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“A salvarmi è stata la rivolta”. Vita estrema di Grisélidis Réal, scrittrice & prostituta
“Grisélidis Réal. Scrittrice. Pittrice. Prostituta. 1929-2005”. Questo l’epitaffio che figura sulla targa posta a corredo della lapide della tomba di Grisélidis Réal, al Cimetière des Rois di Ginevra. Fu la stessa Réal a manifestare, prima di morire il 31 maggio di vent’anni fa, rosa da un cancro al quale si arrese dopo anni di animosa resistenza, la volontà di essere sepolta accanto ai notabili della città. La sua richiesta, patentemente volta a épater le bourgeois, non venne, sulle prime, accolta dalle autorità e causò la prevedibile levata di scudi di molti, scandalizzati all’idea che il Pantheon ginevrino potesse venire profanato accogliendo la “puttana rivoluzionaria”, come amava definirsi. Poi, il 9 marzo 2009, a seguito di una decisione del Consiglio amministrativo di Ginevra, i suoi resti furono traslati nel Cimetière, sotto l’egida di un cespuglio di lavanda e di una stele con su incisa una vulva stilizzata, a ricordare il suo strumento di lavoro. I figli scelsero per lei un posto accanto all’amato Jorge Luis Borges, a Jean Piaget e, per colmo di ignominia, a pochi metri dal moralista Giovanni Calvino. Grisélidis Réal, nome da principessa e destino da incendiaria, nacque nel 1929 a Losanna da una famiglia della buona borghesia colta. Fu lei stessa a descrivere la sua infanzia come “normale e privilegiata” e i suoi genitori come due intellettuali che accostarono da subito le tre figlie alla musica, le lettere, le arti. Il padre, Walter, era un ellenista. Grisélidis lo adorava e ne parlava come di un uomo formidabile, oltre che bellissimo: un geniale poliglotta che conosceva diciotto lingue. La madre, Gisèle, nata Bourgeois, era invece una gallerista. Fu lei a scegliere per la figlia maggiore il nome della protagonista dell’ultima novella del Decameron, Griselda, povera contadina che Gualtieri, marchese di Saluzzo, uomo dispotico e crudele, prende in sposa solo per sottoporla ad anni di vessazioni. La sventurata, sorta di epitome della rassegnazione femminile, sopporta ogni angheria con pazienza e devozione, dando prova di un’indole quanto mai lontana da quella Grisélidis, favolosa ribelle, che pure vedeva in quel nome una prefigurazione del suo destino, segnato da innumerevoli traversie. La famiglia Réal lasciò presto Losanna per trasferirsi prima ad Alessandria d’Egitto, dove il padre dirigeva la scuola svizzera, e in seguito in Grecia. Furono anni felici: Walter leggeva alle figlie l’Iliade, faceva loro ascoltare Mozart – non vivevano nell’agio, ma in un mondo di valori “immateriali” in cui “l’arte e la letteratura contavano più di ogni altra cosa”, nelle parole di Réal. L’idillio greco ebbe però vita breve, poiché Walter morì per un’embolia nel 1938, a soli 34 anni. Grisélidis non ne aveva ancora compiuti nove. Ritrovatasi sola con tre figlie piccole e una guerra alle porte, Gisèle decise di rientrare in Svizzera, dove il padre, che disponeva di larghi mezzi, si occupò di lei e delle nipoti. Grisélidis crebbe così all’ombra della madre, donna che non si peritò di definire psicorigida, e che impose alle figlie un’educazione rigorosissima e sessuofobica. Da parte sua, Grisélidis manifestò da subito un temperamento indomito, tanto che, all’età di undici anni, Gisèle, esasperata, la spedì a San Gallo da Adèle, la nonna paterna, nella speranza che questa riuscisse a raddrizzarla. Fu subito scontro: “Mentre mia madre era rigida per paura, lei lo era per natura”. Nemmeno la cura d’urto a base di disciplina prussiana riuscì tuttavia a piegarla e, dopo un’adolescenza turbolenta e funestata dalla tubercolosi che la costrinse persino a trascorrere un periodo in sanatorio, Grisélidis, ormai diciannovenne, partì per Zurigo per iscriversi alla Scuola di Arti e Mestieri, dove conseguì un diploma da decoratrice, e darsi a una nuova vita scapigliata.  