“Se nel tuo cuore appare una rosa, diventa quella rosa”. Jami, il poeta sapiente

Pangea - Saturday, December 20, 2025

Morì nel 1492, secondo il calendario d’Occidente, Jami – un anno fatale. Cristoforo Colombo aveva scoperto l’America; il Sultanato di Granada, ultimo lembo musulmano in Spagna, veniva definitivamente corroso. A suo modo, anche la figura di Jami è uno spartiacque tra il vecchio e il nuovo mondo della poesia persiana – con lui, un pioniere, benché radicato nella tradizione, un’epoca finisce. Mahmood Jamal, ideatore, per Penguin, della più nota antologia di poesia Sufi, Islamic Mystical Poetry, lo definisce “l’ultimo grande poeta sufista, l’ultimo grande interprete della lirica persiana”. 

Mawlanā Nūr al-Dīn ’Abd al-Rahmān – questo il nome autentico, per esteso – nacque a Torbat-e-Jam, nell’attuale Iran, al confine con l’Afghanistan, nel 1414. Fu il padre a introdurlo alla mistica Sufi, dopo averne saggiato i ‘segni’. Jami – il nome proviene dal luogo natio; così il poeta si celebra in un distico: “Jam è il mio paese natale, del miele di Ahmad/ si è abbeverata la mia profetica penna” – perfezionò gli studi a Samarcanda. Nel curriculum di un sapiente dell’epoca, la conoscenza lirica – necessaria ad assurgere a Dio, ad assaggiarne il nettare – si mescola a quella scientifica, terrena: all’uomo compiuto è chiesto di unire cielo e terra nelle proprie mani, di divorarli. Di Jami, tra i molteplici scritti – un’ottantina – resiste uno studio per progettare strumenti idrici ancora efficaci. Conosceva i metodi per irrigare a dovere i campi – i modi per dare acqua agli assetati di sapienza. 

Per un po’, pensò di unirsi totalmente a Dio, mollando il mondo con radicalità catacombale. Infine – sedotto da un sogno, certo di averne intuito i rivoli simbolici – sposò la nipote del suo maestro, Kasgari. Ebbe quattro figli – tre morirono poco più che neonati; il dolore, a fendenti, istruì Jami negli impossibili meandri della perseveranza. Ebbe incarichi a Herat, dove edificò la sua scuola; dominavano i Timuridi, gli eredi di Tamerlano. Fu attratto dalla dissoluzione del sé – a tratti, disse di sentirsi “sparire” – e lo sentì “spaventosamente”.

Nei suoi insegnamenti mistici, Jami enfatizzava la via dell’amore – “O Jami, solo Amore è la via verso Dio:/ la pace ammanti chi segue la vera via” – l’unica capace di scuotere l’uomo dal mondo. Credeva nella veglia incessante, nella pratica del silenzio, nella meditazione che porta a confondere il proprio stato terreno con quello celeste. Credeva che l’uomo può – scotennando la propria crosta transeunte – sbocciare in creatura angelica. Uomo, crisalide di Dio. Scrisse che Dio è ovunque, che si manifesta in ogni cosa, che il compito del seguace Sufi è assurgere alla dimensione del ‘santo’, colui che supera l’etica della differenza, le istituite distinzioni, al di là del bene e del male, immerso nell’ardore. 

Radunò una serie di celebri “Fiabe mistiche” che sfociano in una morale spiazzante rispetto ai canoni mondani. È nella poesia, tuttavia, che si consolidano le sue esperienze mistiche e sapienziali. È vero: Jami non è un innovatore – sarebbe inesatto intenderlo come un ‘esecutore’. Egli porta a compimento il ciclo della grande poesia persiana – di Rumi, di Hafez, per intenderci – riutilizzandone codici e cliché; eppure, alcune sentenze trovano nei suoi versi una freschezza arcana, immotivata, soltanto sua. Tentò di elevare l’uomo dalle ganasce del pensiero, dai sofismi, le levatrici del maligno; scrisse che “Ogni pensiero/ che non sia memoria di Dio è malvagio”.

