> “Il sangue degli altri si sparge per terra.
> Io questa mattina mi sono ferito
> a un gambo di rosa, pungendomi un dito.
> Succhiando quel dito, pensavo alla guerra.
> Oh povera gente, che triste è la terra!
> Non posso giovare, non posso parlare,
> non posso partire per cielo o per mare.
> E se anche potessi, o genti indifese,
> ho l’arabo nullo! Ho scarso l’inglese!
> Potrei sotto il capo dei corpi riversi
> posare un mio fitto volume di versi?
> Non credo. Cessiamo la mesta ironia.
> Mettiamo una maglia, che il sole va via”.
Con l’autore di questa poesia, Franco Fortini, un giorno di molti anni fa ebbi
occasione di parlare della sua Lettera agli ebrei italiani. Mi scappò persino
una battuta: “Come Paolo di Tarso!”. Fortini, Davide Maria Turoldo, Camillo De
Piaz e altri volonterosi venivano a incontrarci in una “casa del dolore”, me e i
miei compagni di ideali, di avventura e di sventura. Non ci parlarono mai da una
cattedra per riportarci alla ragione. Ci si parlava con franchezza.
Quel giorno, ad un certo punto, si parlò anche dei valori universali
dell’ebraismo di contro alla miopia degenerativa dei nazionalismi, cui nemmeno
quello ebraico fa eccezione, mentre dovrebbe, proprio in virtù della storia
dell’ebraismo e delle persecuzioni razziali. Si parlò delle allucinazioni
razziste e della pretesa purezza del sangue. Mi ricordai allora, e lo dissi, che
nelle arterie mi scorre lo 0 negativo, universalista fin nelle vene. Dissi ciò
che pensavo, ovvero che l’unico sangue puro è quello degli innocenti e che tutto
il resto, più o meno, col tempo si guasta.
Ci pensavo anche giorni fa quando, passando davanti a un’edicola, mi sono
imbattuto in un titolo grondante cattiveria e altrui sangue spruzzato in prima
pagina: Il circo di Gaza. Giganteggiava su un quotidiano nazionale, sempre uso,
più o meno come certi altri suoi simili, a lucrare e a sguazzare tra le altrui
lacrime, trattando le tragedie umane come burle, facendo sicuro affidamento
sulla stupidità dei suoi lettori, degni del circo massimo e del pollice
all’inverso. Osceno abuso della libertà di stampa! Ciò che riporto è solo un
piccolo esempio che però si inserisce a pieno titolo nella “storia universale
dell’infamia”, precisamente in quel capitolo in corso di svolgimento nella
striscia di Gaza.
Contro questa infamia, nel giorno in cui scrivo queste povere righe, nella
stessa Israele è in atto uno sciopero generale. In Israele comunque esiste e
resiste una opposizione a quell’infamia. Anche se è un’opposizione minoritaria,
per me acquista maggior valore. Scrivo e ribadisco la parola infamia nel preciso
significato etimologico del termine. Chi ha voluto e pubblicato quel titolo
derisorio della tragedia palestinese, ovviamente dirà che con il termine “circo”
intendeva smascherare i clowns della sinistra. Per quanto della sinistra siano
rimasti oramai più che altro dei giocolieri della parola, pronti a intrupparsi
(a parole) coi cavalieri teutonici, coi neonapoleonici e persino coi neonazisti
nella nuova crociata contro la Rus’ (come da plurisecolare tradizione, dal
medioevo ad oggi), il senso di quel titolo, come di tanti altri, è ben chiaro.
Chi lo ha voluto e pubblicato, in altri tempi, al tempo della svastica dilagante
e trionfante su tutti i fronti europei, avrebbe intitolato il suo commento Il
circo di Varsavia, in spregio al dolore e alle lacrime degli ebrei del ghetto.