Prese a frequentare l’ambiente degli artisti, posando nuda per loro, e si accostò alle prime esperienze amorose. Nel 1950 sposò l’incisore Sylvain Schimek, il quale, allevato da genitori calvinisti, aveva con il proprio corpo e con la sessualità un rapporto irrisolto e non desiderava neanche dei figli. Quando Grisélidis, che all’epoca non aveva accesso a metodi contraccettivi, rimase incinta e diede alla luce il primogenito Igor, la coppia non resse alla prova della genitorialità e il piccolo fu momentaneamente affidato ai nonni paterni, i quali decisero però di adottarlo, non ritenendo la giovane nuora in grado di occuparsene. Igor poté ritrovare solo diciassette anni dopo “quella madre assente, proibita, vagheggiata e pianta”, come ha ricordato in una recente intervista.  Dopo la separazione, Grisélidis ebbe diversi amanti, fra cui un pittore, padre della secondogenita Léonore. In seguito riallacciò rapporti con Sylvain, ma il tentativo di resuscitare il matrimonio borghese non andò a buon fine. Ciononostante i due ebbero il tempo, prima di divorziare nel 1956, di concepire un altro figlio, Boris. Il quarto, Aurélien, fu invece il frutto di una relazione successiva. Nel 1961 Grisélidis, giovane madre nubile che faticava a sbarcare il lunario, decise di fuggire dalla “città frigida” di Ginevra verso la Germania con il suo amante Bill, un soldato nero americano che era al momento internato in un ospedale psichiatrico ginevrino a causa della sua schizofrenia. E, in barba agli assistenti sociali che la assillavano, riuscì a portare con sé anche due dei suoi figli. La rocambolesca fuga e la nuova vita a Monaco di Baviera sono vividamente descritte nel racconto autobiografico Le noir est une couleur (Il nero è un colore, edito da Keller nel 2019), che fu pubblicato nel 1974. L’incipit è eloquente nella sua lapidarietà: “Ho sempre amato i neri”. E Bill è “un uomo, un nero, un pazzo” con cui partire e unirsi al “grande gregge dei nomadi in transumanza”. La Germania non si rivelò purtroppo una patria accogliente per Réal, che sprofondò ben presto nella miseria più assoluta. Fu il suo stesso amante a indirizzarla alla prostituzione: “Dovresti guadagnarti da vivere con gli uomini. Sei nata per questo”. Da quella esortazione, e ancor più dagli spasmi della fame, prese le mosse la vita parallela di Grisélidis, che vestiva di volta in volta i panni di Linda, Mimi Pinson o Solange per una clientela costituita in buona parte da G.I. americani di stanza a Monaco. Rispetto ad altri mestieri – operaia, dattilografa, telefonista, cuoca, cameriera – che, per provvedere alla sua numerosa famiglia, pure aveva praticato, la prostituzione, di cui divenne nel tempo una virtuosa, le consentiva di condurre una vita più dignitosa e di dedicarsi con più agio ai figli durante il giorno. Ad ogni modo, i primi tempi furono drammatici, e i bordelli e gli angiporti di Monaco le portarono per lo più in dote sadismo e sifilide. Dopo aver troncato la relazione con Bill a causa della sempre più pronunciata labilità mentale di quest’ultimo, conobbe il “dio negro” Ronald Rodwell, diciannovenne soldato americano “dal viso di pantera”, dall’“iride