“Del dolore conosco la Rosa”. Sulle poesie di Giorgio Anelli

Pangea - Monday, September 22, 2025

Homo Poeticus 

In un momento come questo, nel quale il gesto di scrivere libri ha perso ormai totalmente di senso, tanto che forse sarebbe meglio il contrario, la poesia resta l’ultimo baluardo a proteggere questa sacra vocazione, l’unico presidio in difesa di un tempio troppo spesso profanato in maniera ingiusta; si tratta di un’esperienza, una delle pochissime fra quelle una volta elettive, che ancora e per fortuna non è scesa alla portata di tutti, o di chiunque intenda farsi chiamare autore o autrice perché ha espettorato qualcosa su un foglio cartaceo o digitale. Tutto questo è successo se non altro perché il verso ha delle regole, una musicalità, una complessità anche strutturale, cose che vanno imparate e poi rispettate, concetti estetici che costitutivamente non possono essere alla portata di prosatori pedestri e occasionali. 

Il poeta vero e di talento autentico sa rispettare le regole della composizione in modo naturale e ignaro: il genio è anche padronanza tecnica sublime ma inconsapevole. In più la poesia ha anche una storia, che la rende unica, e ogni opera in versi si colloca in un fluire atemporale, mentre invece, oggi, chi scrive, non considera niente e nessuno oltre sé, pensa di essere il primo e l’unico al mondo, trascurando il fatto che prima di lui ci sono stati Pablo Neruda, Josif Brodskij, Sylvia Plath, e Emily Dickinson. E la poesia è protetta non solo delle regole imposte dal metro, ma anche da quell’istanza autoriale unica nel redigere l’opera, che è qualcosa che anima solamente il poeta, il quale si distingue per la sua voce innocente, la limpida spontaneità, la grazia sorprendente. Tutte cose totalmente antitetiche rispetto alla meschinità borghese, contro la quale la silloge di poesie ci regala un sentire di nuovo, nudo e puro, una fresca lettura delle più banali movenze della vita, alla luce di una superiore sensibilità. Concetti unici, che fanno di quelle parole una sorta di osservatorio distintivo, una peculiare finestra sulle cose, a cui consegue una diversa visione del mondo. 

Ben lontano da qualunque eventuale soluzione consolatoria, il poeta vero mischia con naturalezza il comico e il tragico della vita, la storia del mondo, e gli eventi personali. Vede le cose basse ancora più dal basso, e sa elevarle ancora più dell’alto. Si sente perseguitato da guardoni curiosi e cinici, e provocato continuamente dalla bruttezza e dalla volgarità dei suoi contemporanei. Offeso da tutto ciò si scava una tana dentro di sé, e nello sforzo lirico, emette un segnale di sola andata, come un’antenna che spara messaggi nello spazio disabitato del cosmo. Crea nuove sensibilità nelle coscienze, attraverso il recupero di sentimenti antichi, è drammatico in senso classico, ma ciò nonostante sa anche innovare, costringe i lettori a comprenderlo, superando così l’invisibile e pigra immobilità che ci impedisce spesso di capire noi stessi. Tutto questo privilegio nel sentire non è ripagato con la gloria e con la ricchezza, ma al contrario, il poeta ottiene in cambio solo un grande dolore ed una irreversibile solitudine. (Sandro Bonvissuto)

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Dal vostro al mio esilio

Oh, voi immortali
poeti d’ogni dove:
poeti d’oltre oceano
e della madre Russia.
Poeti impanicati
e poeti sbeffeggiati
nascosti e salvati in ogni angolo del mondo;
poeti suicidati e poeti martoriati nella Storia,
io vi dico:
non solo nel libro di Davide è il mio esilio,
ma nei vostri libri!
In tutti i vostri libri che traboccano versi intoccabili,
io ritrovo vita e respiro
e seppur solo – seppur solo! –
attraverso le parole d’ogni tempo: libero.
Perché l’epoca è adesso
nella lettura d’un sacro verso;
qui e ora,
nella letteratura che dà senso
al più profondo isolamento.

*

                                                                        a Gian Ruggero Manzoni

Quell’uomo sconosciuto ha ucciso uomini,
è stato nei servizi segreti,
ha conosciuto Pier Vittorio Tondelli.
Quell’uomo un giorno mi ha osservato
si è avvicinato, e con un atto di umiltà e rispetto
mi ha stretto la mano.
Quell’uomo si chiama Gian Ruggero Manzoni
e crede in dio.
Cosa pensa di Amelia Rosselli e di Borges non lo so,
ma li ha conosciuti.
E quella notte, quando ci siamo salutati, mi ha detto:
«È come se ci conoscessimo da sempre».

*

Del dolore ne conosco la rosa
lo stelo e la spina.
Del dolore forse avverto la causa,
ma è il suo silenzio o il suo grido
ciò che mi affascina e mi riavvicina a dio.
Nel dolore riconosco una sequela,
un qualcosa di tradito,
un petalo spezzato
all’improvviso dal tormento.
Ma è il dolore della mente,
il silenzio dell’anima,
quello più inquietante.
E quel poeta che ne soffre ancora,
considerato pazzo da qualcuno,
in realtà sta tessendo
un poema d’amore.
Con le sue parole
rende vero un profumo,
colora le rose d’un rosso potente;
ne incarna il sangue, ne ribolle.
Dunque, che sia la tua rosa
la causa di tutto questo poetare?
Di tutto questo soffrire?
La tua rosa alchemica,
la mia alchemica rosa,
che nascondiamo da sempre al mondo
ma non a un amico di una sera soltanto.
Perché quel nostro incontro di poeti,
oltre a dare il senso alla scusa di uno sfogo,
permette al cuore di rinascere;
come quando una musa ti ama per davvero.

Giorgio Anelli

*I testi, compresa l’introduzione, sono tratti dall’ultimo libro di Giorgio Anelli, “Rosa alchemica, alchemica rosa”, Ensemble, 2025

*In copertina: Peter van der Doort, Amphiteatrum sapientiae aeternae, XVI sec.

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