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“Mi apro il cammino vicino a un abisso”. Il sesso femminile secondo gli antichi
Terra? Spirito? Carne? Ade? Chi era costei?  Il sesso femminile in greco antico è “aidoion”, termine che significa venerabile, ma anche vergognoso. Crinale sottile come un lembo di pelle tra l’estasi e il tormento, il ritegno e l’oblio di sé.  Un giorno Demetra, disperata per la perdita della figlia Persefone, che era stata inghiottita in una voragine dal re degli Inferi, vagava dalle parti di Eleusi. Vi incontrò Baubo, donna esperta nelle arti magiche. Per divertire la dea, Baubo si alzò la veste, divaricò le gambe e cominciò a far parlare proprio lei, il suo “aidoion”. Molto prima di Freud e dell’osteria numero venti, pare costei avesse i denti, e li digrignasse felice. A quello sberleffo Demetra sorrise, trovò la speranza e in seguito la figlia, e il mondo riprese a fiorire. Persefone tornerà alla madre dal suo precipizio, come dal precipizio di Baubo si era infine levato un canto di vita (nei Mimiambi di Eroda il fallo artificiale verrà chiamato baubone, strumento d’assolo muliebre quando il contrappunto maschio è afono).  Costei è dunque nella letteratura greca “il cunicolo”, “la buca”, “la fossa”, “il baratro”, memoria dal sottosuolo di una perdizione buia. In un epigramma il poeta Filodemo denuda il grembo di Cidilla. “Mi apro il cammino vicino a un abisso”. D’altra parte Afrodite, custode suprema di cotanto splendore, dai fedeli maschi è chiamata anche “la tumulatrice” e “colei che sta vicino ai sepolcri”. Come il sorriso di Demetra dopo quello di Baubo, per costei vi è tuttavia l’abbrivio di una risalita. Il nome della cosa perviene così alla superficie di una quotidianità ristoratrice, di un ricongiungimento domestico e gaudioso. Eccola dunque “l’umida soglia”, “la porta”, “il portico profumato”, “il focolare”. Accendere il focolare, secondo Aristofane, è appunto intrattenersi in loco con verve incendiaria.  Nei medesimi paraggi di un’imago che rientra per cena, il rendez-vous amoroso si nutrirà anche di suggestioni culinarie. Costei sarà “la cucina”, “il piatto”, “la scodella”. In un frammento di Platone comico, ancora Afrodite, col doppio intendere all’organo celestiale e al menu del giorno, dà consigli votivi alle fanciulle che vogliano accettare l’invito nel letto di Faone, bellissimo giovane: “Offrite in dono una schiacciata a forma di testicoli e una focaccia pregna, e il ganzo sarà vostro”. Fattosi il mattino dell’eros bucolico, costei esce finalmente di casa e incontra la natura delle seduzioni fresche e in piena luce. “Il prato”, “il giardino”, l’“andare al campo” inteso come l’impratichirsi di lei. E poi “la mentuccia”, “il prezzemolo”, “il fico”, “la rosa” ma soprattutto “il mirto”, cespuglio aromatico sacro ad Afrodite, di cui erano intessute le corone degli sposi come auspicio di fertilità e i cui rami servivano a scacciare le mosche. Sulla tomba di Euforione, artista innamorato della difference, ai viandanti verrà chiesto di lasciare proprio rami di mirto, delizia perduta del tempo che fu. Lo stesso mirto che insieme ai prati fioriti attende nell’aldilà gli iniziati ai misteri di Demetra ad Eleusi (siamo sempre dalle parti di Baubo): forse la grande metafora di un paradiso sensuale senza fine e, si vuole sperare, senza pace. C’è spazio fugace anche per richiami al regno animale. “Il riccio”, “il porcellino”, “il passero” (animale anch’esso sacro ad Afrodite le cui carni si diceva inducessero potenza virile), “la rondine”. Di questa in particolare si intravedeva, nell’associazione erotica, il simbolo ciclico di una rinascita ma anche il tratto unico, irripetibile, di un incontro rapinoso. “Rondini, volate lontano dagli altri uccelli”, dice più o meno Lisistrata alle compagne che hanno deciso lo sciopero delle cosce per indurre i mariti ateniesi e spartani alla concordia, nell’omonima commedia di Aristofane.  Il verso delle rondini diverrà poi, nella poesia greca, altro modo per dire un idioma arcano, oscuro. Baubo a un certo punto ha smesso di spiegarsi. Riprenderà a farlo con gli insostenibili monologhi teatrali della postmodernità. Ridateci le rondini.  Praticati i cunicoli, i focolari e i prati, costei è infine pronta a mettersi in viaggio. Sarà “l’istmo”, “la valle”, “il monte”. Rufino, poeta della cui biografia non si sa nulla, la chiamerà “l’Eurota rigonfio”, come il fiume spartano che porta quel nome. Vi è l’etimo della parola, che in greco indica larghezza, ampiezza. Ma forse vi è di più. Lungo l’Eurota si trovava un santuario che gli Spartani avevano dedicato ad Elena, l’incantevole casus della guerra di Troia. Si diceva che a tutte le donne brutte che vi entravano in preghiera apparisse Elena in persona, che le rendeva belle. Il poeta è forse pervaso da devota galanteria, come a dire “dentro quel tempio di carne diventate tutte indistinguibili, perigliose”. Costei è ancora “il golfo”. La stessa parola greca, kolpos, indica il seno ed il mare di casa, quello benigno che ti aspetta davanti al porto. Un senso comune di accoglienza disponibile, tranquilla.  Rufino, ancora lui, immagina di essere l’arbitro di una gara a tre, come Paride con le dee. Stavolta c’è da scrutarne la sonrisa vertical, nuda e gocciante nettare, e decidere chi ce l’ha più bella. Quella di Rodope stilla in mezzo alle gambe, come un fascio di rose schiuso da una brezza vivace. Quella di Rodoclea è simile a un cristallo, umida come una statua appena plasmata in un tempio. Quella di Melita non si sa, perché il giudice incorona tutte e tre e non dice altro. Qualcuno sospetta che manchi una parte (e che parte), e che il testo sia corrotto. Ci piace pensare a una corruzione più soave, intenzionale. Sfibrato dalla perlustrazione trina, il poeta sente là-bas l’ingiunzione ferma del fraterno straniero, e quel giorno più non vi scrivette avante.  Michele Castellari *In copertina: René Magritte, Le viol, 1934 L'articolo “Mi apro il cammino vicino a un abisso”. Il sesso femminile secondo gli antichi proviene da Pangea.
December 11, 2025 / Pangea