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“Sogni d’oro, imbecilli!”. Intorno a Holden Caulfield, il pipistrello della letteratura
Catcher in the rye, conosciuto in Italia come Il giovane Holden, esce in America nel 1951 e la sua ambientazione, leggendone i riferimenti, è da collocarsi probabilmente prima del Natale del 1949. È il romanzo che segna il successo, nella sua invero esigua produzione letteraria (un romanzo, nove racconti e quattro novelle), di J. D. Salinger; produzione nella quale ricorrono la descrizione di pensieri e azioni di giovani non adattati, adolescenti perlopiù laconici che non sanno o non possono esprimere ciò che provano realmente, la capacità di sottrarre allo scacco dell’inautentico e alla perdita di un senso verace che i bambini hanno su questi, e il rifiuto verso la società borghese e convenzionale. Questo autore che ha anche ispirato la Beat Generation, consegna con Catcher in the rye un capolavoro senza tempo che ha saputo parlare, in diversi decenni, a tanti lettori, giovani e non, senza perdere di freschezza e urgenza. Il protagonista è uno strampalato, pensoso, a tratti taciturno e a tratti verboso sedicenne, che eccelle in Inglese ed è carente nelle altre materie della scuola di preparazione al college che frequenta in Pennsylvania. Viene espulso dalla scuola e decide di andarsene da solo a intraprendere un viaggio che non ha meta precisa se non il ganglio urbano di New York. Quante volte nella letteratura di tutti i tempi il viaggio è tramite e veicolo di scoperta e rinascita… Ma per Holden Caulfield non è niente di tutto questo: il ragazzo, infatti, nella carrellata di incontri e esperienze che compie, reca con sé e rivolge molte domande ma non riceve mai risposte, o ne riceve di insoddisfacenti, finendo per inasprire il proprio senso di disorientamento e insoddisfazione; il tragitto che descrive è dettato dall’impulso del momento e risulta sconclusionato. Egli cerca forse non il senso della vita, ma se non altro un senso possibile, che non si palesa mai, però, nel corso delle sue picaresche vicissitudini. Holden è una figura romantica in chiave neoterica e novecentesca, parla il gergo dei giovani di allora, cosa che connota fortemente il romanzo per il verso di un realismo, spesso minimale, che ha affascinato generazioni. Appare un perdente, prende pugni, corteggia ragazze che non gli badano granché, sbatte contro muri fatti di convenzioni e contro situazioni che si volgono spesso al peggio o a una mancanza di esito. Tanto per cominciare non ama il cinema, a differenza dei suoi coetanei, forse perché foriero di sogni artefatti, vero corrispettivo di ciò che è mediato in senso deteriore. ed ama, per contro, la schiettezza d’animo (con la quale si esprime egli stesso) al di sopra di ogni altra cosa. Né adulto né bambino, ha pensieri desueti e sconcertanti, ricorda spesso il fratello che ha perso per una leucemia e, così si evince, non ama i propri genitori benestanti ma ha una spiccata simpatia per la sorellina. In un mondo che sembra avere solo strade ferrate, percorsi ordinari e ordinati, Holden si muove come un pipistrello in una stanza. Il suo ex insegnante di Inglese, il solo forse per cui prova simpatia, lo accoglie una notte in cui si trova in difficoltà, nel corso della sua fuga, e gli rivolge parole che parafrasiamo: “la differenza tra una persona immatura e una matura, è che la prima vuole morire per un ideale, la seconda vivere per esso”. Come negare che questo aneddoto che il professore rivolge affettuosamente al protagonista, sia veridico? Vivere significa anche morire mille volte e mille ancora dover risorgere, condurre una strenua battaglia per la verità e la bellezza, in un mondo che le nega entrambe ed è anzi di per sé mortifico. È questo un cimento cui Holden si avvia sprovveduto in ogni forma, sgangherato e idiosincratico, con pensieri strani, autentici e veritativi, che tiene per sé o deve dissimulare, e che fanno a cozzi con la sua sonnolenta, ordinaria generazione che vuole sentirsi adulta anzitempo e si prepara a un ingresso trionfale nella vita matura e che sogna coronato di certezze salde e successo conformi a un “sogno americano” mai