“Una piccola rissa teologica da gattini”. Mynona, lo scrittore grottesco, una sintesi tra Kant e Chaplin

Pangea - Friday, May 23, 2025

Il fuoco e la paglia, il crampo tra la noce moscata e il chiodo di garofano, il nubìvago dimenticato; Salomo Friedlaender – alias Mynona – è il filosofo giambico che fece della carezza prima dello schiaffo la chiave della sua rivolta. Nel deserto dei cadaveri dell’identità sociale, l’assurdo balla, il delirio squarta, la cicciona sconfigge l’orco; Mynona è la maschera che non chiede scusa – ma che ride, e ride, e ride…

Nato nel 1871 a Gollantsch, allora terra tedesca, oggi Polonia, Salomo Friedlaender sboccia nella prigione della serietà; figlio di un medico ebreo e di una madre musicista, crebbe al crocevia tra rigore e dissonanza, scienza e poesia. La sua vita fu un ponte levatoio tra l’interno e l’esterno, tra la filosofia e il grottesco, tra la maschera e la verità assoluta.

Studente di medicina a Monaco, poi filosofo per vocazione a Berlino e Jena, Friedlaender non cercava risposte, bensì domande più grandi. Ben presto trovò nella speculazione il suo teatro interiore. A Berlino si immerse nei circoli bohémien, accanto agli espressionisti, ai dadaisti, ai visionari. Qui nacque Mynona: “Anonym” (anonimo) scritto al contrario – la firma di una scrittura che ride sotto i baffi, di un giocoliere grottesco.

Dal 1909 iniziò a firmare racconti, satire e poesie che sembravano sfuggire a ogni logica – o meglio, che reinventavano la logica come un carnevale perpetuo e provocatore. 

“Affermo con coraggio di essere attualmente l’unico a rappresentare una certa sintesi tra Kant e il clown Chaplin”.

Il suo mondo era popolato da personaggi eccentrici, situazioni impossibili, frasi che si rincorrevano come equilibristi sul filo dell’assurdo. “Fasching als Logik” – il carnevale come logica – divenne la sua poetica. Mynona è sempre attratto dall’aspetto pietoso o derisorio della condizione umana; una situazione è spinta all’estremo fino a sfociare nell’assurdo o nel surreale.

“Tutto questo è, Dio ce ne scampi, solo una zuffa da topi, una piccola rissa teologica da gattini.”

Tra il 1910 e il 1920, Berlino fu il suo laboratorio: una metropoli in fermento, tra avanguardie artistiche e tempeste politiche. Dietro la maschera dell’umorismo, infatti, Friedlaender celava un pensiero radicale. Dopo un’iniziale passione per Schopenhauer, fu Kant a segnare per lui una “rivoluzione spirituale”. Visse un’esistenza laboriosa da insegnante e al contempo una vita bohémien con i suoi amici, in particolare Paul Scheerbart e Carl Einstein. Fu parte dei gruppi d’avanguardia, dei circoli espressionisti, dadaisti e attivisti, e nel cenacolo della rivista Der Sturm. Fin dall’inizio del secolo, apparse spesso sulla scena del “Neopathetisches Cabaret”, dove, insieme a Kurt Hiller, Jakob van Hoddis, Georg Heym, René Schickele, e Frank Wedekind, portò al successo la satira, la polemica e l’umorismo nero, leggendo i suoi testi grotteschi.

“Posso solo darvi un buon consiglio: non urlate mai dentro un uovo! provoca un tale trambusto rotolante, che vi farà stare malissimo”.

Dal 1911 al 1914, collaborò con Die Aktion e, già dal 1910, il suo nome apparve nei sommari di una serie di periodici d’avanguardia, spesso molto effimeri, di cui adotta volentieri il tono aggressivo e polemico. La libertà del pensiero, l’indipendenza dello spirito, la religione della ragione: la sua teorizzazione di “Indifferenzza Attiva” è un invito a non lasciarsi ingabbiare: né dai dogmi, né dalle ideologie, né dalle identità imposte.

Nei suoi scritti, filosofia e letteratura si confondono: ogni aforisma è un’esperienza, ogni racconto una domanda. Divenne un maestro del grottesco, una figura inclassificabile che destabilizza e incanta. “Nessun autore di lingua tedesca, prima o dopo di lui, ha sviluppato la forma del grottesco a un tale livello di maestria,” scrive Hartmut Geerken. 

La sua associazione al movimento dadaista potrebbe facilmente specchiarsi nell’affermazione di Hugo Ball:

“Il dadaista combatte contro l’agonia e il delirio di morte del suo tempo… Quello che celebriamo è al tempo stesso una buffonata e una messa funebre”.

Ma Friedlaender resta, nonostante tutto, un metafisico e un moralista, e di certo non mancano le critiche dei suoi colleghi, così Thomas Mann rispose a una lettera di René Schickele nel 1939, che gli chiedeva di sostenere Mynona:

“Non mi piace Mynona e non voglio vederlo in giro. Ha sempre avuto una bocca sfacciata alla Tersite”.