Un’epigrafe irradiava, dalla tomba, il suo estremo sentire. “Quando il tuo viso si nasconde, come la luna è nascosta dalle nuvole oscure, stillo lacrime stellari: nonostante le stelle, a miriadi, rimane buia la mia notte”. È bello – nei giochi delle corrispondenze – tracciare avidi legami, impossibili, con Giovanni della Croce (uno spagnolo, non a caso). Anche in Jami, il rovesciamento dei simboli è totale: ciascuno sperimenti la propria notte, fino alla cecità. In sovrappiù, Jami identifica l’andare ‘lunatico’ dell’Amato, la necessità del pianto – quasi che le stelle non siano che lacrime cristallizzate. Del sapiente, svanì la tomba, il corpo, l’eremo del pianto. 

Agli studenti che gli chiedevano di essere ammessi alla sua scuola, Jami chiedeva, anzi tutto, se fossero mai stati innamorati. Di fronte a chi diceva, con servile severità, di non aver mai amato, rispondeva, “Vai – ama – poi ritorna: ti mostrerò la via”. A dire che non esiste ascesi senza l’abisso della carne, la rovina del corpo – sfigurarsi sullo spigolo di questa terra. 

***

Nel giardino

Nel giardino, sulla riva del fiume
con il calice in mano:
Sorgi, Saqi! Versami il vino!
L’astinenza qui è crimine!

Lo Sceicco è ubriaco di religione:
la paura affolla le moschee,
ma la vera estasi permane
nella bettola piena di ubriaconi. 

Hai baciato il calice con le tue
labbra: ero così ubriaco che 
non ho distinto il rosso della
tua bocca dal rosso del vino. 

Non devi sguainare la spada
per spezzarmi il cuore:
trattieni le armi, il tuo sguardo
è un dardo sufficiente. 

Agli uomini che confidano
nella ragione non spiegare 
le pene d’amore; non svelare
tali segreti ai mediocri. 

Jami è ubriaco del tuo Amore
e non ha ancora cominciato
a bere: in questo banchetto
nessuno ha bisogno di vino.

*

Il senso dell’insensato amore 

Quando l’eternità sussurra “Amore”
Amore mette il fuoco nello stilo. 

La penna sorge dall’eterno desco
e disegna ogni bellezza possibile. 

I cieli sono i virgulti di Amore
gli elementi vengono al mondo grazie ad Amore.

Senza Amore non capisci il bene né il male;
ciò che orbita lontano da Amore è inesistente. 

Il tetto azzurro del mondo
che ruota lungo le vie del giorno

è il Loto del giardino di Amore
è l’elsa del bastone di Amore. 

Il magnete nel cuore della pietra
che costringe il ferro a scalpitare

è Amore dalla volontà ferrea
appare nell’abisso della roccia

contempla la pietra nel suo riposo
e ama chi lo ama. Da qui

proviene il dolore di chi è lapidato
dall’Amore per l’Amato. 

È vero: Amore reca dolore
ma è anche il più puro conforto. 

L’uomo non può sfuggire al ciclo
della vita e della morte senza la benedizione di Amore.

*

O Tu, la cui bellezza è in tutto ciò che è manifesto
possano mille venerabili spiriti essere il Tuo sacrificio!

Come un flauto canto il canto della separazione
da Te, anche se mi sei vicino in ogni istante. 

L’Amore si rivela in tutto ciò che vediamo:
a volte ha le vesti di un re, altre volte

è un mendicante, vive per strada
ha la ciotola dell’elemosina in mano. 

Issati, o Saqi, e versa il vino
che lenisce il dolore dai nostri cuori!

Quel vino ci libera dall’onnipotente io
gettandoci nella certezza del Potente. 

O Jami, solo Amore è la via verso Dio:
la pace ammanti chi segue la vera via. 

*

Sono così ubriaco che il vino mi esce dagli occhi;
il mio cuore è in fiamme: sento il suo odore mentre brucia! 
Se l’Amato si presenta a mezzanotte senza veli
un anziano estremista scapperà dalla moschea. 
Ti ho visto all’alba e ho dimenticato di pregare:
è inutile la supplica quando il sole sorge. 
Su una goccia del dolore di Jami cadesse nel fiume, 
i pesci, arsi dal dolore, balzerebbero a riva.