violacea”, “dal sesso come un grande giglio nero”, come si legge ne Le noir est un couleur. Un amore vertiginoso, incandescente, oggetto di un appetito insaziabile. Un amore rovinoso, anche: Grisélidis si lasciò da lui coinvolgere in un traffico di marijuana per il quale fu arrestata nel 1963 e condannata a un anno di carcere, poi tramutato in sette mesi in virtù della sua buona condotta. Per sopravvivere alla reclusione, lei, così selvatica e tellurica, si abbandonò a un parossismo creativo, dedicandosi alla pittura e alla scrittura: accanto al diario di prigionia Suis-je encore vivante?, pubblicato nel 2008, Réal compose, “nella casa dalle mille celle”, una ventina di poesie in francese e in tedesco. Una volta rilasciata, venne espulsa dalla Germania e rientrò in Svizzera, dove prese a frequentare gli ambienti bohémiens e tornò a prostituirsi per sfamare i figli, nel tentativo di mantenerne la custodia, perseguitata com’era dai servizi sociali. L’urgenza di scrivere si fece però sempre più imperiosa, tanto che, nel 1969, decise di abbandonare la vita da strada, potendo contare su una borsa di scrittura elargita dalla Fondazione svizzera per la cultura. Riprese in mano il racconto delle sue vicissitudini in terra alemanna e si dedicò alacremente alla lettura e alla rilettura dei classici, da Balzac a Thomas Mann, e degli scrittori prediletti fra cui Céline, Cendrars, Genet, Henry Miller, affinando il suo gusto letterario. In quel periodo avviò anche diverse corrispondenze con artisti e letterati di vaglia, tra i quali Claude Aubert, Jacques Chessex e Maurice Chappaz, oltre che con potenziali editori. Questi fitti scambi rappresentavano anche per Réal l’occasione di riflettere sulla sua poetica:  > “Finalmente, a furia di patemi e di cancellature, ho avuto un’illuminazione, > ho capito una cosa: niente filosofie inutili, niente aggettivi superflui, > niente letteratura. Occorre limitarsi all’azione quotidiana ridotta > all’essenziale e basta. Qualche volta, ma proprio di rado, ci si può concedere > una piccola immagine, una chicca poetica, ma davvero passando tutto al > buratto. Occorre potare senza pietà. La purezza è lo scheletro!”. Come sottolinea Yagos Koliopanos nel contributo apparso all’interno del numero della rivista dell’Archivio svizzero di letteratura “Quarto” dedicato a Réal, quella che l’autrice sembra propugnare è una sorta di foucaultiana estetica dell’esistenza, in tutta la sua forza performativa. Al volgere degli anni Settanta Grisélidis fece il suo ingresso nella società letteraria e, anche grazie alla sua partecipazione a manifestazioni culturali e a interviste radiofoniche e televisive, conquistò una certa notorietà. Il manoscritto de Le noir est une couleur fu ultimato all’inizio del 1971, ma ebbe una storia editoriale molto tribolata e passò per le mani di vari editori svizzeri e francesi per poi approdare presso Balland, editore noto per la sua spregiudicatezza, che, come i suoi predecessori, ebbe più di un assaggio della vis polemica dell’autrice, sempre urticante e mai restia alla provocazione e al rilancio. In una lettera indirizzata alla segretaria di André Balland, Réal offrì un esempio emblematico del suo gesto epistolare, contraddistinto da uno stile barocco, iperbolico, carnale, costellato di turpiloquio e insieme venato di lirismo. La sua stessa grafia era esuberante, esorbitante, anarchica: “Se il signor Claude DELARUE (revisore di Le noir est une couleur, N.d.R) è scioccato dalle dimensioni anatomiche dei falli dei miei negri, sono problemi suoi. Ma gli proibisco di mettermele all’imperfetto! No, non esiste imperfetto nella vita! […] D’altronde, tutto il racconto è al presente, dall’inizio alla fine […] È psicologico, non grammaticale. È una nuova grammatica trascendentale, illuminata, fallica. Allora perché, a pagina 128 delle bozze, lui mi snatura tutta l’azione mettendola all’imperfetto (forma ottusa, pesante, inerte)? Sì, perché: ‘Lui mi contemplava… così smanioso di ficcarmelo nel ventre che mi mancava il fiato…’? Perché: ‘… era un cazzo regale…’? Nossignore: ‘È’. È un cazzo regale, è Giove fatto negro! L’azione è immediata, ansimante, si fa nel minuto e questo minuto è sempre vivo”. Le noir est une couleur fu finalmente dato alle stampe nel 1974 con una copertina alquanto audace – due mani, una nera e una bianca, intrecciate sopra un seno nudo – per la quale Grisélidis coniò la caustica definizione “la salumeria di campagna illuminata al neon”. L’accoglienza fu però piuttosto tiepida: in un’epoca in cui regnava una concezione formalista della letteratura, il “documento umano” di Réal – così fu presentato da “Le Monde” – non seppe conquistare la critica. “Pare che, per il momento, i giornalisti parigini non si interessino al mio libro e dicano che i ‘racconti di vita’ non sono in auge oggi. […] Perciò occorre battersi con le unghie e con i denti, e con un sorriso da belva feroce, e fare la puttana” – così la pugnace Grisélidis in una lettera a Chappaz del settembre del 1974. D’altronde, non ci fu mai pace sotto gli ulivi per Réal: un’altra lotta la attendeva, per le strade di Francia, stavolta, e si rivelò salvifica. Nel 1975, dopo la delusione legata al suo esordio letterario, sprofondò in un periodo buio anche a causa della relazione tanto travolgente quanto venefica che aveva intrecciato con Hassine Ahmed, gigolò berbero alcolizzato e violento conosciuto quando era detenuto nel cantone di Vaud. Dopo un tentato suicidio con Miles Davis in sottofondo, le giunse notizia della Rivoluzione delle prostitute che, scoppiata il 2 giugno a Lione, si era presto estesa alle principali città francesi: Réal non ci pensò due volte e si unì alle centinaia donne che si erano asserragliate nella cappella Saint-Bernard di Parigi per protestare contro le persecuzioni della polizia e la chiusura dei bordelli. La pasionaria Grisélidis, da sempre in prima linea con i paria della società, divenne così “la puttana rivoluzionaria” e, in virtù del suo carisma, assunse il comando del movimento, il quale rivendicava, attirandosi le ire delle femministe benpensanti e degli abolizionisti, il diritto di fare commercio di sé e di esercitare, purché liberamente e in condizioni dignitose, una professione che Réal definì “un’Arte, un Umanesimo e una Scienza” – le maiuscole sono significative. Il suo attivismo la condusse, nel 1977, a riprendere, stavolta per scelta e a testa alta, la via della prostituzione, sancendo la sua decisione con l’invio di un irriverente messaggio alla buoncostume ginevrina:  > “Signori, abbiate la cortesia di volermi nuovamente registrare tra le > cortigiane il 15 marzo 1977, e questo per sempre”. In tutto ciò, non smise mai di scrivere. Nel 1979, “Le Fou parle”, rivista fondata da Jacques Vallet, pubblicò il suo Carnet de bal d’une courtisane, sorta di agenda nera della clientela di Réal, corredato da un’intervista con il giornalista e scrittore Jean-Luc Hennig, il quale strinse con Grisélidis un lungo sodalizio, celebrandola in Grisélidis courtisane, libro-ritratto edito da Albin Michel nel 1981. Con il suo Carnet, definito da Laurent de Sutter una “teoria del maschio”, Réal consegnò al mondo – provocando nell’ambiente un comprensibile scompiglio – l’elenco alfabetico dei nomi di battesimo di decine di suoi clienti corredati da alcune note di icastica brevità che ne restituivano aspetto fisico, indole, manie e predilezioni, oltre a specificare il costo della passe – la marchetta. Si trattava insomma più di un vademecum che di un diario. Le sue folgoranti istantanee descrivono (i numeri servono a distinguere i numerosi casi di omonimia, N.d.R.) “Roger ⑧ – […] Libanese non molto alto, baffi e occhiali, bella voce bassa con la r moscia – succhiare, inculare con maestria, prostata molto vivace e socievole, trattare con moderazione altrimenti viene subito – 100 fr. (abbassare a 80).” Una sezione del libro è dedicata ai “casi psicologici” come “G. – Non ha mai avuto rapporti sessuali con donne – (con degli uomini più vecchi – attivo), sulla quarantina, sensibile, affettuoso, colto – problema con l’anziana madre – padre morto (15 anni di psicanalisi)”. Aveva forse ragione quel celebre psichiatra ginevrino che, racconta il figlio Igor, le scrisse una lettera in cui affermava:  > “Io e lei facciamo lo stesso mestiere: la gente che soffre viene da noi per > ottenere conforto, sostegno umano. Lei però lo fa meglio e più in profondità > di me, perché il suo coinvolgimento è totale”.  Colpisce in effetti in Grisélidis la spiccata umanità e la capacità di instaurare con i clienti una sorta di complicità, anche di fronte alle loro abissali miserie. Dal legame elettivo con Jean-Luc Hennig nacque una corrispondenza più che decennale che confluì in due raccolte curate da quest’ultimo: La Passe imaginaire (1992), tradotta da Yari Moro per Keller (Con tanto dolore e tanto amore, 2005), che raduna le lettere scritte da Réal tra il 1980 e il 1991, e Les Sphinx (2006), apparsa postuma, che abbraccia il triennio 2002-2005. Nella prima Grisélidis si confida con Jean-Luc, il quale, per sua stessa ammissione, le rispondeva di rado pur esortandola a scrivergli avendo intuito il potenziale letterario delle sue missive, e gli racconta dei suoi giorni e delle sue notti di vita nel consueto stile vibrante, impudico, ipotipotico, ridendosela “ferocemente” di tutto, come si legge nell’introduzione. Les Sphinx, a evocare il mistero plurale delle sfingi, raccoglie invece le lettere del tempo del cancro, che dettagliano la lotta furibonda contro la malattia, ma si aprono anche in slarghi elegiaci:  > “[…] ho fatto la mia ‘elaborazione’ dell’alba, quest’alba nuova, così uguale e > così tremenda che forse mi donerà una libertà… quale? Io dico SÌ. Dico sì a > quest’alba livida, sì agli uccelli addormentati, sì ai fiori, sì all’erba, > alla terra, alla luce del giorno. Sì alle lacrime, SÌ al dolore. È solo a lei > che lo confido”. Dopo la morte di Réal apparve anche, sempre per le edizioni Verticales, la raccolta Mémoires de l’inachevé, 1954-1993 (2011), un’antologia di testi sparsi e inediti ritrovati dai figli. Nel documentario Une Vie, Une Oeuvre: écrivain, peintre et prostituée di France Culture (2015), il primogenito Igor, il “guardiano della memoria” di Grisélidis, evidenzia il lato “sulfureo” della madre, che dava a tratti l’impressione di possedere poteri occulti. Igor le riconosce tuttavia anche un côté giocoso, quasi infantile. Le foto di gioventù di Réal ostendono in effetti un candore nello sguardo, pur con qualcosa di rapace nella forma del viso; in quelle della maturità si coglie invece un luccichio malizioso e vagamente disturbante. Era in ogni caso, ricorda il figlio, una