Ulvik è un piccolo villaggio nel Vestland, costa occidentale della Norvegia.
Bordeggia un fiordo; i campi – a vedere le fotografie – sono ubertosi e verdi. A
Ulvik, leggo, abitano un migliaio di paesani. Nel 1940 il villaggio è stato
quasi del tutto raso al suolo dai tedeschi, durante una rappresaglia. La chiesa
di Ulvik, ricostruita a metà dell’Ottocento, è lì, in verità, dal XIV secolo. Mi
fa effetto pensare che tra i fiordi norvegesi, in quel luogo a suo modo
sperduto, sia vissuto un poeta erede dei grandi poeti taoisti: T’ao Ch’ien e Li
Po, ad esempio, a cui ha dedicato poesie leggiadre, poesie con le elitre. Enigmi
della trasmigrazione delle anime.
Nato nel 1908 a Ulvik, in una famiglia di coltivatori, Olav H. Hauge era un
maestro nell’arte del giardino: coltivava meli. Ha cominciato a pubblicare dopo
la Seconda guerra, trovando una forma icastica, che ricorda, a tratti, Emily
Dickinson e i poeti di epoca Tang e Han, fatta di immagini spiazzanti, di
affilata ironia, che colpisce ai fianchi senza fiancheggiare i paladini del
modernismo o i tenui poeti neomelodici. L’isolamento, in qualche modo, ha fatto
di Hauge un poeta a sé: morto nel suo piccolo villaggio nel 1994, è stato più
‘internazionale’ di molti intellettuali in posa, fotogenici all’oggi. Parlava
inglese e tedesco, imparò il francese leggendo Mallarmé e Rimbaud; ha tradotto,
tra i tanti, Yeats e Georg Trakl, Friedrich Hölderlin e Paul Celan, William
Blake e Bertolt Brecht. La sua fattoria rigurgitava di libri; nel 1978 si unì in
nozze con l’artista Bodil Cappelen. Sembra un paradosso: un giardiniere
norvegese che pare la reincarnazione di un poeta cinese vagabondo vissuto mille
e duecento anni prima di lui! Il rigore del pudore, un vivere stagionale
contraddistinguono gli scarni elementi dell’esistenza terrena di Hauge. Scriveva
come si pota un albero.
A volte, la poesia di Hauge è così concreta da essere ermetica, da mettere tana
nel simbolo. Tra i poeti norvegesi più riconosciuti del Novecento, Hauge è stato
tradotto in Italia da Fulvio Ferrari, in un libro, La terra azzurra, edito da
Crocetti nel 2008. Sarebbe da recuperare. Negli Stati Uniti, l’opera di Hauge,
assai tradotta, ha avuto un alfiere nel poeta Robert Bly: sua, tra l’altro, è la
curatela dell’antologia The Dream We Carry (Copper Canyon Press, 2008) da cui ho
tratto i testi in calce all’articolo. Nel brillante Homage to Olav H. Hauge che
apre il volume, Robert Bly redige un agiografico profilo del leggendario
poeta-giardiniere, che abitava sul fiordo. “Hauge visse tutta la sua vita in una
società pre-commerciale, basata sul senso del dono. Nella sua piccola casa, le
sole ricchezze erano le ciotole fatte a mano, la sedia per la lettura intagliata
da un falegname, la libreria, con libri provenienti da molti, disparati Paesi”.
Memorabile il cammeo che racconta la morte di Hauge:
> “Morì come si moriva un tempo, senza evidenti segni di malattia.
> Semplicemente, non mangiò per dieci giorni – e morì. Il funerale si svolse
> nella chiesa, a valle, in cui era stato battezzato da bambino; le persone che
> vi parteciparono ricordano una cerimonia sobria, piena di grazia. Un carro
> trainato dai cavalli trasportò il suo corpo su per la montagna, dopo il rito.
> Tutti notarono che durante il tragitto un piccolo puledro correva felice
> accanto alla madre e alla bara”.
La morte non esiste perché alla morte segue, sempre, la vita. Così, le poesie di
Hauge – da gustare, ricorda Bly, come un frutto leggermente aspro – recano un
sentore di eternità, qualcosa da mettersi in tasca, a cui tornare ogni volta che
si dice grazie.
***
Non venire a me con la verità
tutta intera, non offrirmi l’oceano
se ho sete né il cielo se voglio la luce;
portami la briciola, il minimo accenno
la porzione di rugiada – come fanno
gli uccelli con quel filo di lago, come fa
il vento con quel grano di sale.
*
A Li Po
Senza dubbio, Li Po, è bello
essere l’imperatore del Regno Divino.
Ma non possedevi forse il mondo intero
il vento, le nubi e la felicità quando
eri ebbro? Più grande ancora
Li Po, è padroneggiare il cuore.
*
Fa freddo nelle grandi case.
Me ne accorgo in autunno
quando i primi grani di neve iniziano
a cadere e i campi sono gelati.
