“I bisogni dell’anima”. Antonia White, una scrittrice “papista” contro il Concilio Vaticano II

Pangea - Saturday, July 19, 2025

Nel 1950, scrivendo una recensione di The Lost Traveller, il secondo romanzo di Antonia White, Evelyn Waugh colse l’occasione per dire la sua sulla letteratura cattolica: 

«Molti hanno iniziato a dubitare che esista una cosa del genere. Ebbene, qui si può trovare in una forma completa e splendida. […] I personaggi sono tutti permeati dalla fede. Dio è l’influenza suprema nelle loro vite, […] e quando vi è la minaccia di un disastro, tutti si rivolgono alla preghiera. La loro religione è la loro vita, sebbene superficialmente siano occupati con altro. Non si tratta di “trascinare il cattolicesimo dentro”. È sempre lì, al centro della storia».

Per quanto poco conosciuta in Italia, la White – pseudonimo di Eirene Botting – è stata una delle personalità più rappresentative di quella letteratura di marca “papista” che conobbe una certa diffusione nella Gran Bretagna del Novecento, in particolare nella prima metà del secolo. 

La sua fu un’esistenza travagliata, segnata non solo dalla cronica mancanza di denaro, ma anche da tre matrimoni falliti, da un rapporto complicato con le figlie e da una serie di frustranti impieghi d’ufficio che le toglievano tempo ed energie per la scrittura. Persino la sua fede, abbracciata da bambina in seguito alla conversione dei genitori, non fu sempre salda e per parecchi anni smise di praticarla. Infine, dovette sopportare pure il peso di una grave malattia psicologica, da lei ribattezzata «la bestia», che minò non poco le sue potenzialità creative (la questione è stata recentemente analizzata nel dettaglio da Patricia Moran nel volume Antonia White and Manic-Depressive Illness). Come sottolinea Jane Dunn, autrice di Antonia White: A Life, quello della inglese 

«è un dramma di vasta portata che abbraccia grandi questioni di fede, i bisogni dell’anima, la lotta per diventare sia scrittrice che donna; l’impossibilità di essere moglie e madre quando si combatte per la propria sanità mentale». 

Da ciò deriva la scarsità della sua bibliografia, che comprende quattro romanzi parzialmente autobiografici, un epistolario, una manciata di poesie, qualche articolo, delle traduzioni dal francese e una smilza raccolta di racconti; a questi lavori vanno aggiunti due libri per bambini con protagonista una coppia di gatti – gli animali preferiti della White – il primo dei quali, Mila e Cuor di Leone, è ad oggi l’unica sua opera ad essere stata tradotta in italiano. 

Nata nel 1899, tutto o quasi del suo destino umano e letterario fu deciso nell’infanzia, quando venne mandata a studiare presso la scuola femminile annessa al Convento del Sacro Cuore, a Roehampton, dove le suore, il cui ordine era stato fondato da una santa francese, erano famose per mantenere una disciplina ferrea. Lì imparò ad amare i libri e volle provare, appena quindicenne, a scrivere un romanzo. Nelle sue intenzioni doveva essere la classica storia di un peccatore che cambia vita; peccato, però, che il manoscritto, ancora fermo alla prima parte, quando il protagonista è immerso nel vizio, venne scoperto e giudicato scandaloso. La conseguente espulsione fu un duro colpo e da allora la White non fu più in grado di mettere nero su bianco nulla che non fosse in qualche modo legato alla propria esperienza personale. A questo si aggiungeva un perfezionismo esasperato che la portava a riempire le pagine di così tante correzioni da renderle quasi illeggibili, causandole di riflesso parentesi intermittenti di blocco della scrittura.

