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“La lampada cammina, le ombre parlano”. Bogoraz e gli incantesimi dei Ciukci
Si trasformò da arguto rivoluzionario a “Robinson polare”. Nato Natan Mandelevich Bogoraz a Ovruč, attuale Ucraina, da famiglia colta ebraica, voltò il nome in Vladimir dopo essersi convertito al cristianesimo, firmava i suoi libri “Tan”. Come se il suo nome fosse il suono di un tamburo, un richiamo dai primordi d’Oriente. Agli studi di legge a San Pietroburgo, Vladimir alternava l’attività rivoluzionaria nei gangli dell’organizzazione antizarista e sovversiva “Narodnaja volja”. Arrestato nel 1886, poco più ventenne, fu spedito in Siberia, presso la Kolyma, in Jacuzia, area dei futuri campi stalinista, luogo d’orrore reso leggenda nei memorabili Racconti della Kolyma di Varlam Šalamov. La reclusione e l’esilio nell’Estremo Oriente russo cambiarono la vita di Vladimir Bogoraz. Fu affascinato dalla popolazione autoctona dei Ciukci: tribù di pescatori, di cacciatori e allevatori di renne, veneravano l’orso, vivevano in tende vaste come ville, si muovevano in kayak o su slitta. Sapevano addestrare il cane e la renna alla briglia. Erano riusciti a tradurre un luogo inospitale in una terra fertile di ‘segni’; perfino la più infima ombra, ai loro occhi, era viva: > “La lampada ha le zampe, cammina. Le pareti della tenda hanno voci > proprie…  le ombre sul muro costituiscono tribù ben definite, con un proprio > terreno di caccia, delle proprie dimore, dei cacciatori sapienti…” In questo mondo di ombre e di segni, che proliferavano ovunque, come il caglio di un dio, gli sciamani avevano un ruolo preponderante. Vivevano in prossimità dei boschi, addestrati dalle ‘voci’, per lo più eccentrici, decentrati all’esistenza comune. Evanescenti come la neve. A loro ci si rivolgeva di continuo: per propiziare la caccia e l’unione, per benedire le bestie e i nascituri, per dialogare con i morti, che dilagavano, dappertutto. Esistevano sciamani crudeli, scoppiavano guerre tra sciamani avversari. Bogoraz era affascinato, soprattutto, dalla struttura sociale dei Ciukci: pareva non avessero governanti diretti, le attività si svolgevano secondo un’‘autogestione’, per così dire, guidata da gerarchie cosmiche, da una consuetudine che nessuno osava intaccare. Gli parve di trovarsi di fronte a degli uomini buoni.  La prima raccolta di “Miti e leggende dei Ciukci” è pubblicata da Bogoraz nel 1899; l’anno dopo esce a San Pietroburgo l’importantissimo “Materiali per lo studio della lingua e del folclore dei ciukci”. Il giovane rivoluzionario divenuto pioniere dell’antropologia russa, è accolto nei gangli dell’Accademia delle Scienze. Quando può, però, Bogoraz attraversa l’oceano a sbarca a New York: presso l’American Museum of Natural History trova un complice nell’etnologo Franz Boas e partecipa alla mitica “Jesup North Pacific Expedition”. La missione si occupa di snidare, sondare e studiare le popolazioni indigene intorno allo stretto di Bering, tra Alaska e Estremo Oriente russo; l’esito di queste osservazioni permette a Vladimir Bogoraz – ormai americanizzato “Waldemar” – di pubblicare, nel 1910, Chukchee Mythology (da cui abbiamo tratto i testi in appendice) e nel 1913 The Eskimo of Siberia. Sono lavori miliari: la pagina dedicata ai Ciukci in Testi dello Sciamanesimo siberiano e centro-asiatico (Utet 1984; 2009), si avvale ancora di quel repertorio.  