangono,
piangono la sua bellezza perduta,
e Dio non esiste più,
sta piangendo all’Inferno.
È tutta qui la statua del nulla.”

(La monaca atea)

Panero è il più nobile e decaduto rappresentante della vita per l’arte e dell’arte per e nella vita degli ultimi decenni di poesia europea. La sua vicenda biografica non può in alcun modo essere disgiunta dai suoi scritti tale è la compenetrazione, la trasfusione che sanguina sulla pagina. Non vi è nulla in Panero che non appaia necessario e fatale, pur nella sua attitudine picaresca che si burla della tradizione ‘alta’ (siamo tutti figli di Cervantes quando incontriamo un mulino a vento) del cavaliere errante; proprio il tòpos del cavaliere armato o goffeggiante è ricorrente nei versi del poeta di Madrid come incessanti sono i richiami alla crassa materia che ci fece nati “a viver come bruti”: escrementi, sperma, urina sono elementi organici su cui Panero indugia non (solo) per il compiacimento d’un maledettismo ducassiano/laforguiano che lo de-finisce ma per l’autenticità della sua visione. Se pretendiamo di cantare, novelli Blake, l’Innocenza non possiamo esimerci dal menzionare la merda dalla quale nasciamo e nella quale finiremo:

“(…) guarda, uomo caduto, guarda il mattino
che di nuovo si solleva per continuare la tortura,
anche quando la tua anima che sa d’escremento
finge d’essere una rosa e la vita
tra le pareti crudeli di questa camera,
uguali alla cella di un condannato a morte
e coi giorni che rinnovano la sentenza,
ti fa dire: appartieni all’uomo o al nulla?”

(Apparizione)

o ancora: 

“(…) vivere voglio, assediato da nessuno
e con un marchio di merda sulla fronte.”

(Tangeri)

Panero possiede gli occhi del visionario, del folle in Cristo direbbero i russi, ma la cifra che esprime è sovente giullaresca, donchisciottesca appunto, con aperture all’osceno dissacratorio – quello di Bataille, di Genet e di Buñuel – e imbardate di macabra goticità: 

“Io sono solo un maiale che invoca la protezione del silenzio.”

(***)

e tuttavia, del folle conserva la saturnina meraviglia dinnanzi al mondo, chiave che schiude paradisi d’infanzie a colui che sa udire il pianto dell’alba:

“Il rito della morte chiama a sé la vita
e Dio si nasconde tra le mie cosce
e i miei genitori chiedono perdono per avermi consegnato
nudo agli uomini nella pianura buia.”

(Regalo di un uomo)

Lettore onnivoro, enciclopedico, nato poeta in una famiglia di poeti e tocchi, Panero è muscolare nella sua espressione della violenza e soave nella sua lunare melanconia, fabbro di schegge di esistenzialismo selvaggio e di chirurgica precisione nell’oltraggio. Il suo senhal è il ‘Nulla’: 

“(…) il fiore che cercavamo nel poema
significava la tomba.”

(Segreti del poema)

Da ultimo, alcune considerazioni sull’operazione editoriale: la versione di Bux, colata di cemento a fondare la travatura del ‘poema’, è sorretta dall’intervento a posteriori di riletture tentacolari ad opera di castigliani madre-lingua che traducono senza tradire l’argot paneriano, quel vomitare analogie del gergo carcerario e/o psichiatrico che nella piena euforica buxiana sarebbero andati irrimediabilmente smarriti. L’apparato di note è adeguato e corrobora i passi incerti di chi scelga di avventurarsi lungo i supplizi di Panero.

Come per la raccolta di Kinski (Febbre. Diario di un lebbroso), la passione e l’urgenza rapace di Curcetti meriterebbero platee strepitanti e non semi-clandestine. Meglio essere pubblicato in Unione Sovietica come clandestino, avrebbe detto Limonov, che adorato da traditore ed esule come Brodskij? Postilla e gran finale per la testimonianza di prima mano di Ianus Pravo che di Panero è stato confidente presso l’ultimo asilo a Las Palmas: l’uomo Panero, acquarellato nel suo rigagnolo di urina, emerge ammonitorio come un hidalgo della beffa, sodale dei reietti nella inesausta lotta contro le miserie dell’Esserci:

“Uscire dalla cloaca è solo un ripiego,
vivere tra i topi il nostro destino.”

(Poveraccio)

Luca Ormelli

Il libro: Leopoldo María Panero, Contro la Spagna e altri poemi non d’amore, Nessuno Editore, 2024 (f.c.); traduzione di Antonio Bux, a cura di Antonio Curcetti.

L'articolo “Tra le mie mani nasce il deserto”. Leopoldo María Panero, l’hidalgo della beffa, il martire dell’erranza proviene da Pangea.