Terminati gli studi alla St Paul’s Girls’ School, dopo vari rovesci sentimentali e un ricovero di nove mesi in un ospedale psichiatrico, nel 1933 vide la luce il suo primo e più famoso romanzo, Frost in May, oggi considerato un classico della narrativa a sfondo scolastico, sebbene privo del lieto fine che solitamente caratterizza il genere. La storia vanta uno stile limpido, distaccato, e racconta le giornate di Nanda Gray, un’alunna del collegio cattolico di Lippington, da cui però è infine allontanata a causa di uno spiacevole incidente. Il titolo, suggerito all’autrice da un articolo sulle rose trovato in una rivista di giardinaggio, sottolinea l’infelice destino di Nanda, a cui si accompagna una critica non tanto alla Chiesa quanto all’autoritarismo e alla miopia di un’istituzione educativa al limite del sadismo.  

Durante la Seconda guerra, segnata da un’esistenza che non le aveva risparmiato nulla, tornò definitivamente al cattolicesimo, una decisione motivata per esteso in un volume del 1965, The Hound and the Falcon, che contiene una serie di missive scambiate tra il 1940 e il 1941 con il sessantenne giornalista Peter Thorp, ex seminarista che come lei aveva da poco riscoperto la fede.

Anche se la scrittrice seguitò a non condividere alcuni aspetti della dottrina, specie quelli legati al sesso, e le sue simpatie erano tutte per gli intellettuali più divisivi, mosse diverse critiche alle riforme liturgiche introdotte a seguito del Concilio Vaticano II, ritenute impoverenti: 

«Nella messa ormai non c’è più spazio per il silenzio. Quando sono andata alla messa solenne in latino, sono stata profondamente scossa da un moto di nostalgia, [ma] sono stata pure colpita da quanto la liturgia abbia perso nella versione scarna che abbiamo oggi. Tutto quel lento e riverente rituale dà il tempo di apprezzare il significato mistico della messa. E persino l’ammirevole preoccupazione per le ingiustizie della società e gli ardenti preti “rivoluzionari” sembrano dare troppa enfasi a quello che si potrebbe definire il lato “materiale” del cattolicesimo – o forse “l’amore per il prossimo” a danno dell’amore per Dio».

Nel frattempo, grazie anche al supporto di alcuni amici scrittori come David Gascoyne, Dylan Thomas e Graham Greene, dopo anni di gestazione, la White era finalmente riuscita a pubblicare l’attesissimo seguito di Frost in May, intitolato The Lost Traveller, a cui erano seguiti The Sugar House (1952) e Beyond the Glass (1954). La protagonista, ribattezzata Clara, ancora una volta ripercorre più o meno le medesime tappe esistenziali della sua autrice, finendo per essere ricoverata a causa di un crollo nervoso. 

I romanzi, di impianto troppo tradizionale per colpire i critici alla moda, vennero accolti tiepidamente, col risultato che la White, oltremodo delusa, lasciò incompiute le bozze di un quinto libro della serie, conosciuto col titolo provvisorio di Julian Tye o Clara IV, e preferì trasferirsi per un periodo negli Stati Uniti, occupando la cattedra di scrittura creativa al Saint Mary’s College, affiliato alla Notre Dame University. 

A salvarla dall’oblio letterario ci pensò Carmen Callil, fondatrice della Virago Press, incontrata alla fine degli anni Settanta. Quest’ultima fece ripubblicare Frost in May e i suoi seguiti garantendo alla scrittrice, di cui divenne anche agente, una fama mai goduta prima. 

Dopo la morte della White, avvenuta nel 1980, videro la luce il frammento autobiografico As Once in May – incentrato sui suoi primi anni di vita– e i diari, raccolti in due volumi. Nel 1982 la BBC acquistò i diritti dei romanzi e ne trasse una miniserie in quattro episodi.

Grazie alla Virago, ancora oggi in prima linea nella promozione di una letteratura “al femminile”, la scrittrice in perenne crisi creativa continua, almeno in Inghilterra, a essere letta e amata. C’è da esser certi che nulla l’avrebbe resa più felice.

Luca Fumagalli

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