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“Il cuore è diventato audace”. Le poesie di Yehuda Amichai
Nel 1977 l’editore Harper & Row pubblica Amen, una raccolta del poeta ebreo Yehuda Amichai. All’epoca, Amichai compiva cinquantatré anni: nato a Würzburg, in Franconia, nel 1924, si era trasferito, ragazzino, al seguito della famiglia, a Gerusalemme. Hitler era da poco “Führer” del Reich. Fu insegnante, servì durante la Seconda guerra e, in forme diverse, nelle diverse guerre che hanno falciato la Palestina. Fu, infine, uno strenuo ‘operatore di pace’. La sua famiglia viveva in Germania dal Medioevo; i genitori venivano da una generazione di contadini, avevano una fattoria a Giebelstadt, in Baviera.  Amen è aperto da un’introduzione di Ted Hughes. Il grande poeta inglese – all’epoca aveva già pubblicato i libri più noti: The Hawk in the Rain, Lupercal, Crow – spiega nel suo scritto, per così dire, le ragioni di un amore. Aveva letto per la prima volta Amichai nel 1966, restandone stordito. “La sua poesia tiene conto dei Profeti, della storia biblica, del mondo soprannaturale della tradizione mistica ebraica e del ruolo simbolico di Israele, in particolare di Gerusalemme. Ha la forza interiore di chi è sopravvissuto alla diaspora e alla particolare elezione imposta alla sua gente da Hitler”. A Hughes sorprendeva che una simile carica storica, quella terribile tensione emotiva non sfamasse una poesia vertiginosa, sapienziale, magari, ma arida nei modi e nei toni. No. Amichai eseguiva quel fardello in un vagabondaggio lirico colloquiale, facile, come acqua sul viso. Amichai si era fatto carico di un’era grave di lutti e di infamie, riconducendola all’inno, a una forma di spietata pietà, al formulario delle cose di ogni giorno. C’è qualcosa del pane spezzato e della veglia sopra la culla, c’è, cioè, un’insonnia, un risoluto andare verso il deserto e il frutteto che è l’uomo, verso il corpo nudo e il corpo scatenato, nelle poesie di Amichai. Un poeta che lascia le porte e le finestre aperte, un poeta rivelato, diversamente dai poeti tumulati in un segreto, che vogliono segregare la congrega dei propri lettori in un romitorio.  Ted Hughes scrisse di un “linguaggio per immagini che opera con la complessità e la ricchezza dei geroglifici”. Scrisse che quelle raccolte in Amen erano “le poesie inglesi di Yehuda Amichai”. Il lavoro era stato compiuto insieme. Amichai aveva realizzato una versione parziale dei testi, Hughes operò “correggendo alcune stranezze, cambiando il fraseggio di alcuni versi. In sostanza, mi premeva preservare il tono e la cadenza della voce di Amichai in inglese”. Fu una specie di patto. Hughes aveva fatto tradurre alcune poesie di Amichai, alcuni anni prima, ad Assia Wevill, la donna per cui aveva lasciato Sylvia Plath, ebrea di origine russa per parte di padre.  Yehuda Amichai, in verità, si chiamava Ludwig Pfeuffer. In un’intervista rilasciata a Lawrence Joseph per la “Paris Review” (Issue 122, Spring 1992), il poeta racconta tratti della sua infanzia in Germania. “A casa nostra si respirava molta cultura. Soprattutto, musica e poesia: Goethe, Schiller, Heine su tutti. Mia madre e mia nonna mi leggevano brani di letteratura tedesca. Andavamo regolarmente in sinagoga, interpretavo la Bibbia. Nei paesaggi tedeschi, per me molto belli – fiumi, montagne, foreste, laghi – trasfiguravo il panorama biblico. La valle soleggiata dove siamo capitati in gita scolastica, nella mia immaginazione era la valle in cui Davide e Golia si erano sfidati. Certo, l’antisemitismo c’era, ben prima di Hitler. Ci insultavano. Ci lanciavano pietre. Ci chiamavano ‘Isaac’, come chiamavano ‘Ali’ o ‘Mohammed’ i musulmani, gridando, ‘Andatevene in Palestina’. Eppure, il paesaggio tedesco per me restava un idillio”.  