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La morte è un’altra cosa. Sussurri, aperitivi e viaggi in memoria di Tomaso Kemeny
1. Probabilmente è stato un pomeriggio di sabato. Un sabato d’agosto di cui adesso non ricordo il clima. Sembra quasi che, per quanto mi riguarda, la memoria non comprenda la meteorologia. Eravamo a Tellaro e, a occhio e croce, erano più di trenta anni fa. Tomaso Kemeny sembrava il comandante in capo. Capello lungo, quasi sulle spalle con riporto centrale, bocca carnosa e sguardo magnetico. Questo sguardo l’ha mantenuto nel tempo, anche quando l’età segnava massimamente il volto e l’andamento. Ma come fa il comandante in capo a sorridere sempre, stare spesso in silenzio e stazionare staticamente come un monumento ovunque si fermi? Cercherò di spiegarlo. Ho conosciuto Tomaso Kemeny nel Golfo dei Poeti, in quella Liguria levantina che toglie il fiato per il disegno del paesaggio. Ed è stato un impatto quasi perturbante. Provavo simpatia, ma anche un filo di inquietudine per la sua figura. Ci sono individui che portano con sé un’aura. Tomaso era uno di questi. La sua presenza era al contempo normale presenza e ieratica apparizione, come se trattenesse nella propria persona un dualismo di carnale e spirituale. Credo sia sempre stata questa dualità l’energia sottile che viaggiava da lui stesso alle relazioni umane che instaurava. Certamente era possibile cogliere in questo poeta lussurioso e garbato la fisionomia di un padre o di uno zio benevolo, di un signore d’altri tempi. E di questo mondo borghese e rassicurante parlava anche casa sua in Viale Romagna a Milano. Eppure Tomaso portava con sé anche un non so che di transilvano. Era una specie di daimon che interferiva tra mondo terreno e mondo divino. E lo faceva con la poesia. * 2. Per alcuni anni Tellaro è stato il nostro luogo di incontro. Con me e Tomaso tanti poeti e poetesse che, estate dopo estate, amavano incontrarsi per l’aperitivo fino a notte inoltrata, leggendo poesie in faccia all’orizzonte. Sopra Lerici, Angelo Tonelli, poeta e grecista tra i più importanti in Italia, organizza Altramarea, una rassegna di poesia informale e bellissima. Siamo tutti noi, ormai da decenni, dentro questo mondo minuto della poesia e sappiamo chi siamo. Conosciamo chi prende e chi dà, chi ruba e chi regala, chi se la tira e chi è timido: i poeti sono umorali e si pensano eterni. Perché se non ti pensi eterno che razza di poeta sei? Diciamo dunque che tra tutti i luoghi dove la poesia mi ha portato, Tellaro è quello più puro e più libero. Fuori da ogni logica di potere, lontano dal marchiano do ut des ricorrente, sorretto soltanto da Angelo e dalla sua fede nel vento, nei greci e nella spuma marina. Soprattutto qui l’anima gentile di Tomaso Kemeny trovava il respiro vitale dell’amicizia e del vitalismo dannunziano. Poi ci sono state le parate poetiche, come quella in costume alla stazione Santa Maria Novella di Firenze, o il Komos a Sarzana. Ma queste sono altre storie. * 3. Per tutto il 2004 mi trasferii a Milano. A un certo punto lavoravo a Radio 24. E fu quell’anno che la frequentazione tra me e Tomaso diventò più intensa. Ci piaceva fare l’aperitivo da Zucca in Galleria, quando non era cambiato tutto e Milano aveva ancora qualche atmosfera austro-ungarico e, per contrasto, popolare. Lavorai tutta l’estate, mentre Tomaso se n’era andato, come sempre, al mare nella casa ligure. Poi, una mattina di settembre lo chiamai perché era morto Giovanni Raboni. Lo seppi subito: era il vantaggio di lavorare per una testata giornalistica. Lui disse: “dobbiamo andare al funerale”. Il giorno stabilito arrivammo in tram al Monumentale. Entrammo e nella Cappella centrale c’era il libro delle firme. E noi firmammo. Poi salutammo Maurizio Cucchi e restammo un po’ nella camera ardente. Non ricordo di cosa parlavamo, ma adesso mi sembra di ricordare che stavamo parlando un po’ troppo per essere a un funerale. E rammento anche il nostro atteggiamento che aveva una postura di totale rispetto per il momento, ma che altrettanto aveva un briciolo di osservazione distaccata dalla cerimonia. C’era nel nostro sentimento comune un incrocio tra il detto bianciardiano che sostiene che ai funerali non si deve essere tristi e quello di Elias Canetti che di fronte alla morte dice che gli esseri umani valutano con positività che loro sono ancora in piedi, in vita e non orizzontali, cioè il morto è lì al posto loro, per decretare che non sono loro i morti. Restammo comunque a fare azione fedele di commiato per un grande personaggio della cultura milanese e italiana come Raboni. E poi andammo a fare l’aperitivo da Zucca. * 4. Il 18 novembre 2006 eravamo alla Casa della Cultura di Heidelberg. La cosa incredibile di quella serata è che i tedeschi pagavano un biglietto per entrare ad ascoltare dei poeti italiani, che leggevano in italiano. Questa cosa mi è sempre rimasta impressa nella memoria: persone che in massima parte non capiscono una parola di quello che vanno ascoltando e, nonostante questo, pagano un biglietto per farlo. L’organizzazione impeccabile di questa serata e dei nostri quattro giorni là era opera di Antonio Staude, un bravissimo filologo e traduttore di madre lingua italiana e tedesca, nipote di Tiziano Terzani da parte di padre e di Giorgio Colli da parte di madre. Staude aveva organizzato questo viaggio poetico (con l’aiuto di Angelo Tonelli) e ci dava impegni e orari stringenti per corrispondere al programma di lavoro molto teutonico. Con me e Tomaso c’erano, tra gli altri, Valentino Zeichen, Salvatore Smedile, Gabriella Galzio, Francesco Macciò, Dieter Schlesak e lo stesso Tonelli. Eravamo arrivati in aereo a Francoforte. Da lì, in autobus, ci eravamo spostati a Heidelberg. Il gruppo di poeti viaggianti doveva partecipare al World Poetry Festival – poeZone 4, con una giornata dedicata: “Una notte italiana – Dichtung aus Italien”. Il primo giorno passò in assoluta libertà di fare, brigare, passeggiare, dormire. Il secondo giorno ci toccò una riunione notturna. Dopo cena eravamo costretti a un’assemblea per organizzare la giornata fatidica. Appesantiti dal cibo e dal vino saliamo al primo piano di un istituto culturale di cui Staude aveva le chiavi. La stanza era grande e il riscaldamento non era in funzione. Faceva freddo. Tomaso si era seduto ed era rimasto imbacuccato nel suo pastrano, col cappello in testa e i guanti. Appena seduto chiuse gli occhi. Dormiva. Angelo Tonelli tentava una scaletta dei nostri interventi poetici del pomeriggio successivo alla Biblioteca centrale e della sera alla Casa della Cultura. Io dissi qualcosa, Valentino ribatté qualcos’altro, Staude precisò alcune cose. Tomaso dormiva. Mi avvicinai alla lavagna e tentai un elenco di nominativi con scansione dei tempi. Angelo Tonelli corresse. Tomaso dormiva. Valentino non era d’accordo. Si discuteva e citammo due poeti, io Caproni e Valentino non ricordo chi. Ci sfottevamo. Poi ci mettemmo tutti a ridere. Tomaso dormiva. Quando ormai stremati dall’ora tarda e dall’alcol decidemmo di andare a dormire, qualcuno doveva prendersi la briga di svegliare Tomaso. E tutti ci chiedevamo chi l’indomani avrebbe detto a