
Flannery O’Connor, il cattivo demiurgo
Pangea - Tuesday, March 25, 2025Flannery O’ Connor, fervente cattolica, divenne famosa a sei anni per aver insegnato a un pollo a camminare all’indietro. Sofferente di una grave malattia autoimmune a carattere ereditario, il lupus eritematoso sistemico, morì a soli 39 anni.
Nonostante le innumerevoli difficoltà che costellarono la sua vita, non si perse d’animo.
Pregò Dio di farla diventare una brava scrittrice e Dio la esaudì.
La speranza non l’abbandonò mai nonostante fosse consapevole di dover porre fine anzitempo al suo percorso terreno.
Ma è proprio la speranza a essere la grande assente nelle storie narrate nella sua raccolta di racconti Everything That Rises Must Converge (1965), titolo genialmente reso in italiano con Punto Omega (a volte il traduttore deve, ossimoricamente, “tradire” la lettera per rimanere “fedele” alle intenzioni dell’autore) da Gaja Cenciarelli.
Innanzi tutto, cos’è il Punto Omega? Wikipedia dice che «è un termine coniato dallo scienziato gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin per descrivere il massimo livello di complessità e di coscienza verso il quale sembra che l’universo tenda nella sua evoluzione. Teilhard de Chardin postula la somiglianza di Punto Omega con il Logos cristiano: Cristo che accoglie tutte le cose in Sé».
Il titolo scelto da Gaja Cenciarelli per il libro della O’Connor è perfettamente aderente alla tematica religiosa ricorrente nei racconti ivi inclusi nei quali la speranza – una delle tre virtù teologali con la carità e la fede – è sostituita dall’alienazione, dalla disperanza e dal pessimismo (in quarta di copertina, Claudia Durastanti chiosasottolineando che le storie dell’autrice americana sono pervase da «un senso di morte e condanna»). Tutti i racconti della raccolta si concludono in modo drammatico, molto spesso con la morte di uno o più personaggi. Il mondo o i mondi in cui sono ambientati sembrano trovare la loro spiegazione o giustificazione più che nel cristianesimo nella gnosi.
Il racconto che dà il titolo alla silloge descrive il rapporto idiosincratico tra un figlio e una madre, reso ancora più difficile dal razzismo strisciante della donna. Nella scena finale, il figlio si dispera, chino sul corpo agonizzante della genitrice, colta da un grave malore.
In Greenleaf, la signora May, proprietaria terriera, muore incornata dal toro del figlio del suo infingardo fattore.
Ne La veduta del bosco, un nonno, dopo aver indispettito tutta la famiglia con la sua arroganza, si inimica anche la sua nipotina preferita che finirà per uccidere accidentalmente. E così non gli resta nient’altro da fare che togliersi la vita annegando nelle acque di un lago.

Malattia mortale è un titolo ironico: alla fine della narrazione il protagonista finisce per scoprire che la malattia di cui soffre non è altro che una volgare brucellosi da cui potrà senza alcun dubbio guarire. Ma, nel momento in cui sta per aprirsi alla nuova vita, sente «le prime avvisaglie di un brivido, un brivido così particolare […], un’onda calda in un più profondo mare di freddo». E la conclusione è questa:
«Un grido debole, un’ultima, impossibile protesta gli sfuggì dalle labbra. Ma lo Spirito Santo, avvolto nel ghiaccio anziché nel fuoco, continuò, implacabile, la sua discesa».
Nel finale del racconto Gli agi della casa, Thomas uccide involontariamente la propria madre che si interpone tra lui e l’ospite indesiderata venuta a “contaminare” la loro abitazione e le loro esistenze e a cui era diretto il colpo di pistola che ha esploso.
Ne Gli storpi entreranno per primi, Sheppard, un vedovo che lavora come consulente in un riformatorio, trascura e ingiuria il proprio figlio per aiutare un giovane disadattato, dal piede equino, che ritiene particolarmente intelligente e promettente. Ma il suo protégé si rivelerà ben presto un impenitente delinquentello. Pentito del grave errore di valutazione che ha commesso, in fretta e furia, tenta allora di recuperare il rapporto con il figlio e corre in camera sua per dirgli che lo ama. Ma lo ritrova a penzolare da una trave «dalla quale si era lanciato per il suo volo nello spazio».
In Rivelazione, la signora Turpin, dopo essere stata aggredita da una ragazza nella sala d’aspetto di uno studio medico, si chiede, con pulsione antinomica: «“Come mai sono redenta ma vengo anche dall’inferno?”». Ferita nell’orgoglio e in preda alla hybris, scossa da un empito gnostico, si infuria contro Dio ruggendogli contro:
«“Se preferisci i poveracci, vai a cercarti i poveracci, allora”, […]. “Avresti potuto farmi povera. O negra. Se volevi i poveracci, perché non mi hai fatto poveraccia?”».
E, infine, ha una visione: vede un’orda di anime in cammino verso il paradiso. Ci sono i poveri, i negri (la traduttrice ci tiene a precisare: «la parola negro: nelle mie traduzioni ho scelto di non sostituirla con nero, o di colore, perché nel periodo storico e culturale in cui l’autrice viveva era così che si parlava»), i mostri, i pazzi e «una tribù di persone che lei riconosce subito come uguali a lei», composta da coloro «che avevano sempre avuto un po’ di tutto, e l’intelligenza, donata da Dio per farne buon uso […] riconoscibili, come lo erano sempre stati, per aver fatto dell’ordine, del buon senso e della rispettabilità la loro bandiera». Eppure «anche le loro virtù stavano divampando nel fuoco».
