Scriveva Nietzsche nel 1881, che la filologia – arte di oreficeria verbale – ci
consente di sottrarci alla fretta, alla “precipitazione indecorosa e sudaticcia,
che vuol ‘sbrigare’ immediatamente ogni cosa, anche ogni libro antico e nuovo”.
La lentezza del procedere filologico diventa così un modo di aprire fenditure
nella superficie per prendersi tutto il tempo, raccogliere tutto il silenzio
necessario, per andare dentro le cose “con dita e occhi delicati”. Il
volume Aneddoti letterari da Petrarca a Scheiwiller (Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma 2024), a cura di Antonio Ciaralli e Carlo Pulsoni,
rispettivamente docenti di Paleografia latina e Filologia romanza all’Università
di Perugia, restituisce lo sguardo paziente degli studiosi.
Nella presentazione del volume, gli autori non mancano di sottolineare come il
richiamo nel titolo a Benedetto Croce, non possa far dimenticare la ben nota
avversione nei confronti della filologia, “incompatibile col proprio sistema”;
segno, per quanto ci riguarda, della serietà con cui sono disposti a considerare
perfino i limiti del procedere filologico, reo, secondo alcuni, di raffreddare
la potenza di un’opera letteraria, pur di ricostruirne le vicende che l’hanno
generata. Ma andare in profondità vuol dire entrare senza remore dentro l’epoca,
ricostruendo la storia della letteratura e della filologia in modo tale da far
irrompere questo passato, che soltanto, appunto, in superficie pare
archeologizzato, quindi morto, nelle espressioni di storia della letteratura e/o
della filologia, come fuoco vivo dentro il presente, sempre impegnato con
dannata fretta a liquidare sé stesso per inseguire un domani che si fa
contenitore vuoto.
I cinque capitoli che compongono il libro consentono salti temporali che vanno
dal Petrarca – con il riconoscimento della parziale autografia del manoscritto
Vaticano latino 3195, testimone dei Rerum vulgarium fragmenta del poeta, vero e
proprio punto di svolta nella storia della filologia petrarchesca – a Vanni
Scheiwiller, al mondo dell’editore milanese, al ruolo cruciale svolto nella
“riconciliazione ideologica” tra Pasolini e Ezra Pound. Il capitolo si apre
infatti con la fatidica data del 26 ottobre 1967 – specificando pure che si
trattava di un giovedì, sicché, al lettore, pare quasi di essere trasportato
personalmente indietro, dentro un incontro così carico di significati, non fosse
altro che soltanto la Poesia è in grado di superare gli steccati di vedute
ideologiche e politiche così diverse. Ma le coordinate di questo straordinario
incontro sono anche geografiche: Venezia, Calle Querini Dorsoduro 252, luogo di
riconciliazione.
26 ottobre 1967, giovedì
Senza tacere della relazione tra lo stesso Scheiwiller, Pasolini e il poeta
Biagio Marin, di cui il secondo fu sincero e vivace promotore e amico. In mezzo,
ci sono Leopardi, Montale, Ungaretti e Mario Praz. Lo spirito che anima questi
scritti e che illumina il senso profondo dello studio filologico è evidenziato
nella stessa introduzione, in cui Ciaralli e Pulsoni scrivono, a proposito del
ritrovamento del manoscritto su Petrarca, scoperto per la prima volta nel 1886
da Arthur Pakscher e Pierre de Nolhac, che la storia di un manoscritto finisce
con il riflettere lo spirito inquieto di un’epoca. Non a caso, proprio il
ritrovamento di questo manoscritto ebbe dei veri e propri risvolti politici, in
tempi in cui certamente filologia e storia concorrevano a ricostruire,
determinandola, l’identità nazionale degli Stati in Europa, in modo tale che la
supremazia negli studi storici e filologici garantisse in qualche modo
(blindandola, aggiunge chi scrive) quella sul piano politico. Perciò, guardando
dentro l’epoca e i suoi fermenti, possiamo osservare come le pretese
imperialistiche degli stati europei esondassero i piani meramente politici e
militari coinvolgendo, appunto, anche la filologia. Il capitolo su Ungaretti –
in particolare sulle varianti di Gridasti: soffoco – nella premessa sottolinea
la “difficoltà oggettiva” nel ricostruire origine ed evoluzione del testo. Come
giustamente rilevato da Marco Grimaldi, ciò è favorito anche dall’epoca digitale
in cui viviamo che, se da un lato consente una maggiore facilità nell’offerta
documentale al pubblico, dall’altro pare indurre surrettiziamente gli studiosi a
rinunciare alla ricostruzione (resa stratigrafica) del cammino di un’opera nel
tempo. Il volume, dunque, esprime fin troppo bene la cura da “sacerdoti della
memoria” che gli studiosi come Ciaralli e Pulsoni profondono in queste
discipline, che risalendo dentro la polvere del tempo sedimentata sulle opere,
le restituisce al loro ambiente, vive.
Livia Di Vona
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leggendario incontro tra Pasolini & Pound proviene da Pangea.