
“Della Bellezza e delle tenebre che convivono nel mio cervello”. Lois Pereiro, il poeta della controcultura
Pangea - Friday, August 1, 2025“Ci sono occhi che vanno al fondo delle cose. Che ne scorgono il fondo. E ce ne sono altri che vanno nella profondità delle cose. Essi non scorgono nessun fondo. Ma vedono ben più a fondo”.
[P. Celan, Microliti]
Lois Pereiro fu un poeta. Autentico come la sola poesia, quando è lotta, è autentica. “Questa è la natura finale delle parole” [M. Rivas]. Gli specchi, questa alchemica calcinazione di argento e mercurio, sono l’epifania della luce mediante l’oscurità della materia di cui sono consustanziati.
E la poesia di Pereiro ripropone la medesima simmetria in un teatro della crudeltà, dell’oscenità batailliana/beniana, ordita di eros e uncinata di morte. Nato nel 1958 e morto di Aids nel 1996, il galego (l’edizione che mi arde le dita – Poesia ultima di amore e malattia, 1992-1995, Aguaplano, 2017 è frutto dell’attività di ricerca del Centro di Studi Galeghi dell’Università di Perugia, per la cura magistrale di Marco Paone cui estendo il mio più sincero ringraziamento per l’amore che tracima sin dalla Introduzione) sembra la scaturigine di alcune delle più riuscite eterografie di Bolaño, con il suo cromatismo prepotente ma interrotto di sangue e di inchiostro. Come avrà a pronunciare in uno de suoi ultimi interventi su rivista lo stesso Pereiro:
“Nulla importa di ciò che ho scritto: solo immagini e parole d’inchiostro, in poesie fatte con la mia vita e il mio sangue liquido, con cui ho convissuto nella stessa tonalità”.
Vera “icona della controcultura galega” [Nogueira, 2011], Pereiro dopo l’infanzia in provincia di Lugo si trasferisce a Madrid nel 1975 per studiare Sociologia. Deluso dall’università come sovente accade a chi di talento in proprio già esonda si dedicherà allo studio della lingua francese, inglese e tedesca; anni di Transizione quelli del post-Franco in Spagna e la Capitale ne è l’epicentro di più vasta magnitudo. Tra il 1975 e il 1978 la rivista “Loia” fungerà da luogo di incontro e sperimentazione per i galeghi residenti a Madrid. Nel 1981, in seguito all’avvelenamento da olio di colza (che in Spagna colpì più di 20mila persone uccidendone all’incirca mille) fece ritorno in Galizia dove lavora come traduttore per il doppiaggio di film e serie televisive galeghe, nonché – ed è qui che Bolaño si appalesa – per il mondo del porno. Appassionato viveur del Rinascimento spagnolo che permea gli anni ’80, Pereiro collaborerà con gruppi rock, riviste d’avanguardia e poetiche viaggiando al contempo attraverso l’Europa, sotto il segno della musica alternativa e della poesia che Pereiro dimostra di maneggiare con innata maestria ed inquietudine. Nel 1992 Paco Macías, dapprima collega di doppiaggio ed in seguito fondatore della casa editrice “Positiva”, lo inviterà a pubblicare la sua prima silloge, Poemas 1981-1991; nel 1994 gli verrà diagnosticato l’Aids e nei suoi due ultimi anni, tra ricoveri, amore e disamore, inizia a scrivere Poesía última de amor e enfermidade (1995), testo di culto e definito dal fratello Xosé “il libro più sincero e crudele della letteratura galega contemporanea”.
In uno degli ultimi interventi pubblicati dal poeta, il cui titolo swiftiano/borgesiano già si connota di manifesto – Modesta proposta per rinunciare a far girare la ruota idraulica di una storia ciclica e universale dell’infamia (1996) – il galego consegnerà il proprio testamento:
“La vera Poesia non mente mai, per quanto possa ferire. Chi crea qualcosa senza intenzioni perverse è innocente rispetto alla sua possibile perversione. Bernhard, Beckett, Cioran, Genet, Celan, Valente, Schopenhauer, Pound, Carver, Poe avevano ragione, abbiamo ragione. E avevano ragione Yeats, Dylan Thomas, Eliot, Joyce, Omero, Dante… e abbiamo ragione, ognuno di noi allo stesso tempo, come tutti i pittori, tormentati o felici, della Bellezza e delle tenebre che convivono con me nel mio cervello, discutendo senza pausa nella mia anima…”.
In Poesia ultima di amore e di malattia Pereiro costella la raccolta di citazioni ed allusioni, precipuamente nelle epigrafi ai testi, in un processo di condensamento del suo universo poetico, consapevole di avere poche pagine per far martirio, testimonio di sé. La silloge si compone di 3 sezioni:
“La prima parte riflette la mia autodistruzione, non riuscita. La seconda la mia resurrezione, quando torno ad amare la vita dopo un fallimento intimo e sociale – la sensazione di non aver ottenuto nulla. L’ultima parte del libro è più generazionale, collettiva”.
