La prima volta che ebbi tra le mani un libro di poesie del grande Victor Hugo fu
alla biblioteca civica Luigi Maino di Gallarate. Non sapevo affatto ‒ come molti
di voi, suppongo, del resto ‒ che il grande narratore francese avesse scritto
persino delle poesie. La sorpresa fu doppia, perché una volta aperto il libro,
scoprii che (scritto a matita) lo stesso era stato donato da Franco Buffoni alla
Biblioteca. Giuro, avrei voluto trafugare il libro!…
Va detto che il poeta Franco Buffoni io non lo conoscevo, né mai l’ho conosciuto
di persona; eppure il destino ha fatto sì che in alcune circostanze i nostri
sguardi e le nostre parole s’incrociassero per imbastire brevi aneddoti, che
adesso non starò certo qui a raccontare.
Quel che importa ricordare però, ora, invece, è la potenza della poesia di Hugo.
Difatti, lo stesso identico libro di allora (Hugo, Poesie, Mondadori 2002), è
tornato a me (non solo tra le mie mani, ma a far parte della mia “piccolaˮ
biblioteca). E leggendo di gran carriera ieri sera le poesie raccolte in questa
vasta antologia, pubblicata per i duecento anni dalla nascita del poeta, non
solo ho goduto assai dal piacere, ma soprattutto mi ci sono ritrovato
pienamente. Come se nei suoi versi Victor Hugo mi conoscesse e mi descrivesse
perfettamente.
Tra l’altro, detto per inciso, sono molte e varie le poesie che egli dedica al
poeta. Ma non sono le uniche potenti. La maestria dell’autore francese è
rinomata anche nello scrivere versi in tutti gli svariati temi che singolarmente
affronta.
Su tutte, quella dove mi ci ritrovo completamente s’intitola È bene che il
poeta…
> È bene che il poeta, assetato d’ombra e di cielo,
> Spirito dolce e splendido, che irraggia chiarità,
> Che innanzi a tutti cammina, illuminando chi dubita,
> Cantore misterioso che trasalendo ascoltano
> Le donne e i sognatori ed i saggi e gli amanti,
> Diventi in certi istanti un essere terribile.
> Talvolta, quando fantastica sul suo libro,
> Ove ogni cosa culla, abbaglia, calma, carezza, inebria,
> E l’animo a ogni passo trova polline per il suo miele,
> E gli angoli più bui hanno luci celesti;
> In mezzo a quell’umile ed alta poesia,
> In quella pace sacra in cui cresce il fiore prediletto,
> E si sentono scorrere le sorgenti ed i pianti,
> E le strofe, uccelli dipinti di mille colori,
> Volano cantando l’amore, la speranza e la gioia,
> Occorre che, a tratti, si tremi, e si oda,
> Di colpo, scuro, grave, tremendo per chi passa,
> Dall’ombra un verso feroce uscire ruggendo!
> Occorre che il poeta, il poeta dal seme fecondo,
> Somigli alle foreste, verdi, fresche, profonde,
> Piene di canti, amate dal sole e dal vento,
> Incantevoli, in cui d’un tratto s’incontra un leone.
>
> Parigi, maggio 1842
Confesso che stare nei boschi di montagna mi ha educato a questo tipo di poesia
e di vita. Stare nei boschi di montagna mi ha insegnato ad essere feroce e
fecondo, fiore prediletto, speranzoso cantore misterioso. Del resto, che il mio
urlo rimbombi tuttora per certe valli e in altrettanti luoghi immersi nella
natura e nel sentimento panico, non è cosa affatto scontata e banale.
Giorgio Anelli
*In copertina: Victor Hugo, Octopus, 1866–69
L'articolo “Occorre che il poeta somigli alle foreste”. Una poesia di Victor
Hugo proviene da Pangea.