Anche il mondo accademico faticò a seguirlo. Mentre l’Europa si avviava verso l’orrore, Mynona si mise in guardia dai “pigrotti della svastica”, anticipando con ironia disperata la propria emarginazione.

Con l’ascesa del nazismo, la sua voce si fece più affilata e più tragica. Nel 1933 fuggì in esilio a Parigi, dove visse anni difficili, dimenticato dai più, ma fedele al proprio stile, scriveva ancora, anche se il mondo attorno sembrava non ascoltare.

“Da un secolo ormai mi sforzo enormemente di solleticare il mio popolo con ogni sorta di pagliuzze nel naso, senza che esso abbia finora davvero voluto starnutire”. 

Morì a Parigi nel 1946, nella povertà assoluta, lasciando dietro di sé un’opera frammentaria, scomoda, impossibile da incasellare. Fu grazie a Ellen Otten e ad altri studiosi che la sua opera cominciò a riemergere, come un enigma letterario da decifrare; fu tradotto solamente in lingua inglese e spagnola ed è inedito in Italia.

“Chi porta alla luce, in modo stridente e urlante, il grottesco della nostra esistenza, apre uno scorcio indiretto su una vita autentica, tanto oscura quanto certa”.

Come un caleidoscopio in cui apparenza e verità, comicità e profondità, si rincorrono all’infinito, Mynona è un invito a guardare il mondo da un’angolazione obliqua, dove solo chi ride può intuire davvero l’assoluto.

La raccolta Rosa, die schöne Schutzemannsfrau. Grotesken (1913), segnò il suo debutto e uno dei suoi maggiori successi. Nel breve racconto da cui prende il nome (tradotto a fine articolo), Mynona trasforma il desiderio e il potere in un grottesco paradosso. L’eroismo della divisa si trasforma in un feticismo erotico. Rosa, la bella donna del poliziotto, non è attratta dall’uomo che indossa il simbolo del potere, ma dal potere stesso che l’uniforme incarna. Rosa è la protagonista di una “Verkehrung”, un’inversione in cui ciò che è sacro – l’autorità – diventa oggetto di desiderio erotico. Il potere, anziché essere la forza dell’individuo, diventa simbolo di un vuoto identitario. Mynona gioca con il linguaggio, distorcendolo per smascherare le contraddizioni della modernità. La risata che nasce da questa inversione non è solo comica, ma una critica feroce ai valori stabiliti, dove il sacro e il profano si mescolano. In questa parodia del potere, l’isteria diventa la chiave per vedere il mondo con occhi nuovi, finalmente liberi dalle maschere dell’autorità.

Egli non solo deride le convenzioni, ma le riplasma, le distorce, le trasforma in una lingua che è tanto poetica quanto inquietante. In ogni battuta, in ogni paradosso, invita a riflettere: se l’ordine è il caos vestito da divisa, cosa rimane della nostra identità? Se l’erotico è ridotto a ideologia, quanto siamo davvero liberi di scegliere ciò che amiamo?

“Il creatore del grottesco è profondamente convinto che bisogna quasi ‘disinfettare con lo zolfo’ questo mondo che ci circonda, per purificarlo da ogni parassita; egli diventa un disinfestatore dell’anima”.

Mynona – duplice firma bastarda – è il simbolo di una scrittura che non si inginocchia, di un pensiero che osa schernire l’assoluto. Friedlaender fu pensatore clandestino, artista dell’inversione, solitario in dialogo con l’infinito. Leggerlo è un sogno lucido; da evitare se si cercano certezze, da seguire se si ama l’estremo.

Salomo Friedlaender è il vento metafisico scandito da folate di parodia; il riflesso di uno specchio infranto, la maschera derisoria che trasfigura, che rovescia. Dietro smorfie e lazzi, caricature da cabaret sono i lapilli di un pensiero che scoppietta sotto la lingua. Mynona è un vulcano travestito da giullare, un alchimista utopico, un’ombra deforme che mantiene la sua promessa. L’identità moderna non può tirare i freni dell’uomo, le vertigini non possono fermare la rivoluzione, la resa non può essere un’alternativa; con il viso nella lava, nell’Atanor, nel buio del mondo, Mynona assapora la possibilità di rimanere umani.

Tommaso Filippucci

***

Rosa, la bella donna del poliziotto

Avete presente le ore uggiose in cui il poliziotto rimane sotto la pioggia per ore e ore, e la sua donna nel mentre…?

Ma Rosa, la bella donna del poliziotto, era completamente diversa. Perché? Perché era così diversa? Non erano certo le circostanze, ma lei stessa. E non era certo a causa del marito, un tipo all’antica, diciamo, che Rosa amava. Ma un miglior conoscitore di donne (con la fortuna negli occhi) una volta mi disse: la donna è un bel segreto. E quando non fui d’accordo con lui, aggiunse: svelala solo esteriormente, mai emotivamente! Poi disse qualcosa di Schiller, una citazione che ho dimenticato, ma che non dimenticherò mai! Nel frattempo, Rosa uscì e – credetemi! – camminava così bene che la bocca di un antico invalido si aprì di scatto e la sua pipa divenne anch’essa invalida. Rosa camminava sull’asfalto bagnato; attraversava uno splendido passaggio, superava il terrapieno con la gonna alta. All’angolo si trovava l’uomo che l’amava, non suo marito, ma anche lui un uomo. 

