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“Un sentimento innominabile”: Jay Wright e la musa afroamericana
La poesia di Jay Wright è “enormemente vasta”, come Pasolini definì quella di Pound nella celebre intervista: nata come lirica di forte impronta religiosa, in essa si riscontra un’insistenza decisa sul tema della storia dagli albori, anche solo nei titoli stessi della raccolta d’esordio del 1967 Death as History, poi ripudiata, e della ben più cospicua Dimensions of History (apparsa nel 1976), tanto che Gerald Barrax scrisse nel 1983 che “se Wright avesse una musa classica sarebbe Clio”, come ben evidente in particolare nei suoi primi quattro libri di versi: l’opera del poeta, sempre per citare il Pasolini dell’intervista, si sviluppa come se “si estendesse in superficie occupando un territorio poetico immenso”, dall’Africa dei suoi antenati alle Americhe, affondando le radici nella millenaria tradizione filosofico-letteraria del mondo classico e nelle varie ramificazioni europee che ne derivarono, ove epoche diverse e mitologie disparate come egizia, azteca e Dogon (dall’Africa occidentale) – per citare quelle che più comunemente si incontrano – permeano il tessuto dei versi convergendo in una singolarissima architettura. Estremamente unitaria, la sua poesia andrebbe vista probabilmente come un’unica opera in versi: a suggerire questa continuità (peraltro confermata dallo stesso autore) basti ricordare che in Transfigurations, apparsa nel 2000, vennero ristampate le precedenti sette raccolte The Homecoming Singer (1971), Soothsayers and Omens (1974), Dimensions of History (1977), The Double Invention of Kǫmǫ (1980), Explications / Interpretations (pubblicata nel 1984 ma scritta prima del 1980), Elaine’s Book (1986), Boleros (1991) e la semi-eponima Transformations, inedita; la raccolta successiva, The Guide Signs (apparsa nel 2007), come Transfigurations venne stampata a Baton Rouge dalla Louisiana State University Press, e con quella condivide anche l’aspetto grafico della copertina (fatta in entrambi i casi da Amanda McDonald Scallan) e dei caratteri (Trump mediaeval), sottolineando ulteriormente la continuità tra le due opere (e quindi tra The Guide Signs e le precedenti otto). Anche nei volumi pubblicati dal 2007 in avanti, Music’s Mask and Measure (2007), Polynomials and Pollen (2008), The Presentable Art of Reading Absence (2008), Disorientations: Groundings (2013), The Prime Anniversary (2019), Thirteen Quintets for Lois and the ἔτι καὶ νῦν of Grace (2021) e Postage Stamps (2023), si riscontrano molti degli elementi che avevano caratterizzato le prime nove raccolte: a livello poetico si nota una continua frapposizione di una dimensione piú “lirica”, in cui le opere sono composte in prevalenza da poesie relativamente brevi, spesso di qualche dozzina di versi (non mancano ovviamente esempi di testi più succinti, come in Music’s Mask and Measure, composta quasi interamente da poesie tra cinque e dodici versi, e in altre raccolte in cui si trovano sonetti o componimenti in poche ottave o strofi spenseriane, come ad esempio in The Prime Anniversary), ad una dimensione più “poematica”, evidente ad esempio in The Presentable Art of Reading Absence, un unico poema, o in The Double Invention of Kǫmǫ e in The Guide Signs, di cui intere sezioni sono strutturate più come poemi o poemetti (o sistemi unitari di poemetti) che come raccolte di poesie. Fatta di accostamenti tra culture lontane a livello geografico e storico, questa poesia è diventata man mano più universale, più pregna di immagini caratterizzate da una callida iunctura: si osserva sempre la giustapposizione di mitologie distinte appartenenti a mondi diversi, che inizia già in  Soothsayers and Omens e trova forse il suo apice in alcuni titoli di Boleros, in cui Wright stabilisce una corrispondenza tra le muse greche e gli stadi dell’anima nella mitologia egizia; nelle raccolte da Transformations in avanti il poeta affianca alla cosmologia mitologica (prevalentemente Dogon) un cosmo più concreto, vicino a quello degli astronomi, menzionando ad esempio lune di Giove, frammenti di stelle e campi magnetici in Transformations; in