così deviante e falso. Perché il suo tempo, il tempo intimo di Holden, fa a pugni con quello storico che vive, ed è una sorta di zona franca dall’ottusità dei più, dalla loro refrattaria esistenza così impermeabile al dubbio; un viatico, insomma, con cui cerca di tenersi lungi da convenzioni e ruoli, e dal dover declinare il suo autentico essere attraverso ogni sorta di possedere, dal doverlo smarrire goccia a goccia scivolando dissanguato nell’alveo dell’età adulta (che mente o è irretita nella menzogna, veste ruoli in cui si identifica totalmente, mette per propri idoli dei fini assoluti e pressoché senza complemento: fini che non le guadagnano senso di responsabilità, ma una pallida copia di esso assieme a un inventario di privilegi). Più propriamente egli non scimmiotta gli adulti né i propri coetanei, non gioca a interpretare nessun ufficio che all’età matura afferisca, raramente pronostica sul proprio futuro, perché tremendamente incombente ma lontano come un orizzonte simile a un’evanescente stringa. Holden non elude l’angoscia della libertà e non vuole entrare grufolante, con decorrenza precoce, tra recinti di affanni e preoccupazioni. In fondo gli basterebbe avere una ragazza a fianco, che sappia “tenerlo per mano”, perché a quell’età si è fragili spighe e nessuna ragazza ci capisce davvero, nessun genitore sa farsi carico, con risposte perspicue anziché cliché e morali posticce, dei dubbi, delle istanze e delle stranezze che si affoltano nella mente di un figlio in crescita… Si è soli in una folla di nomi, postazioni, ruoli, nel mezzo di un mondo che ad esser capito non basta una vita e ad esser sognato non basta una gioventù. Lo slancio sorgivo e autentico di questo giovane si strozza nel finale in rivi stenti di terapia psicanalitica, avverando paradossalmente le parole dell’amico Carl Luce, che dopo un fugace incontro attraversato da disagio e indolenza, gli consiglia di andare da uno psicanalista. Un luogo comune, certo, ma che traduce in fatto tutta la distanza che separa il giovane Holden da quel ragazzo adulto e già inquadrato. Holden, a New York dove è fuggito, si imbarca persino in un incontro con una prostituta senza riuscire a fare altro che parlarci e lasciar passare il suo quarto d’ora per procura, chiedendole poi di rivestirsi.L’amore, nella sua carnalità, è qualcosa a cui non è pronto, o forse semplicemente non a quel modo. Sente, sì, la sua urgenza, ma lo spaventa. Così come ogni cosa che sopravvenga dopo una lunga, smaniosa attesa, ma si riveli spogliata di ogni sogno, vera e cruda, impellente e mai realmente conquistata: solo tale da accadere lasciandoci “secchi”… Prima di fuggire anche da New York, Holden passa una giornata con la sorellina Phoebe, la sola che forse sappia accettarlo e capirlo, seppure in qualche ingenuo modo; e alla sua domanda su cosa Holden voglia fare da grande, lui le confida di voler fare  > “colui che salva i bambini, afferrandoli un attimo prima che cadano nel > burrone, mentre giocano in un campo di segale”.  Pare una sciarada, ma a parte il richiamo a una poesia di Burns e al gioco del baseball cui Holden è affezionato (conserva anche un guantone come ricordo di suo fratello) egli non fa manifesto altro che di voler soccorrere i bimbi persi in un mondo di giochi prima che la vita li getti a strapiombo in una età che si palesa come una rovinosa caduta; o forse semplicemente salvarli dal vuoto della vita, quando finiscono i sogni dell’infanzia e comincia la realtà di un’esistenza che non è pari alla poiesis di nuovi sogni e nuove sfide, ma opaca e priva di un vero senso se non quello artificioso e costrittivo del ruolo di adattati. Caulfield rimane un antieroe che ha affascinato intere generazioni, forse proprio perché così vicino a noi in una straniante età di passaggio che attraversiamo senza certezze e ripari, o nel ricordo di essa, che tanto può aver deciso della nostra vita attuale come anche tanto poco da destare sconcerto ed echi di una paura che perdura come una voce ormai inascoltata. Massimo Triolo L'articolo “Sogni d’oro, imbecilli!”. Intorno a Holden Caulfield, il pipistrello della letteratura  proviene da Pangea.
April 14, 2025 / Pangea