Homo Poeticus
In un momento come questo, nel quale il gesto di scrivere libri ha perso ormai
totalmente di senso, tanto che forse sarebbe meglio il contrario, la poesia
resta l’ultimo baluardo a proteggere questa sacra vocazione, l’unico presidio in
difesa di un tempio troppo spesso profanato in maniera ingiusta; si tratta di
un’esperienza, una delle pochissime fra quelle una volta elettive, che ancora e
per fortuna non è scesa alla portata di tutti, o di chiunque intenda farsi
chiamare autore o autrice perché ha espettorato qualcosa su un foglio cartaceo o
digitale. Tutto questo è successo se non altro perché il verso ha delle regole,
una musicalità, una complessità anche strutturale, cose che vanno imparate e poi
rispettate, concetti estetici che costitutivamente non possono essere alla
portata di prosatori pedestri e occasionali.
Il poeta vero e di talento autentico sa rispettare le regole della composizione
in modo naturale e ignaro: il genio è anche padronanza tecnica sublime ma
inconsapevole. In più la poesia ha anche una storia, che la rende unica, e ogni
opera in versi si colloca in un fluire atemporale, mentre invece, oggi, chi
scrive, non considera niente e nessuno oltre sé, pensa di essere il primo e
l’unico al mondo, trascurando il fatto che prima di lui ci sono stati Pablo
Neruda, Josif Brodskij, Sylvia Plath, e Emily Dickinson. E la poesia è protetta
non solo delle regole imposte dal metro, ma anche da quell’istanza autoriale
unica nel redigere l’opera, che è qualcosa che anima solamente il poeta, il
quale si distingue per la sua voce innocente, la limpida spontaneità, la grazia
sorprendente. Tutte cose totalmente antitetiche rispetto alla meschinità
borghese, contro la quale la silloge di poesie ci regala un sentire di nuovo,
nudo e puro, una fresca lettura delle più banali movenze della vita, alla luce
di una superiore sensibilità. Concetti unici, che fanno di quelle parole una
sorta di osservatorio distintivo, una peculiare finestra sulle cose, a cui
consegue una diversa visione del mondo.
Ben lontano da qualunque eventuale soluzione consolatoria, il poeta vero mischia
con naturalezza il comico e il tragico della vita, la storia del mondo, e gli
eventi personali. Vede le cose basse ancora più dal basso, e sa elevarle ancora
più dell’alto. Si sente perseguitato da guardoni curiosi e cinici, e provocato
continuamente dalla bruttezza e dalla volgarità dei suoi contemporanei. Offeso
da tutto ciò si scava una tana dentro di sé, e nello sforzo lirico, emette un
segnale di sola andata, come un’antenna che spara messaggi nello spazio
disabitato del cosmo. Crea nuove sensibilità nelle coscienze, attraverso il
recupero di sentimenti antichi, è drammatico in senso classico, ma ciò
nonostante sa anche innovare, costringe i lettori a comprenderlo, superando così
l’invisibile e pigra immobilità che ci impedisce spesso di capire noi stessi.
Tutto questo privilegio nel sentire non è ripagato con la gloria e con la
ricchezza, ma al contrario, il poeta ottiene in cambio solo un grande dolore ed
una irreversibile solitudine. (Sandro Bonvissuto)
**
Dal vostro al mio esilio
Oh, voi immortali
poeti d’ogni dove:
poeti d’oltre oceano
e della madre Russia.
Poeti impanicati
e poeti sbeffeggiati
nascosti e salvati in ogni angolo del mondo;
poeti suicidati e poeti martoriati nella Storia,
io vi dico:
non solo nel libro di Davide è il mio esilio,
ma nei vostri libri!
In tutti i vostri libri che traboccano versi intoccabili,
io ritrovo vita e respiro
e seppur solo – seppur solo! –
attraverso le parole d’ogni tempo: libero.
Perché l’epoca è adesso
nella lettura d’un sacro verso;
qui e ora,
nella letteratura che dà senso
al più profondo isolamento.
*
a Gian
Ruggero Manzoni
Quell’uomo sconosciuto ha ucciso uomini,
è stato nei servizi segreti,
ha conosciuto Pier Vittorio Tondelli.
Quell’uomo un giorno mi ha osservato
si è avvicinato, e con un atto di umiltà e rispetto
mi ha stretto la mano.
Quell’uomo si chiama Gian Ruggero Manzoni
e crede in dio.
Cosa pensa di Amelia Rosselli e di Borges non lo so,
ma li ha conosciuti.
E quella notte, quando ci siamo salutati, mi ha detto:
«È come se ci conoscessimo da sempre».
*
Del dolore ne conosco la rosa
lo stelo e la spina.
Del dolore forse avverto la causa,
ma è il suo silenzio o il suo grido
ciò che mi affascina e mi riavvicina a dio.
Nel dolore riconosco una sequela,
un qualcosa di tradito,
un petalo spezzato
all’improvviso dal tormento.
Ma è il dolore della mente,
il silenzio dell’anima,
quello più inquietante.
E quel poeta che ne soffre ancora,
considerato pazzo da qualcuno,
in realtà sta tessendo
un poema d’amore.
Con le sue parole
rende vero un profumo,
colora le rose d’un rosso potente;
ne incarna il sangue, ne ribolle.
Dunque, che sia la tua rosa
la causa di tutto questo poetare?
Di tutto questo soffrire?
La tua rosa alchemica,
la mia alchemica rosa,
che nascondiamo da sempre al mondo
ma non a un amico di una sera soltanto.
Perché quel nostro incontro di poeti,
oltre a dare il senso alla scusa di uno sfogo,
permette al cuore di rinascere;
come quando una musa ti ama per davvero.
Giorgio Anelli
*I testi, compresa l’introduzione, sono tratti dall’ultimo libro di Giorgio
Anelli, “Rosa alchemica, alchemica rosa”, Ensemble, 2025
*In copertina: Peter van der Doort, Amphiteatrum sapientiae aeternae, XVI sec.
L'articolo “Del dolore conosco la Rosa”. Sulle poesie di Giorgio Anelli proviene
da Pangea.