Fine di un’epoca. Milano è il simbolo di un mondo stanco, che non appartiene più a nessuno

Pangea - Monday, September 29, 2025

La mia amica aveva appena finito di vomitare sopra a una grata di ventilazione della metropolitana in Largo Cairoli. Sputò ancora per un po’, si asciugò la bocca con il dorso della mano, e poi andammo a sederci per terra sul marciapiede davanti alla porta d’ingresso della Standa – oggi Decathlon – insieme ai suoi amici punkabbestia e ai loro cani. 

“Come stai?”, le chiesi.

“Non ci pensare neanche. Non te la faccio provare. Guarda come cazzo ti riduce”. 

Non se la iniettava in vena, se la fumava dentro alla carta stagnola. 

La ammiravo. Volevo essere come lei. Sembrava libera agli occhi di una quindicenne con un padre che la sera non la faceva ancora uscire da casa.  

*

Siamo nella Milano della fine degli anni ’90. Il Luna Park ‘Le Varesine’ aveva chiuso da poco, lasciando il posto a “via Mike Bongiorno” e ai grattacieli. Alla Darsena c’erano ancora il parcheggio e la fiera di Sinigaglia, con le bancarelle di roba dell’usato e i punkabbestia che si ritrovavano al vecchio Mercato Comunale. Si spacciava e si dormiva sotto ai portici di Piazza Vetra. Si pippava la Speed sulle panchine della piazzetta davanti alla Basilica di Sant’Eustorgio. Si andava alla festa della semina e del raccolto al Leonkavallo. 

Durante gli anni ’90 i ragazzi si bucavano seduti a terra tra le auto parcheggiate. Ne vedevo tanti mentre tornavo a casa da scuola in Porta Venezia, quando Porta Venezia era ancora un quartiere di figli di portinai come me e di gente bene che convivevano serenamente. Non c’erano ancora locali gay e ristoranti eritrei. In Buenos Aires i negozi erano negozi di vestiti, e non solo di cibo, come oggi, e non cambiavano insegna ogni due mesi. 

A Milano c’erano pochissimi turisti. La gente visitava l’Italia, ma mica passava di qui. Per fare cosa?Quando andavi in ferie al mare da qualche parte e dicevi che eri di Milano, ti pigliavano in giro e ti guardavano con pietà: poveri voi e la nebbia, poveri voi e il grigiore, poveri voi e lo smog, poveri voi e il lavoro sfrenato. Poveri voi. 

*

I bambini che non avevano i genitori abbienti che li iscrivevano a un’infinità di sport, avevano il trenino dei Giardini Indro Montanelli e le macchinine al Parco Sempione. Punto. 

C’erano due grattacieli, il Pirelli e la torre Breda, costruita negli anni ’50. Io sono cresciuta lì dentro. Mio padre faceva il portinaio. Ogni giorno, di nascosto, andavo al ventisettesimo piano per guardare la città dall’alto. Si vive meglio con un orizzonte davanti agli occhi da ammirare, lo diceva anche Thoreau nel suo Walden. 

Mi mettevo a piangere ascoltando la musica. Fissavo quei minuscoli serpenti luminosi scorrere sull’asfalto e spesso pensavo di farla finita. Poi, come un’astronauta che torna dallo spazio, scendevo sulla terra e diventavo ancora più consapevole della nostra inutilità e piccolezza. E pensavo: forse è così che si sentono i ricchi che vivono ai piani alti. Credono di non far parte di questo mondo, che nulla li tocchi e li riguardi. Stanno sulla Terra giusto per qualche istante, per sbrigare i loro affari, poi se ne tornano nelle loro torri. E allora pensavo che bisognerebbe buttarli giù quei grattacieli, e far vivere tutti allo stesso livello, per non dimenticarci che siamo uguali, invece di essere disposti a tutto per andare a vivere lassù. Perché poi te lo dimentichi che non sei nessuno e che nasci e muori comunque a mani vuote.

*

Milano è cambiata dopo l’Expo. Non ce ne siamo accorti subito. È stato come vivere con una moglie che si trascurava da tempo. Ci siamo guardati attorno, e improvvisamente ce la siamo trovata invasa da una quantità di persone mai vista prima che camminava piano, troppo piano, e di gente che fotografava cose. 

*

Milano ci ha cambiato. 

Milano ci ha sconfitto. 

Milano ci ha temprato. 

Milano ci ha stancato. 

Milano, non ti riconosco più.

*

Milano è come una vecchia donna che si è rifatta, che ha perso il suo fascino ma che se la tira ancora. Non perde mai la speranza. Al massimo si rifà il look e si trova il Toyboy. 

Milano e la sua mania di risplendere, di nascondere lo squallore, di spostarlo verso le periferie, manco fosse Parigi. 

Milano e le passeggiate a Isola che diventano sfilate.

Milano, che quando vivi in belle zone ti fa sentire addosso gli sguardi della gente che si chiede subito: “Chi è? Cosa fa? Quanto guadagna per potersi permettere di vivere lì?”

Milano, che per trovare un po’ di pace te ne devi andare a passeggiare tra i morti al Cimitero Monumentale. 

Milano come una bomba ad orologeria che è pronta a implodere. 

La verità è che a Milano non c’era un cazzo di bello, a parte il Castello e il Duomo. Ora ci sono i grattacieli e quei quartieri che qualcuno ha fatto diventare “cool” grazie a Instagram.

E poi Armani che muore.

Il Leonka che chiude.

Il Plastic che chiude. 

I negozi che chiudono. 

I maranza. 

I figli di papà.

Le mogli degli uomini ricchi che piazzano bambini come pensione di vecchiaia. 

Le case che non si trovano o che costano una follia. La gente costretta ad andarsene. 

Una città che espelle chi l’ha nutrita. 

L’aria che non si respira. Le troppe auto. Il caldo che sale dal cemento e ci soffoca, ci annienta, ci consuma. 

Le persone sempre più infelici, sole, nervose, schizzate, di fretta. Non si rendono conto di scappare da sé stesse.

Milano è il simbolo della fine di un’epoca, di un mondo stanco che non ha più voglia di appartenere a nessuno se non a sé stesso. 

Siamo tutti pronti ad andarcene. 

Quando troveremo i soldi e il coraggio. 

Dejanira Bada

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