tempi più recenti ancora nomina spessissimo gli elettroni, e userà un’espressione fortemente scientifica come “il reperto fossile di un’anima” in The Presentable Art of Reading Absence. Pur essendo in origine avulso dalla metrica tradizionale e legato a versi brevi, già in Dimensions of History Wright a tratti usa con insistenza il verso più comune nella poesia inglese, il pentametro giambico; la metrica canonica torna (filtrata da un uso molto novecentesco e “libero”) nelle sezioni conclusive di Boleros e poi in gran parte di Transformations, dove compaiono sonetti con strutture rimiche piuttosto inusuali (continuando la tradizione di Ozymandias o, in tempi piú recenti, di Parting di Yeats) che comporranno poi anche il primo movimento di Thirteen Quintets for Lois; inizialmente le rime sono non di rado in tmesi, con parole troncate a metà e continuate al verso successivo; vengono conservate in posizione più consueta nelle ultime raccolte, ove si osserva piuttosto uno spostamento degli accenti verso la fine delle parole per esigenze di rima. Nonostante un uso meno frequente, i versi liberi continuano a far parte della poesia di Wright anche nelle ultime raccolte, soprattutto nelle sue parti liriche. Emergono molto numerosi sintagmi in altre lingue, in prevalenza in spagnolo, presente in particolare nelle poesie di ambientazione latinoamericana (Wright cita spessissimo autori dell’intera tradizione poetica in lingua spagnola, dal vecchio e dal nuovo mondo), quindi anche in francese (antico e moderno), in italiano (si tratta soprattutto di citazioni dalla Commedia, ma compaiono anche altri autori), in latino (aureo e carolingio), in tedesco e in greco antico, lingua in cui si riscontra anche l’invenzione lessicale, come nel caso del neologismo “ἱερο-χθων” in Polynomials and Pollen (da ἱερός, “sacro” e χθών, “terra, suolo”, il secondo associato genericamente all’oltretomba e alle sue divinità oscure). Come si può dedurre, a fronte un apparato poetico così vasto le fonti sono molteplici: solo per citarne alcuni tra i moltissimi Wright stesso scrisse a proposito dei versi di The Double Invention of Kǫmǫ che i lettori avrebbero certamente riconosciuto “Goethe, Agostino (in quanto doppio cittadino), Dante, Duns Scoto e i rinascimenti [sic]” tra le molte voci; l’uso di un linguaggio patristico nelle poesie più religiose rimanda alla Bibbia (talvolta anche all’Apocalisse e in generale ai suoi libri più “immaginifici”), ai presocratici e ai poeti confessionali, tra cui compare spesso Donne; è preponderante la tradizione tedesca, soprattutto quella poetica; Wright nomina spesso esplicitamente filosofi, prevalentemente greci antichi come Plotino e Parmenide (in particolare in Disorientations). Tra i contemporanei ricopre un ruolo primario Eliot, e non mancano ovviamente grandi poeti afroamericani del Novecento come Tolson, a cui è spesso associato, mentreExplications / Interpretations è dedicata a Harold Bloom e a Robert Hayden, morto appena quattro anni prima della pubblicazione; The Double Invention of Kǫmǫ, infine, è dedicata al grande antropologo Marcel Griaule, che studiò a fondo i Dogon e la loro mitologia. Il suo linguaggio è spesso piano e al contempo molto elegante, semplice a livello linguistico e complicato a livello di stratificazione storico-filosofica, gremito di parole in lingue native americane e africane; sebbene il senso profondo dei suoi versi sia spesso oscuro, la loro limpidezza fa di Jay Wright uno dei più grandi poeti viventi. Francesco Kerbaker ** The Invention of a Garden I’m looking out of the window, from the second floor, into a half-eaten patio where the bugs dance deliriously and the flowers sniff at bits of life. I touch my burned-out throat, with an ache to thrust my fingers to the bone, run them through the wet underpinnings of my skin, in the thick blood, around the cragged vertebrae. I have dreamed of armored insects taking flight through my stomach wall, the fissured skin refusing to close, or bleed, but gaping like the gory lips of an oyster, stout and inviting, clefts of flesh rising like the taut membrane of a drum, threatening to explode and spill the pent-up desires I