Mi sono ritornate in mente le bestemmie pronunciate da un’eurodeputata, italiana
per nostra vergogna, che giorni fa, in un parlamento europeo semideserto – come
sempre quando si tratta dello sterminio dei semiti di serie b – in fin dei conti
giustificava l’uccisione dei bambini di Gaza in quanto “figli di terroristi”. In
altri tempi, gente della stessa pasta di quella degna rappresentante dei suoi
elettori avrebbe giustificato l’uccisione dei figli dei “perfidi giudei” fin
nella culla. Insomma, se credessi alla dottrina della reincarnazione, direi che
si tratta delle stesse anime nere ritornate dalle fogne dell’inferno a governare
“l’aiuola che ci fa tanto feroci”.
Però c’è di peggio delle anime nere. Ci sono le anime belle, benpensanti e,
peggio ancora, la massa amorfa delle anime indifferenti. Ci sono gli ignavi e
gli ipocriti, a cominciare dalla stragrande maggioranza dei leader europei,
della stragrande maggioranza dei direttori dei giornali e dei telegiornali che,
al massimo, blaterano ancora di “due popoli e due stati” e di riconoscimento
dello Stato di Palestina. Se fossero sinceri, per prima cosa dovrebbero imporsi
con tutti i mezzi di cui dispongono sostenendo almeno il diritto all’esistenza
in vita dei palestinesi; invece perlopiù biascicano e belano, codardi e timorosi
come sono soprattutto di urtare la “sensibilità” di forze, palesi e occulte, che
possono compromettere o addirittura stroncare la loro carriera. Si riempiono la
bocca di “valori europei” (quali? gli eurodollari? gli ideali o gli intascati?),
ma non rinuncerebbero a un mese di gratifica per tutto ciò in cui dicono di
credere. Però c’è dell’altro.
In un articolo che ho letto di recente, un giornalista-analista di notevole
intelligenza, di pasta ben diversa dal comune, suggerisce che la vecchia Europa,
coi suoi 450 milioni di abitanti (perlopiù sul viale del tramonto), si faccia
carico di accogliere un rifugiato palestinese ogni 10.000 anime, dal momento
che, se davvero si vuole uno stato, servono almeno dei sopravvissuti che lo
popolino. L’intenzione è sinceramente umanitaria, per quanto vi si potrebbe
rilevare qualcosa di inquietante: persino gli invasati coloni della Cisgiordania
accoglierebbero la proposta con grida di giubilo. Il trasferimento in Europa dei
palestinesi sarebbe certo meno doloroso della deportazione di due milioni di
persone in paesi già martoriati come la Libia, come il sud Sudan o come l’Uganda
(ancora l’Uganda, la terra vagamente promessa dai padroni dell’Africa orientale
al sionismo nascente!). Nello stesso articolo, il giornalista sostiene che
l’iniziativa potrebbe partire anche da un solo paese, ad esempio l’Italia, dando
comunque per scontata la reazione xenofoba che ne deriverebbe. L’Italia, anzi la
Padania, è infatti il paese che ha dato i natali all’illustre Salvini, il più
sfegatato fan del governo israeliano dai tempi del defunto senatore Spadolini,
quello che da giovine, al tempo in cui gli ebrei venivano sterminati, era un fan
repubblichino e, da adulto, un riciclato illustre leader repubblicano,
presidente del gran consiglio, uomo di grossa stazza morale, ecc. Di recente, il
caporale leghista, travestito da Golem di Padania, è stato insignito del premio
Italia-Israele 2025. Il cinismo di chi glielo ha assegnato va al di là di
qualunque commento. Insomma, non solo si vende un “mondo al contrario”, ma si
spaccia la storia al rovescio. Per cui è meglio non fare affidamento sull’Italia
per il soccorso ai palestinesi. Meglio però farebbe persino l’estrema destra
ebraica a non fidarsi dei Gasparri e dei Salvini, a parte il fatto che diffida
di chiunque.