Le poesie di Amichai ebbero un successo clamoroso: tradotte in diverse lingue – compreso il cinese, il giapponese e il nepalese – attecchirono con particolare fortuna nel mondo inglese. Dagli anni Settanta, Amichai fu ‘poet in residence’ a Berkeley e alla New York University; durante il discorso di accettazione del Nobel per la pace, Yitzhak Rabin citò una sua poesia. In Italia, le sue Poesie sono state tradotte da Ariel Rathaus per Crocetti, e costantemente ristampate, tra il 1993 e il 2021.  Amichai è morto il 22 settembre del 2000. Nel ‘coccodrillo’ firmato per il “Guardian”, Lawrence Joffe ricorda che la popolarità di Amichai era scandita dalla sua scontrosa ritrosia: “Ha resistito per tutta la vita all’appellativo di ‘poeta nazionale d’Israele’, benché i suoi modi di dire si siano insinuati nel linguaggio di ogni giorno, le madri in lutto recitino i suoi versi sulle tombe dei figli caduti in guerra e diverse canzoni rock abbiano preso spunto dai suoi libri. Eppure, queste cose non lo intaccavano: restava coi piedi per terra, preferiva la Gerusalemme degli antichi vicoli alla moderna Tel Aviv, era un sionista critico, lo ripugnavano i trionfalismi, voleva una pace fatta di normalità e affetto per il prossimo, affermò l’autenticità dell’individuo contro il rigore dell’ortodossia, disse che ‘L’unico compito di un intellettuale è concedere patria al dubbio’”. Lo dissero Irreverent poetic conscience of Israel. Ha avuto due mogli e tre figli.  Da ragazzo, restò folgorato dai versi di Auden e di Eliot. Disse di lenzuola e deserti, riferì l’amore carnale e i sussurri dei morti, i giochi dei bimbi e la vergogna della guerra; disse di Dio e del buco della camicia – che forse sono la stessa cosa, perché tutto è nel tutto, e tutto ansima, e tutto soffre e di tutto devi prenderti cura.  *** Da Canti della patria I Il nostro bambino fu svezzato nei primi giorni di guerra. Corsi a fissare l’orrore del deserto. Rientrai che era notte, per vederlo dormire. Già dimentico dei capezzoli della madre, li dimenticherà fino alla prossima guerra. Così, così piccolo,  chiuse le speranze, si aprì alla vastità del compianto – che non si chiude mai.  * 2 La guerra scoppiò in autunno tra i vuoti del confine dove sono dolci i grappoli e le arance.  Il cielo è blu, come le vene tormentate sulle cosce di una donna.  Per chi lo fissa, è uno specchio il deserto.  I maschi, tristi, portano il ricordo delle loro famiglie in sacchi, sacchetti e cupi zaini nelle borse e nell’iride che scema.  Sangue congelato nelle vene. Non si versa puoi solo farlo a pezzi.  * 3 Il sole di ottobre ci scalda il viso. Un soldato riempie secchi di sabbia: è soffice, un tempo era il suo gioco.  Il sole di ottobre scalda i nostri morti. Il dolore è una lastra di legno. Le lacrime sono chiodi.  * 4 Non ho nulla da dire sulla guerra nulla aggiungo. Mi vergogno. Tutta la conoscenza che ho acquisito in una vita è inutile, sono un deserto che rinuncia all’acqua.  Sto dimenticando nomi che non avrei mai pensato di dimenticare.  A causa della guerra ridico ancora per un estremo commiato dalla dolcezza: Il sole gira intorno alla terra. Sì.  La terra è come una zattera alla deriva. Sì.  Dio è in Paradiso. Sì.  * 5 Recluso in me. Come  un acquitrino, stretto, putrido. Dormo ibernato nella guerra.  Mi hanno fatto colonnello dei morti sul Monte degli Ulivi. Anche quando vinci, sempre, hai perso – sei perduto.  * 8 L’uomo incendiato che eredità ci lascia? Che ordine ci impone l’acqua? Non fare rumore, che sia nel candore resta silente al suo fianco lascia che scorra.  * 33 Canto per la patria: La conoscenza delle sue acque comincia con le lacrime. A volte amo l’acqua, a volte la pietra. In questi giorni, preferisco le pietre. Potrei cambiare.  * 36 Ogni notte Dio mostra la sua splendida mercanzia davanti al negozio: sacri carri, tavole della legge, pietre preziose, croci e campane poi li ripone in scatole buie e abbassa le saracinesche: “Anche oggi nessun profeta è venuto a comprare qualcosa”.  * Canto d’amore È iniziata così: Il cuore è diventato audace e felice e facile, come  quando i lacci degli stivali si allentano  e devi inginocchiarti. A questo sono succeduti altri giorni. Ora sono come il cavallo di Troia pieno di terribili amori: ogni notte scoppiano, si scatenano ma all’alba rincasano nel mio oscuro ventre.  * Salmo  Quando un uomo viene abbandonato dal suo amore, uno spazio vuoto, circolare si espande dentro di lui come una grotta capace di ospitare caute, meravigliose stalagmiti. Come lo spazio vuoto della storia, aperto al Senso allo Scopo alle lacrime.  * Canto d’amore Fiacco, pesante, con una donna al balcone “Resta con me”. Ma le strade muoiono come gli uomini: in silenzio o all’improvviso si spezzano. Resta con me. Voglio essere te. In questo paese incendio le parole non sono che ombre.  * Canto d’amore Le persone si usano per curare il loro dolore. Si mettono sulle ferite esistenziali sugli occhi sulla vagina sulla bocca sulla mano aperta. Si stringono, l’un l’altro, senza lasciarsi più.  * Piccolo canto della quiete Se vagabondare è più scaltro di morire non abbiamo nulla da temere.  Hai due mani e due piedi non sei solo. Bellissimi corpi avvolti nell’amore con la scaltrezza e la sapienza dell’asilo nido. Un uomo passa attraverso il muro e il muro resta intatto e lui resta intatto.  Sei un uomo simile o lo diventerai.  * Ho molti morti tumulati nel vento Mia madre in lutto, ma sono ancora vivo. Sono come lo spazio che lotta contro il tempo. Una volta il colore verde era la felicità del tuo viso alla finestra.  Solo nei sogni amo ancora con quella forza. * L’anima  Infuria un’epica battaglia perché la bocca non si indurisca e le mascelle non si mutino nelle potenti porte di una cassaforte di ferro, perché questa mia  vita non venga detta pre-morte. Come un foglio ormeggiato a una staccionata finché soffia il vento, così l’anima si aggrappa al mio corpo.  Cadrà quando il vento smetterà di soffiare. * Perduto nella grazia Perduto nella grazia come un piede dentro scarpe troppo grandi.  Il piccolo buco nella mia camicia è un occhio in più attraverso cui guardare. Cosa porti con te per dormire? Il sonno e un cuscino rosa, abbracciati. Le ruote della biciletta di mio figlio, il più grande, girano tutta la notte. Non dormo.  Il pesce di suo fratello è giallo e di plastica: sorride sempre.  La solitudine ha tante finestre e una porta. Ha tubature fuori e dentro, come ogni casa. Ciò che ho davanti a me è grande e silenzioso, come lo spazio, immobile e vuoto, di un cimitero.  * Le candele si sono spente e ora i miei occhi non hanno più ragione di inumidirsi.  L’eternità mi azzanna come un cane ed è duro il suo abbaiare. Per allentare la pressione alleno il sangue a digerire e a fornicare così si disperderà tra l’intestino e il pene senza più recare dolore al cranio.  Nei giorni della mia infanzia e nelle notti d’amore ho nascosto miniere di verità. Ma sono cresciuto  e ho bruciato le mappe.  Ecco perché vivo in bilico tra menzogne precarie e non fuggo. Ancora una volta, le immagini si moltiplicano e le parole sono rare. Come un libro per bambini. Così il cerchio si chiude.  Yehuda Amichai  L'articolo “Il cuore è diventato audace”. Le poesie di Yehuda Amichai proviene da Pangea.
October 23, 2025 / Pangea