hide. Two or three birds invent a garden, he said and I have made a bath to warm the intrepid robins that glitter where the sun deserts the stones. They come, and splash, matter-of-factly, in the coral water, sand-driven and lonely as sandpipers at the crest of a wave. Could I believe in the loneliness of beaches, where sand crabs duck camouflaged in holes, and devitalized shrubs and shells come up to capture the shore? More, than in this garrisoned room, where this pencil scratches in the ruled-off lines, making the only sound that will contain the taut, unopened drum that beats the dance for bugs and garden-creating birds. L’invenzione di un giardino Guardo dalla finestra, al secondo piano, verso un logoro patio dove gli insetti danzano in delirio e i fiori annusano pezzi di vita. Tocco la mia gola bruciata, volendo infilare le dita fino all’osso, passarle negli strati bagnati sotto la mia pelle, nel sangue spesso, intorno alle vertebre ruvide. Ho sognato insetti corazzati involarsi squarciando il mio stomaco: la pelle fessa rifiutava di chiudersi o sanguinare, aperta come le labbra cruente di un’ostrica, forti e invitanti, fessure di carne pulsanti come la pelle tesa di un tamburo, minacciando di scoppiare e sversare i desideri repressi che celo. Due o tre uccelli inventano un giardino, disse, e ho costruito una vasca per scaldare i pettirossi intrepidi che luccicano dove il sole lascia le pietre. Vengono e spruzzano, in modo pratico, nell’acqua corale, guidati dalla sabbia e soli come piovanelli alla cresta di un’onda. Potrei credere alla solitudine delle spiagge, ove granchietti si camuffano in buche e arbusti e conchiglie smorti vengono a catturare la riva? Più che in questa stanza presidiata, dove questa matita solca linee cancellate, facendo l’unico rumore che conterrà il tamburo teso, chiuso, che detta la danza per insetti e uccelli crea-giardino. (Da The Homecoming Singer) * Inside Chapultepec Castle Wherever you turn, the sensual halls caress you. Rose blood heroes snarl and careen from the walls. Jades and silver medals enchant your eye. Fading amber tapestries and gold furniture lie jealously next to them. To get here, you are pulled from below, a baptized sinner emerging from the water, still trembling. If you listen, you can hear something picking at this temple’s heart. If you are still, you can see a girl, as pure as a goddess who would embrace the chosen, lie down to caress it. Nel castello di Chapultepec Dovunque ti giri, le sale sensuali ti accarezzano. Eroi dal sangue di rosa ringhiano carenando dai muri. Giade e medaglie argentee incantano i tuoi occhi. Arazzi ambrati sbiaditi e mobili dorati stanno, gelosi, accanto a loro. Per arrivare qui, sei tratto da sotto, peccatore battezzato che emerge dall’acqua, ancora tremante. Se ascolti, puoi sentire qualcosa che becca il cuore del tempio. Se resti fermo, vedi una ragazza, pura come una dea che abbraccerebbe i prescelti, sdraiarsi e accarezzarlo. Da (Soothsayers and Omens) * Teponaztli Fat singer in three keys, a continent rolls at your feet. Gourd gong of the dervishes, praise your end. Your tongue slit double, the mallets stamp your body, a calked Calliope, sheer deep in pitch and darkness. Bone clock of the spirits, praise your purposes. Inside, the body, cut rib upon rib, howls at the debt the drummer owes. When the lion climbs into the skin of a llama, debtors to ourselves, we pitch the sound of serpent’s feet, mare’s claws, an eagle’s brimstone, and the body screams agains the stamp of a goddess                                          white as pain. Teponaztli Cantante grasso in tre chiavi, un continente rotola ai tuoi piedi. Gong duro dei dervisci, elogia la tua fine. Tagliata in due la lingua, i magli pestano il tuo corpo, Calliope sigillata, invischiata in pece e buio. Orologio d’osso degli spiriti, elogia i tuoi scopi. Dentro, il corpo, tagliato costola su costola, urla al debito del tamburiere. Quando il leone entra nella pelle di un lama, debitori a noi stessi, moduliamo passi di serpente, unghia di cavalla, zolfo d’aquila, e il corpo grida contro il colpo di una dea,                                    bianco come il dolore. