In una calda domenica di giugno sono arrivato un’ora prima davanti al Museo San
Domenico di Imola per visitare la mostra di Germano Sartelli “L’incanto della
materia” (in corso, fino all’undici luglio p.v.) chiedendomi che livello di
“oggetti estetici” avrei visto di li a poco. Quando in fondo al corridoio mi è
apparsa la grande “paglia” nel cellophan ho sentito l’emozione di ET quando
diceva: “…caaasaaaa”, ero nel tempio della curiosità, davanti ai lavori degli
anni ’60, ’70, ’80 di un artista che aveva sempre cercato; mi ronzava in testa
quella parola ripetuta tre volte che nel documentario “La forma delle
cose”, Sartelli ripeteva con stupore: “…cercavo, cercavo, cercavo…” (se mai
esporrò le mie duemila creazioni, così titolerò la mostra in onore di Germano
Sartelli) nella consapevolezza che chi cerca non necessariamente deve trovare,
che “cercare” è il prezzo da pagare della nostra curiosità e che la natura ci
offre tutti gli stimoli per il nostro “fare”.
Le “ragnatele” del ’59 sono delle accurate ecografie del pensiero; le “cicche e
carte di sigarette” del ’70 anticipano di due anni le splendide fotografie di
mozziconi di Irving Penn, confermando l’intercontinentalità del vedere creativo;
i lacerti di ferro arrugginito consacrano la missione visuale della ruggine, non
soltanto “lacrima del tempo del ferro” ma vera e propria istantanea del nostro
inevitabile incontro con la morte.
Osservando i lavori di Sartelli, fatti con poverissimi scarti, si potrebbe
pensare ad opere realizzate insieme al dolore, alla solitudine, alla
sofferenza, visto che, tra l’altro, ebbe a che fare con gli internati
dell’ospedale psichiatrico di Imola; invece, percorrere i corridoi di questa
esposizione regala una grande serenità, appese ci sono le radiografie delle
nostra anima, tra “bianchi e neri”, tra “luci ed ombre” vedi il tuo essere
vivente non come “sommatoria di organi”, ma come “altissima frequenza di
pensiero”, senti di attraversare un campo di 174 hz con persistenti sentori di
gioia.
Germano Sartelli (1925-2014)
Concludo queste note descrivendo il posto (delle fragole) da cui vengono
scritte, il Rugginarium: “…un luogo fisico, uno spazio senza coperture dove si
raccolgono i raggi del sole, le gocce di pioggia, le folate di vento, i
cristalli di ghiaccio, i fiocchi di neve… dove il tempo delle stagioni regola la
quantità dell’estetica e dove manca solo una cosa: la colonna sonora della
perdita di funzione degli oggetti ed il loro rinascere nella valenza estetica di
specchi dei nostri pensieri”.
Silvano Tognacci
*In copertina: Germano Sartelli, Paesaggio di terra, 1982; foto Orselli
L'articolo “…cercavo, cercavo, cercavo”. Per Germano Sartelli (o di persistenti
sentori di gioia) proviene da Pangea.