donna di stupefacente bellezza, che teneva a valorizzarsi e mostrarsi sempre al meglio, anche nella malattia, pur mantenendo un che di brado e indocile: amava lo stile tzigano e prediligeva indumenti dai colori accesi e gioielli etnici e vistosi. Era persino convinta (erroneamente, secondo Igor) di avere sangue tzigano, poiché un giorno sua madre le aveva detto che avevano “un soffio nomade nelle vene”. Nel corso della sua poliedrica vita, Réal si dedicò, come si è detto, anche alla poesia. Nel 2022 la sua produzione è stata riunita ad opera delle Edizioni Seghers in un unico volume dal titolo felicemente ancipite di Chair vive – carne viva – inizialmente pensato per Le noir est une couleur. La poesia di Réal le somiglia: sensuosa e onirica, mistica e materica. Il suo primo tentativo, Le cycle de la Vie, risale al 1942: la tredicenne Grisélidis riflette con singolare consapevolezza sulla “Vita dal riso argentino” dell’infanzia radiosa e festante e su quella di “pallida fiamma” della vecchiaia dal cuore chiuso. Fra il 1957 e il 1962, prima e dopo la fuga in Germania, compone una manciata di poesie di spiccata cifra simbolista. Tuttavia, come si è osservato sopra, è durante il periodo di prigionia che l’estro lirico di Grisélidis si dispiega in tutta la sua ampiezza e la sua urgenza. I suoi componimenti abbandonano le suggestioni immaginose e si calano nell’amara realtà carceraria, pur mantenendo quella che Seghers definisce “una grandeur classica”, oltre che una sublime musicalità, tratti distintivi di tutta la produzione réaliana. Ma, come sempre avviene negli scritti di Grisélidis, l’intimo diventa politico e i versi si fanno anche furibonda testimonianza delle acerrime condizioni della galera e della disumanità delle secondine. Molte delle poesie scritte tra il 1963, quando tornò in libertà, e il 1973 sono dedicate ai suoi amanti, in particolare ai suoi due dirompenti e sciagurati amori, Rodwell e Hassine. Dal 1975, quando abbracciò la militanza, fino al 2002, quando scoprì di avere un cancro allo stomaco, la scaturigine poetica parve inaridirsi, per poi divenire di nuovo profluvio nei tre anni che la condussero alla morte. Stavolta è la malattia, ennesimo capitolo di un vissuto estremo, a farsi materia poetica, e Réal non distoglie lo sguardo neanche dal corpo straziato, dalla chemioterapia, dalla morfina. Il cancro è un “giaguaro sconosciuto” che affronta a viso aperto, ma che la costringe anche a ripiegarsi su sé stessa e a volgere lo sguardo al passato, ripercorrendo la sua esistenza estuosa. Particolarmente toccante è una delle ultime poesie, Morte d’una Puttana, composta un mese prima di morire e qui proposta in traduzione, in cui Grisélidis eleva un’estrema supplica – “Seppellitemi nuda/ Come sono venuta/ Al mondo fuori dal ventre/ Della mia madre ignota” – ed evoca una riconciliazione con la madre, scomparsa nel 1971 ma perduta molti anni prima. In un’intervista, Réal dichiarò:  > “Ci sono stati dei drammi atroci tra me e mia madre, soprattutto quando ho > avuto la tubercolosi e lei ha cercato di accampare diritti su mia figlia > perché io non ero ‘né moglie, né madre’. L’unico momento di pace che ho > conosciuto con lei è stato quando non ci siamo più viste né scritte per sette > anni. Poi un giorno, nel 1969, ha letto su ‘Écriture’ il capitolo Chair > vive del mio futuro libro Le noir est une couleur. Io mi prostituivo già > regolarmente dal 1961. È stato terribile. Ma lei era già molto malata, di un > cancro metastatico. Non siamo mai riuscite a spiegarci. Mi sono sentita > colpevole di averla fatta morire di crepacuore. Se n’è andata l’11 agosto > 1971, il giorno del mio compleanno e di quello di mio padre. A salvarmi è > stata la rivolta”. Nel 1982, nel pieno del suo periodo militante, Réal aveva fondato Aspasie, un’associazione per la tutela dei diritti delle prostitute – da Aspasia di Mileto, compagna di Pericle e, pare, hetaira, prostituta d’alto bordo e di una certa cultura. L’associazione, tuttora attiva, ha sede a Ginevra, nel quartiere Pâquis, dove Grisélidis esercitò fino all’età di 66 anni, e ospita un centro a lei dedicato. Nel 2024 le autorità ginevrine hanno, dopo molte esitazioni, accolto la proposta di intitolarle una piazza. La piccola Place Grisélidis Réal, adorna di due fontane e situata proprio nel quartiere in cui Grisélidis dispiegò la sua Arte, il suo Umanesimo e la sua Scienza, ne onora la memoria all’ombra ampia e generosa dei bagolari. Annalisa Crea ** Cantico della Speranza Male incolga alla città perduta Dove i poeti si prostituiscono Sia maledetto il lungo viale Su cui i piedi inseguono senza speranza Irraggiungibili libertà Siamo ubriachi d’asfalto nero Di petrolio e di vento ghiacciato Siamo ubriachi di disperazione Maledetta sia la lunga strada Su cui la notte lenta ci uccide Avanziamo ad occhi chiusi Verso invisibili porti di mare Dove ci attende l’alba incerta Di un sogno a lungo ricacciato Al di là delle brutture umane Noi avanziamo il cuore amaro Noi avanziamo gli occhi bruciati Dal sole morto del deserto Fa notte sui nostri corpi caduti Fa giorno sulle nostre mani tese I nostri occhi splendono nella nebbia Rischiarando le strade perdute Silenzio alle nostre bocche vendute Noi siamo l’arma del caso Nel bagliore rosa dei bar Nell’alba verde degli specchi Dove i soli artificiali Bruciano nell’ambra dei whisky Fra l’acqua torbida degli sguardi E le parole sperperate Non abbiamo ucciso l’amore Scintilla ancora in fondo a un pozzo Come un diamante in mezzo al fango Mio bell’amore seppellito Sotto la neve come un bisturi Il neon sanguina in fondo alle strade Noi gireremo come una ruota Lanciata ai quattro angoli del cielo Male incolga alla città inumana Su cui inseguiamo di giorno in giorno Tanti bisogni vane Nel silenzio delle prigioni Nel cigolio delle serrature Nella fame la sete e la paura Non abbiamo tradito noi stessi La speranza era più forte di tutto Segava le vostre sbarre di ferro Abbiamo riso delle vostre armature Delle smorfie delle orazioni Con cui credete di salvare dai vermi La vostra carcassa in decomposizione Sotto i detriti morti dei cuori Borghesi puzzate di cadavere State attenti al Povero e al Pazzo Che mettete sotto chiave Vi faremo saltare le budella E gli interni delle vostre auto Nei vostri palazzi dove nessuno entra Senza essere un servitore Divorerete i vostri rifiuti Mangerete le vostre ceneri Berrete il sangue delle vostre vene Come Colui che nessuno può ferire Borghesi attenti all’odio Acceso ai piedi degli altari Dove vi piegate alla paura Attenti alle nostre voci umane Quando ogni vita sarà svanita Quando solo le statue agli incroci Di un mondo vuoto e carbonizzato Risponderanno al richiamo Dei secoli adagiati sottoterra Si leverà il primo giorno Al nascere del mistero Un canto che rinnega la sconfitta La Speranza come un rantolo d’amore Che brucia la gola di un poeta. 