Così a quest’uomo scese una lacrima alla vista della profumata Rosa che passeggiava (non camminava come le signore d’accordo con se stesse, né problematicamente come le donne di mezzo mondo, e certamente non come la troppo nota ragazza del popolo, sapete, formosa e allegrotta; camminava, non posso dirlo in altro modo: come se camminasse nella sua persona). Un monocolo sarebbe stato generalmente più seducente, ma questo insegna l’autocontrollo, e l’uomo non lo aveva per lei. Rosa non si accorse dell’uomo fino a che non gli si avvicinò di corsa e gli parlò con foga:

“Farei qualsiasi cosa per te, qualsiasi cosa! Non dire niente, ti capisco. Ma lei non mi capisce, non si rende conto di quanto sto soffrendo e di quanto sono felice nonostante tutto. Non dire niente! Mio marito è in servizio, piove, sta in piedi sul bagnato, è un poliziotto. Non è questo! Ma non riesco a superarlo. Oh! Gli sono ancora più fedele quando non è con me. So che mi ami. 

Non è un pericolo – oh mio Dio! Potremmo possederci a vicenda. . . Certo! Ed è interiormente impossibile per me: non come moglie, ma come donna del poliziotto. Vi amo – se questo vi consola! Niente mi può consolare, sono peggio di una suora, perché lei può rinunciare ai suoi voti, io sono legata a me stessa”.

Ricordo che l’uomo aveva due gambe, che iniziarono ad agitarsi in modo particolare durante le parole di Rosa. A volte stava a destra, a volte a sinistra, si toglieva anche il cappello e si passava la mano tra i ricchi e folti capelli bruni. Stava in piedi sulla testa, sospirando come un uccello della foresta sognante, schiaffeggiando i polpacci con il bastone da passeggio, roteando gli occhi come Nerone al rogo di Roma. Rosa concluse così: “Comprendimi! Già da piccola, quando vedevo una guardia, avevo le convulsioni. Non so se è così per tutti. La mia coscienza non mi lascia riposare, questa divisa è ciò che mi rende donna, qualcosa di morbido, pallido, tremante, sopraffatto”.

Nella testa dell’uomo si accese una luce, percepì qualcosa come la nascita dell’uniforme dallo spirito dell’erotismo. Poi all’improvviso chiese gelidamente: “E se osassi indossare un’uniforme come quella? E dicessi: che cosa ha tuo marito in più degli altri?”.

Rosa arricciò il naso da Venere: “Prima, assolutamente niente, ma ora tutto, tutto! Quando ne ho preso uno, per gli altri era finita – sì, anche se ci ha fatto il favore di rendermi vedova – non potevo dimenticarlo! Non è amore, l’amore è stupido al confronto, sono questa donna del poliziotto con tutto il corpo e l’anima. Lo sono e lo resterò”.

L’uomo barcollò come Golia quando fu colpito dalla fionda di Davide… beh, già lo sapete. Ma non cadde; urlò così forte che un poliziotto si avvicinò. Urlò come un pazzo: “Ma questa è follia! Bisogna lasciarla andare via con l’ipnosi! È una cosa facilissima da determinare psicoanaliticamente. Oh, devo andare subito a Vienna da Freud in persona…”

Non andò oltre; una di quelle mani pesanti, familiari a quasi tutti i nativi tedeschi, si posò sulla sua spalla contratta: “Non lo farai!” affermò il poliziotto di Rosa – era lui. “Per favore, andatevene in modo discreto e decoroso. Non mi preoccupo per mia moglie. Tutti la amano e lei ama tutti. Nell’amore non c’è resistenza. È giovane, bella e focosa: basta guardarla! Ma ha la stoffa per farlo! Hai sentito. E adesso basta! Spesso non sono a casa, non posso fermarti – ma sono più protetto dalle corna. Avrebbe rotto il matrimonio senza esitazione, ma non questo; È così garantito da ciò che hai appena chiamato follia che io stesso – a volte si hanno pensieri del genere – non potrei cambiarlo. Nanu Adieu!”.

Se ne andò con Rosa. L’uomo, stordito, nella direzione opposta. Non vide mai più Rosa. Non riuscì mai a strappare dal suo cuore l’amore per lei. Fu molto più tardi (davanti alla cattedrale di Strasburgo) che mormorò cupamente tra sé e sé: “Rosa, adorabile segreto! Sfinge di tutta la gendarmeria!”

“Accidenti”, disse qualcuno quando glielo dissi, “Reprimi meglio le tue idee!”. Oh sì! Tutti dovrebbero tenere la bocca chiusa sulla Sfinge, più Sfinge della Sfinge. “E non chiamate la mia bocca bocca!”, mi interruppe la sfinge nel suo silenzio lungo un miglio.

L'articolo “Una piccola rissa teologica da gattini”. Mynona, lo scrittore grottesco, una sintesi tra Kant e Chaplin proviene da Pangea.