Di solito – secondo un cliché gerarchico o un climax d’ascetica ascesa – Daniel
Berrigan è definito Priest, Poet, Prophet & Peacemaker. Al poker di sostantivi,
fa seguito l’aggettivo, tonante, legendary. Nato a Virginia, Minnesota, nel
maggio del 1921, Berrigan esprime i voti nel 1952, diventa gesuita. Nel
pluripremiato film di Roland Joffé, The Mission (1986), interpreta un altro sé
stesso vissuto nel Settecento, padre Sebastian, al fianco di Robert De Niro e
Jeremy Irons.
Quanto al profeta, Berrigan intendeva il termine secondo biblico eccedere: il
profeta fonde contemplazione ad azione, è la voce di Dio che irrompe nella
Storia, che irride i potenti, che stride rispetto al pensiero comune. “L’idea
che si debba raggiungere la pace interiore prima di tendere la mano al prossimo
è una distorsione dell’esperienza umana, è un modo di sottrarsi alla nostra
responsabilità, è un pensiero totalmente estraneo a quello dei profeti della
Bibbia. La vita è un ottovolante: allacciate le cinture e partite… Questo
focalizzarsi verso la mera ricerca e l’equanimità nasconde un approccio
egoistico mascherato con un linguaggio spirituale”.
Il 25 gennaio del 1971, la rivista “Time” dedicò la copertina a Daniel e al
fratello Philip, sacerdote anche lui. Il titolo invitava allo scalpore: “Rebel
Priests: The Curious Case of the Berrigans”. L’evento clamoroso era accaduto il
17 maggio del 1968, poche settimane dopo l’assassinio di Martin Luther King.
Daniel e Philip Berrigan, insieme a una manciata di attivisti cattolici, fanno
irruzione in un edificio di Catonsville, dove aveva sede la commissione locale
per il servizio di leva. Davanti agli impiegati, attoniti, i due sacerdoti
sottraggono centinaia di documenti di leva, che incendiano con del napalm nel
parcheggio lì vicino. Siamo nel pieno della guerra in Vietnam e l’evento, pur
simbolico, ha un effetto eclatante. Ai giornalisti accorsi Barrigan dichiara:
“Distruggiamo questi documenti perché testimoniano lo sfruttamento dei nostri
giovani e rappresentano un potere coercitivo nelle mani della classe dirigente
americana. Contrastiamo la Chiesa cattolica, le organizzazioni cristiane e le
sinagoghe d’America per il loro silenzio e la loro codardia di fronte ai crimini
del nostro Paese”. La polizia arrestò, nell’imbarazzo generale, i sacerdoti,
chini in preghiera, davanti al fuoco. Condannato a tre anni, Daniel Berrigan
riuscì a darsi alla macchia; fu inserito dall’FBI nella lista delle persone più
ricercate degli Stati Uniti: il prete verrà fermato nell’estate del 1970.
Sodale di Thomas Merton, insieme al reverendo Richard Neuhaus e al rabbino
Abraham Joshua Heschel, Berrigan aveva fondato, nel 1965, la “Clergy and Laymen
Concerned About Vietnam”. Continuò, strenuamente, a lottare contro ogni guerra –
“L’unico messaggio che ho per il mondo è questo: non ci è permesso uccidere
innocenti. Non ci è permesso essere complici di un omicidio. Non ci è permesso
tacere mentre vengono predisposte armi per un omicidio di massa, con i nostri
soldi” –; brandiva il Vangelo come una spada.
Negli anni Ottanta agì contro gli armamenti nucleari; negli anni Novanta lottò
per i diritti dei malati di Aids. L’ultima volta, fu arrestato nel 2006. Morì
dieci anni dopo, quasi centenario, indomito, pressoché inascoltato, a New York.
Scrisse moltissimo, il prete pacifista; secondo l’amico Kurt Vonnegut, “Per me
Daniel Berrigan è Gesù poeta”. Al netto delle esagerazioni – consustanziali alla
vita attiva di Berrigan – la sua è una poesia pienamente americana, di immagini
– più che di immaginari – di narrazioni prima che di visioni; più prossima a
Thomas Merton che al gesuita Gerard Manley Hopkins. Il suo libro di “selected
poems”, Time without Numer, fu finalista ai National Book Awards, era il 1958:
insieme a lui gareggiavano Hilda Doolittle e Wallace Stevens; vinse Robert Penn
Warren, però, con Promises. Ritornò tra i finalisti del maggior riconoscimento
americano nel 1970 con False Gods, Real Men: quell’anno fu Elizabeth Bishop a
sovrastare tutti (tra gli altri: Lawrence Ferlinghetti e Robert Lowell).