Tomaso cosa avevamo scelto anche per lui che dormiva nella scaletta dei due eventi di lettura. Il giorno dopo alla Biblioteca, Angelo Tonelli, nonostante avessimo chiarissimo dalla notte precedente l’ordine degli interventi, disse che avrebbe ripetuto la scaletta e gli argomenti, soprattutto per Tomaso. Ma Tomaso, già seduto al tavolo si voltò verso di lui e disse con estrema esattezza il nome di chi avrebbe cominciato, l’intervento e il tema precedente al suo, e quello successivo. La notte prima aveva sentito tutto. Aveva dormito? Aveva fatto finta di dormire? Non si sa. La realtà è che sapeva già tutto. * 5. Sono passati molti anni. Ogni volta che andavo a Milano lo chiamavo e se c’incastrava ci vedevamo per il solito aperitivo. Un anno mi invitò a presentare un mio libro alla Casa della Poesia, che aveva contribuito a far nascere e crescere. Poi nel 2019, mentre stavo costruendo il progetto del viaggio sulle orme di Leonardo Da Vinci, un viaggio in scooter da Vinci fino ad Amboise in Francia, con dieci tappe intermedie (progetto raccontato in alcuni video e in un libro, intitolato Da Vinci su tre ruote), lo invitai come testimone della tappa milanese. Ci vedemmo da Frank a Porta Venezia e ci divertimmo molto a registrare l’intervista. Era affaticato, ma ancora molto reattivo. Furono abbracci e sorrisi. Poi tutto è precipitato e gli anni dopo sono stati solo telefonate. Poi più neanche quelle. A questo punto però serve fare un passo indietro. * 6. Nel 2007 ci vedemmo qualche volta a Milano e poi Tomaso venne in Toscana per parlare di un suo poema che voleva assolutamente pubblicare nella mia collana di libri di poesia. Per questo serve portare qualche fatto. Dal 2000 avevo fondato la collana Poesia di Edizioni ETS. Fino al 2007 erano usciti alcuni libri che restano primizie italiane: l’antologia sulla guerra e la madre di Roberto Carifi, la prima traduzione italiana del poema Premio Pulitzer 1967 di George Oppen, il primo libro italiano di José Tolentino Mendonca, il Canto Pisano di Sam Hamill e alcune altri importanti titoli. Tomaso mi propose un suo poema, me ne parlò, me lo fece leggere e lo pubblicammo a settembre 2007. Il titolo, visto con gli occhi di adesso, è tutto un programma: La morte è un’altra cosa. Ho ripreso in mano questo libro. Tomaso scriveva:  > “e quando la luce tornerà alla luce sente che  > tutto il potere sarà della poesia  > dell’esistenza finalmente  > anche per l’impossibilità innata  > di venire a patti con la vita”.  Sembra un testamento. Sembrano versi scritti per la sua dipartita, perché sono tanto aderenti a ciò che Tomaso era e pensava. E adesso che Tomaso è morto questi versi risuonano fortissimi. Questo poemetto parla di giovani (che Tomaso frequentava per l’insegnamento universitario e nel mondo della poesia), ma soprattutto parla del fatto che dalla fantasia scaturisce l’utopia, cioè un anelito umano verso le stelle, quello che Tomaso definiva “frutto inconsumabile dell’immaginazione umana”, chiudendo la sua nota ai versi con la convinzione “che l’utopia non può morire”. Questo era Tomas Kemeny. Per questo ci mancherà, lui daimon mezzo umano e mezzo divino. Forse la sua frase più rappresentativa era proprio questa specie di preveggenza che volle ficcare nel libro per dimostrare che davvero la morte è un’altra cosa e che infine, quando la luce tornerà alla luce, tutto il potere sarà della poesia. Avanti, Tomaso! Stai bene! Alessandro Agostinelli L'articolo La morte è un’altra cosa. Sussurri, aperitivi e viaggi in memoria di Tomaso Kemeny proviene da Pangea.
November 10, 2025 / Pangea