Rientrato in Russia, Bogoraz fu professore di etologia; forse vide in Lenin il prototipo dello sciamano moderno; intuì che la Rivoluzione era guidata da un fervore ‘magico’, che le masse si muovono soltanto se guidate dalle voci e dalle ombre – cioè: dalle idee o dal dio, che a tratti sono la stessa cosa. Nel 1930 fondò a San Pietroburgo – allora Leningrado – l’“Istituto dei Popoli del Nord”, con il compito precipuo di studiare le lingue degli indigeni, organizzandole per vocabolari. Fu facile per Bogoraz intuire la parentela tra i Ciukci e gli Ainu, gli indigeni del Giappone settentrionale, un popolo per molti versi avvolto nel mistero. Ma i tempi cambiavano con rapidità di fortunale: Bogoraz, patriarca dell’antropologia russa, fu attaccato dagli allievi più giovani perché si rifiutava di utilizzare i codici della “lotta di classe” nell’interpretare l’organizzazione sociale dei Ciukci. Lo accusarono di voler preservare i nativi del Nord dai fasti dello “sviluppo economico”: per Bogoraz il cosiddetto ‘progresso’ avrebbe definitivamente corrotto la sciamanica autarchia dei Ciukci. Voleva credere in un Eden nordico, nella possibilità – ancora viva, prossima – di poter parlare con le renne, di cavalcare l’orso, di coalizzare un esercito di spiriti. Le ombre avevano preso a dialogare con lui.  Il vecchio rivoluzionario fu costretto a ritrattare e a rivedere alcune conclusioni. Comunque, morì poco dopo, nel maggio del 1936, in circostanze non del tutto chiare. Costantemente ristampate nel mondo americano, le opere di Bogoraz sono state recepite di recente dalle Éditions des Syrtes, in Francia: Récits de la Perdition raccoglie i miti dei Ciukci, ma soprattutto il picaresco racconto di un intellettuale perduto nel grande Nord. Così ne ha scritto “Le Monde”: “Intriso di una tenerezza non priva di humour, il libro racconta l’intima tragedia e il turbamento metafisico di un uomo bandito dalla società, prigioniero di una natura superba ma di cui non sa riconoscere i simboli, in cui è disorientato”.   Dal vasto repertorio di leggende, proverbi, miti assemblato da Bogoraz, si è scelto di tradurre alcuni “Incantesimi”. Si tratta di parole pronunciate dagli sciamani Ciukci e di brevi sketch che dicono di un mondo affollato di demoni, in cui l’invisibile ha la prevalenza sulla mera, sgargiante superficie delle cose; in cui le bestie parlano e risorgere vale quanto vendicarsi. Questo è un mondo in cui la parola – coagulata in gesti, in effluvio di gesticolii – è efficace o non è – come dovrebbe essere la parola poetica. Non c’è nulla di esornativo nella ripetizione della formula verbale, perché è grazie a quel giaculio, a quel gracidio, che il mondo continua a parlarci, continua a esistere. Vivere nel canto per non subire l’incanto; fare nido nel miracolo osteggiando il miraggio.  In un testo raccolto in Testo dello Sciamanesimo siberiano e centro-asiatico, “Il giovane sciamano e la sua fidanzata”, si narra del più piccolo di cinque fratelli che rifiuta di conformarsi ai riti sociali. Quando è il suo turno di prendere moglie, scappa, si nasconde, “sciamanizza” (cioè: articola canti a ritmo di tamburo). Infine, si innamora di una ragazza morta, dopo aver scorto il suo feretro trascinato dalle renne. Grazie agli innati, misteriosi poteri, il giovane va nell’aldilà (“Ora io andrò… mi immergo… cerco la sua anima…”), recupera l’anima della ragazza, la incastra nel corpo, fa della risorta la propria moglie. L’estasi dello sciamano è un’immersione nell’amnio del mondo – ascesi per apnea, diremmo –; la sua unione l’opera di un potere degno di aura. I fratelli non canzoneranno più il più piccolo, accogliendo il suo destino di solitudine e di estraneità.  A volte, attirato nell’altro mondo, nell’altrove, nel nessundove, uno sciamano non fa ritorno su questa terra. Il suo corpo resta crisalide vuota, in una specie di infantile rimbambimento. Tra le mani dello sciamano, si dice, mangiano gli orsi; lo sciamano, si dice, può domare perfino la tigre dell’Amur, la preda sbalorditiva, amata da Dersu Uzala, il “piccolo uomo delle grandi pianure” eternato dal film di Kurosawa.  