[Pereiro, 1996]
La scrittura è misuratamente trattenuta, lo sperimentalismo delle prime pubblicazioni si stempera in un ideale babelico di poesia ULTIMA per l’appunto che ibridi tecnicismi e lingua volgare, genuinamente popolare, una lingua espressiva ed esplosiva che possa descrivere tanto la personale Passione del poeta quanto il mutamento sociale in atto nella nazione iberica.

Quanto segue è una necessaria carrellata almovodoriana su alcuni dei testi – a nostro giudizio – più significativi dell’universo poetico del galego estratti dall’athanor della sua estrema fatica:
“Sapere che si sta per morire
e il corpo è un paesaggio di battaglia:
un mattatoio nel cervello.
E tu permetteresti, deserto amore,
che in questa febbre penitente aprissi
l’ultima porta e la chiudessi
dietro di me, sonnambulo e impassibile,
o infileresti il piede
fra essa e il destino?”
(Curiosità)
*
“Il passato marcisce sotto terra
e il presente non scorre,
è un fiume morto.
Ma questa volta non ci sarà resurrezione
e il futuro è per forza altro da me.”
(If I Die Before I Wake, che echeggia ombreggiature care a Pereiro come quelle dei Joy Division, in ciò avvicinandosi ai coevi esiti di un altro sepolto “d’autore”, Michael Strunge)
*
“(…) accettando che avrei dovuto sapere
impedire a me stesso
di scoprire che sono stato solo un interludio
spietato fra due muri di silenzio…”
(Acrostico)
*
“Immergersi nel silenzio è ciò che distingue
coloro che amano con spirito suicida
da quelli che solamente sono
un sogno breve.
Nel viaggio notturno che intraprendiamo
all’interno di un corpo differente
un atto d’amore è un fluido urgente
di sudore lacrime e sperma
contro la paura
parole disarmate
desideri che si perdono
nella nebbia di mille notti
fra le lenzuola sconvolte
dal feroce presente
di due corpi che dimenticano.”
(I)
*
“Innamorato un’altra volta
dell’amore che porto dentro
la sete furiosa di un futuro
ha esaurito le mie alternative
portandomi dritto verso l’impatto:
un proiettile congelato in aria
a pochi metri da un cuore freddo
e attendo un minimo segno di calore
per aprire la sua pelle ed entrare nel sangue
vinto dalla forza del desiderio
ciecamente e senza paura
del possibile disastro.”
(III)
*
“(…) Notti in bianco come lenzuola umide
nelle circonvoluzioni del mio cervello
tese sempre al vento del pericolo
dell’eruzione e della combustione eterna
di un’altra pelle desiderata che sarebbe arsa
nel fuoco che la sua visione aveva provocato.
(…) Una stagione all’inferno, un’altra in cielo
momentaneamente accogliente e terso,
e alla fine sempre la triste bellezza
di un’altra prova generale del sonno eterno.”
(VI)
*
“(…) Ascolta come attraversa il silenzio
questo rumore carnale disperato
che si avvicina notturno alla tua esistenza
contagiando i tuoi desideri con i suoi
e penetrando in te si va radicando
impercettibile e fatale
nelle tue viscere.”
(Prayer, XII)
*
“Maledico il dolore che porto in ogni cellula!”
(dall’epigrafe a Precauzione, XVII)
*
“(…) E io sono qui
con lei dentro sempre
insonne
e irredenta
come unica compagnia una volta ancora;
la malattia.”
(XXI)
*
“Il disamore, brutale amputazione
o atrofia di un sogno maltrattato,
dovrebbe essere sempre un rituale intimo
messo in scena in sale clandestine.
Interpretando monologhi organici
reciteremmo con scioltezza il dolore interno
delle nostre tristi ossa
quando l’amore si scioglie in emorragie
di liquidi desideri
abortiti.”
(XXII)
*
“(…) o meglio
inoculami tu
veleno dai tuoi denti
immergiti nel mio sangue
inièttati nelle vene
che ti osservano
e ormai dolente mi duole
il tuo dolore nel tuo desiderio
urlando in ogni osso
e la tua morte
mi uccide e mi resuscita
per alla fine
morire per me.”
(XXVII)
*
Altri e molti sarebbero i frammenti, le escoriazioni di Lois Pereiro da citare. Mi preme evidenziare come la duplice radice di cui al titolo della silloge sia pervasiva e martellante nell’immaginario poetico dell’ultimo Pereiro, condannato all’amore/impossibilitato ad amare.
Luca Ormelli
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