Secondo la rivista “Poetry”, “La poesia in versi liberi di Berrigan esprime la
fede cattolica e il pacifismo con uno stile lucido, esatto e immagini di
inflessibile potenza”. In realtà, Berrigan riesce quando la poesia abbandona i
temi strettamente ‘sociali’, inarcandosi verso l’indagine della vita marginale,
l’ascolto delle foglie, il bisbiglio dei morti, rivelando la presenza
dell’invisibile nei più umili segni, nei rigagnoli dell’oggi. Quando la poesia,
cioè, non è ancella di un’idea, ma torna nuda, adamitica, nell’eccomi che
corrisponde al suo solo compito: inneggiare al creato.
Diceva, “Abbiamo scelto di essere criminali impotenti in un’epoca in cui i
potenti commettono crimini” – che è poi lo stigma di una poetica.
***
Il compito
Vorrei che fosse possibile con rade
parole dichiarare il mio compito: pura
al di là di ogni indagine, la quercia offre
le sue foglie, ed è grata. In inverno decreta
il proprio magnifico ordine fondamentale, afferma
con solennità chi è: si libra, enorme, e ogni parte
è finalmente Uno – un ritorno, il permanere della marea.
Così la rosa dimostra la propria identità nella forma
irraggiungibile, raggiunta senza sforzo: indossa il suo
visibile cuore e ce lo mostra – sboccia, è perfetta, cade.
*
Exaltavit Humiles
Tutte le cose disprezzate, capricciose
evanescenti hanno il loro culmine al mattino. Il sommacco
spintonato dalle querce verso la vetta del bosco, brucia
più chiaro di ogni essere. E la ragnatela, non più che un rimorso,
trema all’alba come argento appena battuto.
Qualcuno ha ammantato le cupe pietre
con un merletto di brina: i piedi inciampano
su così tanta superbia.
Le brune erbe selvagge si muovono
e intonano un inno alle porte del sole:
benedici il Signore, fai rimare l’alba con la rugiada e il gelo!
Perfino le radici, legate mani e piedi, odono, si impennano
cruciformi e attendono che l’incantesimo si spezzi.
Per un attimo, nulla è vano, nulla è effimero:
al banchetto chiama la grazia, la grazia riveste le indesiderate cose.
*
Il mio nome
Se fossi Pablo Neruda
o William Blake, potrei
urlare e essere eloquente
ma ho un nome americano
e gli uomini muoiono
tra le nostre mani assassine
ahimè Barrigan
devi aprire le tue mani
e vedere come una stimmate
i volti spezzati
a cui aspiri
non puoi offrire
l’impotenza di una donna
alla pioggia di fuoco –
la vita vuole il tuo corpo.
Solo gli innocenti muoiono.
Afferra la mappa
di questo secolo in sangue.
Inizia il tuo viaggio verso casa
nella terra dell’ignoto.
*
Visione
(leggendo Giuliana di Norwich)
poi mi mostrò
la mano destra in cui
è tutto ciò che è
mano creata da donna
genuina e potente
mite uovo di uccello
che nidifica in attesa
della sua parola – che udii
nascituro ti creo
cullandoti ti amo
custodendoti ti proteggo
*
se senti i morti
bisbigliare come cenere
e sussultare come sedie
a dondolo nei portici
ascoltali
ti daranno gioia
come il vento tra i rami
spogli, come la stella
tra gli alberi d’inverno
così lontana
così bella
imparerai infine
la loro lingua barbara
*
La zia
Ha occhi come candele
consunte, mia zia, e alla finestra
racconta i suoi anni storpi
conta le stagioni – falci
d’uccello o aria di neve
e foglie rosse nel cielo crudo.
Ottantuno anni hanno scolpito
le sue mani, cubi bianchi in bocca:
Cristo zampilla nei suoi occhi
e le ha accartocciato il viso fino
alla siccità: mazzi di pioggia e aridità
quando Lui entra non esce più.
C’erano soltanto giardini, un tempo:
il vento adolescente che trascina
nuvole in virgulto. Di notte la Sua
quiete ribolliva nella quiete
e nessun uccello dava in urla:
alla mercé della Sua parola
il corpo annuisce e si inchina.
E ciò che dici amore, ciò che
chiamiamo amore fa un nodo
nel volto, dove fuochi in marcia lasciano
rovina e dolcezza: l’hanno strappata da se
stessa, e quello che resta è il suo Sé –
Cristo che ci fissa, viso nel viso.
Daniel Berrigan
L'articolo Vita ribelle di Daniel Berrigan, il poeta-prete, profeta del
pacifismo proviene da Pangea.