Di questa recluta di leggende desunte da un sussurro, di identità spaiate in fotografia, in una cronaca della scienza, forse, restano le viscere di un dio, il pellame messo a nudo, lo scalpo, lo scalpiccio.  *** Incantesimo di una donna rifiutata dal proprio marito, gelosa della rivale Dunque sei tu quella donna! Amore hai da mio marito – tanto che lui mi respinge.  Ma tu non sei un umano essere. In carogna ti muto, carogna che crolla sui ciottoli, carogna vecchia, putrefatta.  Muto mio marito in un orso. Orso che viene da terre lontane. Orso roso dalla fame. Orso che incrocia la carogna e la divora. Poi la vomita. In quel vomito ti volto. Mio marito contempla il vomito. E la rifiuta appena la vede. Muto il mio corpo in quello di un giovane castoro appena svezzato. Liscio ogni mio pelo. Questa donna è gradita a lui, lui mi insegue, mi desidera, perché l’altra gli è ripugnante.  (Sputa, si imbratta di bava dalla testa ai piedi, il marito comincia a volerla). Egli mi ha rigettata e io mi rivolgo a lui, per lui mi trasformo in un male mortale. Che sia attratto dal mio odore, che mi azzanni. Lo respingo perché con più forza mi assalga.  Finché mio marito non abbandona la sua amante.  * Incantesimo per far tornare indietro i morti L’uomo è morto da poco e un altro esce allo scoperto: il morto è ancora nella sala d’attesa della morte, nella più remota stanza.  L’altro uomo parla all’Alba e all’Essere Superiore. Dice: Mente disorientata la mia, mente dissennata. A chi posso chiedere aiuto? Mi rivolgo a te. Dammi il tuo cane! Sono addolorato per mio figlio, che è scappato in un luogo lontano. Lasciami usare il tuo cane.  Muove la mano sinistra, come se afferrasse il cane. Poi sussurra all’occhio del morto, ulula come un cane, Uu, uuu, così. Il cane allora si lascia avvincere e insegue il morto. Lo insegue e ulula e abbaia. Gli passa davanti, lo incrocia, lo incorna. Abbaia con ferocia. Gli si avventa contro, gli blocca in ogni direzione il cammino. Infine, lo obbliga a interrompere il suo lungo viaggio e a tornare indietro. Deve rimetterlo nel corpo, deve riposizionarlo nel corpo. Poi il morto ricomincia lentamente a respirare. Pur essendo morto, ora vive.  * Per curare un malato Quando un uomo è malato fino al punto di poter morire e il suo corpo è debole, quest’uomo viene portato fuori casa, con grandi sforzi, e viene strofinato con la neve, dappertutto. Un altro uomo implora le Regioni Superiori e il fiume detto Ciottolo. “O Fiume Ciottolo, vieni a me! Scivola in me! Desidero che tu mi serva”. Inoltre, reclama il vento dell’Est.  Segue un acquazzone. Il fiume si gonfia. Il malato diventa le rapide del fiume. Tutto viene spazzato via – non resta più nulla. Qualcuno getta cibo nelle acque, e il fiume trascina via ogni rifiuto e ogni dono.  Così l’uomo che soffre può guarire e viene riportato a casa. * Incantesimo per allontanare Ke’let, il demone Quando scende la sera, lego due grandi orsi sulla soglia di casa mia e dico: “Oh, voi siete così grandi, così forti, non può capitarmi nulla di male finché sono al vostro fianco”.  Se un ke’let mi vuole e cerca di entrare in casa, gli orsi lo afferrano perché non fanno passare nessuno.  Poi c’è una vecchia, cieca, con gli occhi incavati, con le orbite vuote: agita una frusta di ferro tutta la notte, in ogni direzione. Lei sa spaventare i ke’let. È difficile assalirla. Dopo, su ogni lato della casa devi porre dei gufi polari di ferro. Hanno becchi di ferro e ali di ferro. Hanno becchi molto affilati.  Quando ke’let, l’Assassino, l’aggressore, trova la casa, loro lo colpiscono, lo feriscono, gli cavano gli occhi. Il demone, pieno di sangue, volta verso il deserto – vola obliquo, ha paura, se ne va per sempre.  L'articolo “La lampada cammina, le ombre parlano”. Bogoraz e gli incantesimi dei Ciukci proviene da Pangea.
June 21, 2025 / Pangea