Ne La schiena di Parker, il protagonista tenta di conquistare la propria moglie – una fanatica della setta del Vangelo Corretto – facendosi tatuare sulla schiena un Cristo bizantino ma viene travolto dall’accusa di idolatria che quella gli rivolge con veemenza e così, basito e profondamente amareggiato, non può far altro che mettersi a piangere come un bambino.
Ne Il giorno del giudizio, un anziano impiccione, bistrattato dalla figlia che lo accudisce, muore dopo essere stato selvaggiamente picchiato da un vicino di colore che non apprezza la sua eccessiva curiosità e che gli urla contro «“Non ci credo, a quelle stronzate. Non esiste Gesù e non esiste neanche Dio!”», «“Non c’è nessun Giorno del Giudizio, vecchio. Tranne questo. Forse questo è il Giorno del Giudizio, per te”».

Come si può constatare, nei racconti della O’Connor non c’è spazio alcuno per la redenzione, l’esistenza è un vicolo cieco. Più che di esistenza si potrebbe parlare di desistenza, di un inevitabile capitolare di fronte all’inesorabile incedere del destino, al suo oscuro dipanarsi, alle sue ineffabili, sorde e sordide ragioni.
Gli esseri umani interagiscono fra di loro con fastidio, mal sopportandosi, in un’incessante idiosincrasia. Più che instaurare relazioni, si pongono vicendevolmente in un rapporto dialettico irrisolto che non giunge mai a sintesi. Gli individui più che incontrarsi si scontrano come accade nella sala d’attesa di Rivelazione. Covano tra di loro un cupo rancore che, a volte, finisce per sfociare nella rabbia o in comportamenti aggressivi come ne La veduta del bosco. Una costante delle storie è poi l’intolleranza dei bianchi nei confronti dei “negri” (l’autrice registra fedelmente gli umori della società americana), percepiti come creature estranee al corpo della nazione statunitense e degni di considerazione solo in quanto forza lavoro da sfruttare.
Non c’è più un creatore amorevole che mette sì alla prova le sue creature ma poi le riporta a sé, nel suo caldo e misericordioso abbraccio, bensì un cattivo demiurgo, un artefice cieco, un malvagio eone – confinato nelle regioni inferiori dell’emanazione divina – responsabile del male, che dà vita a un mondo malvagio, fatto a sua immagine e somiglianza, proprio come nelle prospettazioni eretiche degli gnostici. Un mondo in cui l’albero della vita della mistica ebraica è monco: sembra sia stato spezzato il ramo dell’amore e della misericordia (hesed) che non bilancia più quello opposto, quello della gevurah, della giustizia inesorabile di Dio (in questo caso un cattivo demiurgo che si erge a giudice implacabile, un creatore completamente privo di pietas nei confronti delle sue creature).
Come ha spiegato Hans Jonas (cfr., del medesimo autore, Lo gnosticismo e Dalla fede antica all’uomo tecnologico), lo gnosticismo è la matrice del moderno nichilismo: all’acosmismo (ovvero la negazione dell’esistenza di una natura indipendente da Dio, un dio che assume la veste di un cattivo demiurgo) del primo si è sostituita l’assenza di Dio, l’indifferenza di Dio e a Dio (è questo, per il filosofo tedesco, il «vero abisso»). Nel primo caso l’uomo si trova di fronte una natura demoniaca contro cui deve lottare, nel secondo il gelido nulla nei confronti del quale non può affatto lottare:
«Alla natura indifferente della scienza moderna non è concessa nemmeno questa qualità antagonistica e da questa natura non ci si può aspettare nessuna direzione».
(Hans Jonas, Lo gnosticismo, trad. di Margherita Riccati di Ceva)
Nel moderno nichilismo
«Dio è stato lentamente relegato ai margini di un’impresa che si afferma come esclusivamente umana».
(Alessandro Dal Lago, Introduzione all’edizione italiana, in Hans Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico)
In ogni caso, l’uomo – come nei racconti della O’ Connor – vive sotto un cielo spietato, in un’assoluta e angosciante solitudine.
La scrittrice di Savannah colloca anche il lettore in una posizione antinomica – ulteriore risvolto “gnostico” della sua arte –: il fruitore per conoscere il bene deve passare attraverso il male, per apprezzare la benevolenza divina deve esperire un mondo in cui Dio è assente o quanto meno absconditus o indifferente, se non addirittura malvagio.
Una profonda scissione segnò dunque la vita della O’Connor: non perse mai la speranza, chiese a Dio di diventare una brava scrittrice e fu accontentata, ma il mondo che descrive nei suoi racconti è contrassegnato dalla disperazione, dall’eresia e dal nichilismo. La sua postura è ancipite: da un lato il cattolicesimo e il mondo reale, dall’altro la gnosi e il mondo narrato. Il Dio cristiano, sempre presente nella sua vita spirituale, sembra essere latitante nei suoi racconti.
È forse questo il Punto Omega?: la “Rivelazione” che nel “Giorno del giudizio” “Gli storpi entreranno per primi” nel regno dei cieli (o nel regno del “gelo”?).
Angelo Guida
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