
“Dove tu indugi, sarà tiranno”. Ritratto del folle
Pangea - Monday, July 21, 2025Temi il folle: egli non farà né ciò che si conviene né ciò che conviene.
Temilo perché è folle. E non gli estorcerai niente, di ciò su cui far leva è ragionevole, e vigliaccamente, secondo ragione, ricattare. Sarai capace di avvicinarlo solo nello stigma e nel timore.
Egli non si redime né può, né ha da servirgli d’esser redento: e questo lo rende un Dio, al tuo confronto.
Dove tu indugi, sarà tiranno, farà strame e macello. Dove tu tiri dritto, indugerà con gusto e letizia, e gentilezze squisite che non puoi né devi conoscere – inusitate e imprevedibili.
Deliberatamente carezzerà il nemico, fuori d’ogni ragione utile, e trafiggerà chi gli sorride tendendogli la mano; ma potrebbe anche arrivare a torturare il suo torturatore, e il nemico far soccombere, fra sangue e guano, e senza una ragione, ancora, che tu comprenda o possa al modo suo.
Il suo genio è nudo, lo si sa, non ha strade segnate e avversa l’idea stessa di direzione. Alle pesanti palpebre della stagnazione, preferisce la follia esagitata del propugnare uscite dal solco. Delira, lo si sa, aggiunge all’ovvio più tondo logiche dispari e grappi di stelle acuminate. Siderali distanze lo separano dall’ordinario elevato a regola, è dissipatore d’anima e ingegno. Abbiate timore della sua bestiale, innocente virtù, perché porta tempesta dove non si alzerebbe un solo vento; perché depone doni e profferte all’altare della dissidenza più sistematica. Il suo pensiero coopta spesso Ockham, ma di gioco ridonda, sempre, e sperimentante bellezza. Il suo eccedere cuce in segreto le ferite senza voce del mondo, ma è anche la benedizione del bastante. Egli onora luoghi e parti di sé che i più ignorano o misconoscono, e sa che il suo linguaggio è enigma insolubile presso chi esibisce una povera grammatica prona alle leggi del verosimile e ai suoi regni filistei. L’audacia del suo fuoco è fulgida e sbilenca, divora parole cortigiane come smesse pelli, condanna ogni autismo intellettuale e morale, prende campo in una eterna battaglia per tenere in vita parti del mondo che altrimenti morirebbero in serie senza un lamento.
Ha presumibilmente conosciuto anguste corsie, di perdita di sé e estorsione di ciò che essere non voleva, e che strozzavano vista e cuore, cucivano il giorno e la notte in un’uguale trama di protratta anestesia. Ha conosciuto la guarigione come ricatto e la libertà gabellata per necessità di guarigione. Egli è guerriero, guerriero della mente e amico della mano sinistra. Innalza la bellezza al di sopra del suo stato bruto di vento tagliente e nuda terra, e la pone nel calice di un fiore muto.

Strappa all’assenza un barlume di presenza, una traccia, qualcosa che aggira l’ovvio e descrive cerchi soavi di farfalla. Lotta contro i suoi stessi sogni, che ha visto mutare in incubi di piombo e cristallo, magma e tempesta – profondo come una galassia, temprato e destro al soffrire… Disperatamente fuori dal cerchio di luce del domato fuoco d’ogni civiltà.
Temilo perché senza essere a modo tuo, egli è in sé, e più che te od altro. Temilo perché non fa ciò che serve, perché è un mostro e un Dio, in salute della sua malattia, che veleni morali non sa: tutti gli elementi in lui coesistono e sono, senza prevalere l’uno sull’altro, secondo ragione, che non sia natura alla natura sparsa, come lava nella lava.
Temilo perché non potrai piegarlo avvicinandolo a te, perché non potrai ricattarlo – benedizioni o maledizioni non conoscendo, che inflitte siano, o da chicchessia ammannite.
Egli è sempre distante oceani e stelle, egli è dove tu paventi e non comprendi: nel suo male e nel suo bene, ontico e ontologico assieme. Per questo né si salva né salvezza concepisce, e la sua colpa sempre, è originaria, i suoi fini terrifici e netti – che son l’una cosa e l’altra senza giustificazioni.
Temilo perché lo torturasti proprio come un folle, quando violento non fu né esser voleva, e lo blandisti spremendo altra violenza, per paura della sua violenza, dalle nutrite tette della sua anima superiore.

Temilo perché inventasti tu la colpa e la cura, e mai sapesti andare oltre il delitto dell’una nell’altra. Temilo perché Napoleone e Hitler furono e sono colpevoli, e non folli abbastanza, e della stessa tua colpa che abbisogna d’un concetto in soccorso all’inerzia del suo macchinico sfacelo, ma mai fuori da essa, se non per “pruderia” morale dell’inconcepibile.
Temilo perché ottimizzare il delitto a scopi ritenuti superiori, è cosa tua e non sua.
Temilo, perché, al fine, la libertà non potrà essere né merce né privilegio desunto – nel bene e nel male. Temilo in entrambe, dunque.
Massimo Triolo
*Nell’articolo: opere di Johann Heinrich Füssli (1741-1825)
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