Allora la mia solitudine è immensa e sterile
la tocco, vive sotto il tetto,
e le asce rintoccano nei boschi di ghiaccio.
La mia foresta è la foresta
nella foresta della mia solitudine,
la mia montagna è la montagna
nella sua montagna,
e il giorno splende se sboccia
nella sua notte.
Le poche creature che incontro
si muovono all’alba e muovono
rami di betulla: lasciano tracce
sull’erba umida
oscuri sorrisi
nell’oscurità del suo sogno.
*
Anno dopo anno, ti sei chinato sui libri.
Hai accumulato più sapienza di quella
necessaria a vivere nove vite.
Quando tutto è detto e tutto è fatto
è necessario il resto, una cosa così
piccola che soltanto il cuore conosce.
In Egitto il dio della sapienza
era raffigurato con la testa di una scimmia.
*
È difficile spostare una montagna.
Le radici delle querce sono retrattili
e chi osa affrontare
i grandi problemi del mondo?
Buoi ed elefanti le trasportano sulla schiena
in lunghi viaggi solitari, le aquile
strappano pezzi insanguinati e si ritirano
verso valli e luoghi impervi.
I lupi se le contendono
le volpi lasciano lì nastri di urina.
I corvi rubano l’argento
il serpente indossa la sua corona.
*
Masso erratico
Che posto straordinario
su cui installarsi:
su una sporgenza, in bilico
sul baratro. Non dai forse
importanza al successo?
*
Attraversando una palude
Soltanto radici di alberi morti:
così si cammina
con sicurezza in luoghi insidiosi.
Che fermezza queste radici:
è probabile che siano qui da secoli.
Su alcuni oscuri resti
è cresciuto il muschio:
sono ancora a questo mondo
per sostenerti. Quando ti muovi
nel lago, in montagna, ricorda
quella gelida persona
che un giorno è annegata:
puntella la tua fragile chiatta.
Che pazzo, quell’uomo ha affidato
la vita all’acqua e all’eternità.
*
Il dolore si accalca su di me
mi schiaccia in questo caldo letto di paglia.
Lasciatemi muovere
mettetemi alla prova: solleverò questa zolla.
Lasciatemi essere come lo scarabeo stercorario
che in primavera scava la sua via nel letame.
*
Mattina, inverno
Al risveglio, stamattina: vetri ghiacciati.
Ma un bel sogno è il mio sole.
La stufa è calda: la legna
ingioiellata dalla notte.
*
Fui il dolore
Fui il dolore e vivevo in una tana.
Fui l’orgoglio e costruivo oltre le stelle.
Ora la mia casa è vicina al pino:
ogni mattina, quando mi sveglio,
cuce il mondo con i suoi aghi d’oro.
*
Eri il vento
Sono una barca
e attendo il vento.
Tu eri il vento.
Era quella la mia direzione?
Cosa importa della direzione
quando esiste il vento!
*
Nel pollaio
Nel pollaio
resta lontano
dal gallo e dalle sue galline.
Non battere ciglio
non muovere muscolo…
ogni movimento
è come il morso di un serpente.
*
Bertolt Brecht
Bertolt Brecht non era un uomo semplice.
Attore, drammaturgo, poeta.
Capivi subito il suo metro.
Stava ritto, sul portico
come un paio di zoccoli di legno.
*
Un anziano poeta prova a diventare modernista
Anche lui voleva provare
questi nuovi trampoli.
Si è eretto con cautela
e ora sembra una cicogna.
Guarda quanto è lungimirante.
Può contare le pecore del vicino.
*
Tre poesie
Ho scritto tre poesie
disse.
Ma chi si mette
a contare le poesie?
Emily gettò le sue
in un baule, dubito
che le abbia contate:
si limitò ad aprire l’ennesima
bustina da tè, si mise a scrivere, ancora.
È giusto così. Una buona poesia
dovrebbe avere l’odore del tè.
O della terra cruda, della legna appena tagliata.
*
Falce
Sono così vecchio
che mi tengo alla falce.
Canta silenziosa nell’erba
e la mia mente vaga.
Non fa male
dice l’erba
cadere sotto la falce.
*
T’ao Ch’ien
Se T’ao Ch’ien
verrà a farmi visita, un giorno,
gli mostrerò i miei meli e i miei ciliegi.
Spero che passi in primavera
quando saranno in fiore. Poi ci rilasseremo all’ombra
con un bicchiere di sidro, forse gli mostrerò
una poesia – chissà se gli piacerà.
I draghi che fendono il cielo lasciando una scia di fumo e di veleno
sono silenziosi, e gli uccelli, una moltitudine, cantano.
Non c’è niente qui che non capirebbe.
Più di ogni altra cosa desidera vagabondare
in un piccolo giardino come il mio.
Ma non so se la sua anima glielo permetterà.
Olav H. Hauge
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H. Hauge proviene da Pangea.