*

Ti attraggono le forme terrene: 
il destino le incenerirà tra un attimo – 
va’ e dona il tuo cuore a chi è sempre 
stato con te e con te resterà sempre.

*

Ho vissuto rincorrendoti – ho lottato
per unirmi a Te: intuire il tuo sguardo
tra fraintesi d’ombra è preferibile, per me, 
che assaggiare le più belle bellezze della terra. 

*

Oh, mio cuore… quanto ancora cercherai
il perfetto nelle scuole, per quanto tempo
continuerai a perfezionarti con la filosofia
e le regole matematiche? Ogni pensiero

che non sia memoria di Dio è malvagio.
Inchinati davanti a Dio, slaccia da te
ogni pensiero, molla il mondo dei concetti
ai filosofi, agli stolti intellettuali!

*

Il mondo esiste grazie a Te
ma di Te non c’è traccia:
benché Tu non abbia bisogno
di me, io vivo per Te. 

*

Il vicino e il parente, lo straniero e il vagabondo:
tutti sono Lui! – Lui è nell’abito del mendicante
e nella stola del re. Nelle assemblee e nelle alcove
nei tribunali e nei postriboli, Dio è in tutto, il tutto è Lui. 

*

Senza velo non posso vederti
senza schermo non posso fissarti:
prima devo raggiungere l’illuminazione.
D’altronde, chi può scrutare le sorgenti del sole?

*

Se vuoi essere l’inquieto usignolo, diventa usignolo!
Tu sei una parte e la Realtà è il Tutto:
per qualche giorno medita sul Tutto, diventa Tutto!
Se nel tuo cuore appare una rosa, diventa quella rosa. 

**

Fiabe mistiche

Un cammello e un asino marciavano assieme. Giunti alla riva di un fiume, il cammello si immerse per primo in acqua. L’acqua gli arrivava poco oltre le ginocchia, refrigerando appena il corpo. Così disse: “Vieni anche tu, il fiume mi arriva soltanto ai fianchi!”. “Ti credo”, rispose il saggio amico dalle lunghe orecchie, “ma noi siamo molto diversi: l’acqua che ti arriva ai fianchi mi sommergerebbe la schiena…”.

Il saggio rifiuta di farsi condurre oltre le profondità che conosce. 

*

Il cane e il pane

Un cane, straziato dalla fame, stava alle porte di un villaggio quando vide una pagnotta rotolare fuori dalle mura e dirigersi verso il deserto. Il cane si lanciò all’inseguimento, corse, gridando, “Oh Bastone della Vita, Potenza del Viaggiatore, Oggetto del mio Desiderio, Consolazione dell’Anima! In quale direzione volgi i tuoi passi, dove stai andando?”

“Nel deserto”, gli disse il pane, “a trovare i miei amici, il lupo e il leopardo, per ricambiare la visita che mi hanno fatto, un tempo”. 

“Il tuo discorso sprezzante non mi spaventa”, replicò il cane, “ti inseguirei nella bocca di un coccodrillo, tra le fauci di un leone. Se rotolassi per tutto il mondo, ti inseguirei comunque”. 

Chi vive di solo pane si sottomette, per averlo, ai più vili abusi: è come un cane famelico. 

*

La vespa rossa e l’ape

Una vespa rossa, un giorno, attaccò un’ape, desiderosa di suggere della sua dolcezza. L’ape iniziò a piangere dicendo: “Circondanti come siamo dal più puro miele e dal dolce nettare dei fiori, perché insegui soltanto me, abbandonando tutto il resto?”. La vespa rispose: “Se c’è del miele al mondo, tu ne sei la fonte; se c’è dolce nettare, tu ne sei la sorgente”. 

Felice l’uomo che distingue il vero dal falso e rifiuta di accettare il poco.  

*In copertina: Y.Z. Kami, Endless Prayers XXVIII, 2009

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