23 gennaio 1964 * Belva  Tu sei a fior di pelle Sguardo contro sguardo Muso contro muso Ventre contro ventre Sangue contro sangue Tu non mi fai paura Io sono il tuo cibo E tu sei il mio amante Io ti tengo a distanza Tu sei la mia putredine Ed io il tuo domatore Bisogna che tu ceda A colpi di escissioni Siringa su siringa Dolore su dolore A colpi di anestetici E di neurolettici Piegato, sconfitto, riarso Arretri mia bestia Mio cancro da circo Aperto e richiuso Percosso, insanguinato Strappato, asfissiato Che bruci le tue metastasi Al fuoco dei miei bisturi E vomiti la tua lava  Cannula contro cannula Soffocato nei drenaggi Squarciato dalla morfina Lanciato contro la mia carne E filtrato nelle mie ossa Rinchiuso agonizzante Contro un muro di filaccia Per sempre prigioniero Di ricordi chimici E dei flussi catodici Dei miei calcolatori. Ginevra, 11 novembre 2002 * Cane Occorrerà accucciarsi Come un cane sfiancato Sull’ultimo cuscino Nell’ultimo cesto Le zampe ripiegate Sotto la testa immobile Chiudere gli occhi bruciati Da tante lacerazioni Di aurore affamate Di notti solitarie Di sogni inutili E d’illusioni infrante Lasciare il sangue colare Da una lunga ferita Sentire avvicinarsi Su piedi leggeri E suonare alla porta La strana visitatrice Venuta a esonerarci Dalla nostra vana guardia E a sollevare ancora I nostri fianchi inerti Nella sua stretta di ghiaccio E a prosciugare il nostro respiro Con l’ultimo morso Con il bacio estremo Che il grido dei gabbiani Che roteano nel cortile Deserto e muto Si porti via nel becco Una briciola fragile Dei nostri tozzi di pane Caduti poveri e secchi Dal tavolo del banchetto Che sempre ci fu negato. Ginevra, 20 dicembre 2002 * Oceano Nox Questo vecchio corpo infiorettato Da tante pene, da bellezza e ardore Bisognerà lasciarlo Un giorno e liberarsene Come si spogliano gli antichi galeoni Arenati sul fondo dell’oceano Così si decompongono i gesti, gli sguardi E tutto l’arsenale degli orpelli umani Armature, medaglie e decorazioni vane Così marcisce il cordame dei sogni Così l’amore è smangiato dal dolore Le alghe dei fondali e i protozoi Corrodono i nostri resti mummificati E i galloni sbiaditi dei nostri orgogli spezzati Bisogna sprofondare e schiantarsi infine Negli abissi, nella sabbia eterna Dove mai penetra la chiarità del sole Nel silenzio oscuro in cui nuotano i rimpianti Gli spettri dei nostri desideri inappagati E i pesci ciechi delle azioni mancate I vermi faranno delle carni pastura La nostra carcassa incuberà albe future E il sale delle lacrime feconderà il mare Nulla muore nulla esiste e tutto si riproduce Nello spazio ignoto infinito In cui siamo l’atomo, la preda, il predatore Delle nostre finzioni, mortali ancor prima di nascere Astri incandescenti divorati dalla notte Nel riverbero di costellazioni morte. Ginevra, 22 dicembre 2002 * Morte d’una Puttana Seppellitemi nuda Come sono venuta Al mondo fuori dal ventre Della mia madre ignota Seppellitemi dritta Senza soldi né vestiti Senza orpelli né monili Senza belletto senza ornamenti Senza velo senza vera senza niente Senza collane né riccioli d’oro Senza rossetto né nero agli occhi Dal mio sguardo richiuso Voglio vedere il mondo svanire Il sole le stelle cadere La notte spandersi alla sua fonte E seppellirmi nella sua bocca Muta l’ultimo giaciglio Su cui stendermi infine sola Come un diamante impregnato di terra E riposarmi dormire infine Senza mai più pensare a niente Morire morire morire Per raggiungerti infine madre E ritrovare nel tuo sorriso L’innocenza che mi è mancata Tutta una vita spesa a cercarti Trovarti per poterti perdere E dirti che ti amavo. (Scritta di notte, Ginevra 2005, Clinica Le Cesco) L'articolo “A salvarmi è stata la rivolta”. Vita estrema di Grisélidis Réal, scrittrice & prostituta proviene da Pangea.
August 12, 2025 / Pangea