A me invece è venuto in mente un altro paese che potrebbe e dovrebbe avviare
l’iniziativa di salvataggio dei salvabili. Quale? L’Inghilterra! Di recente il
premier britannico si è detto favorevole al riconoscimento dello Stato di
Palestina, dopo oltre un secolo dalla famosa Dichiarazione di quel lord che gli
irlandesi avevano appellato “Bloody Balfour!”, nome che i palestinesi non
smetteranno mai di benedire, se mai ne resteranno. Ma in attesa che lo stato
promesso ai palestinesi sorga non si sa dove e quando, dal momento che si tratta
di una promessa menzognera, l’Inghilterra potrebbe accogliere un ferito, un
bambino, e persino un moribondo ogni diecimila abitanti del Regno Unito.
Potrebbe incaricare il suo ministro degli esteri di formulare una dichiarazione
tipo quella che di seguito mi permetto di abbozzare:
“10 Downing Street, London…
Egregio Gran Muftì di Gerusalemme,
È mio piacere fornirle, in nome del governo di Sua Maestà, la seguente
dichiarazione di sincero rammarico per i cent’anni di sciagure riversatesi su
generazioni di palestinesi a causa della lettera del 2 novembre 1917 del mio
illustre predecessore, lord Balfour, il quale, nel corso dell’odierna seduta
spiritica del gabinetto dei ministri, si è manifestato e ci ha dichiarato:
“Voglia il governo di Sua Maestà vedere con favore la costituzione nel Regno
Unito di un focolare nazionale per il popolo palestinese, e adoperarsi per
facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla dovrà
essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non
palestinesi nel Regno Unito, né i diritti e lo status politico dei palestinesi
nelle altre nazioni”.
Le sarò grato se vorrà portare la nuova dichiarazione Balfour a conoscenza
dell’Autorità nazionale palestinese, dichiarazione che è stata sottoscritta e
approvata dal governo di Sua Maestà al termine della stessa seduta spiritica.
Sinceramente suo…”
Una simile dichiarazione da parte dell’attuale segretario di stato per gli
affari esteri del Regno Unito, certo non potrebbe far risorgere i morti. Non ci
sono parole che possano compensare cent’anni di sofferenze causate dalla
dichiarazione di un lord a cui non importava né degli ebrei né dei palestinesi,
se non come pedine della scacchiera coloniale. Balfour, infatti, scrivendo al
barone Rothschild, il gran signore della finanza, non era certo mosso dalla
compassione per i poveri ebrei che erano giunti e che sempre più, nei neri anni
a venire, avrebbero cercato di raggiungere anche l’Inghilterra fuggendo dalle
persecuzioni nell’Europa orientale. (Consiglio ai lettori il monumentale
libro-testimonianza di Jeffrey Veidlinger, professore di Storia e Studi giudaici
presso la University of Michigan: L’Olocausto prima di Hitler. 1918-1921. I
pogrom in Ucraina e Polonia alle origini del genocidio degli ebrei, Rizzoli,
2023) No, dei poveri lord Balfour voleva solo liberarsi, come l’illustre
economista Robert Malthus. Ovviamente c’erano altre ragioni di dominio
coloniale, ma una delle principali era quella di dirottare l’emigrazione ebraica
verso una terra dove potesse servire allo scopo. Insomma, se al mondo ci fosse
anche solo un briciolo di giustizia, il governo britannico, i popoli britannici,
come riparazione dovrebbero essere i primi ad accogliere i palestinesi a braccia
aperte. E invece… Ho cominciato con le parole di Franco Fortini e concludo con
le parole del pastore luterano di Betlemme, Munther Isaac, pronunciate nella
predica di Natale dell’Anno Domini 2023:
> “Noi palestinesi ci risolleveremo, l’abbiamo sempre fatto,
> anche se questa volta sarà più difficile.
> Non so voi però, voi che siete rimasti a guardare
> mentre ci sterminavano.
> Non so se potrete mai risollevarvi.”
>
> Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza, Fazi Editore, 2025
Enzo Fontana
*In copertina: un’opera di Otto Dix
L'articolo La storia al rovescio. Ovvero: proposte per una nuova “Dichiarazione
Balfour” proviene da Pangea.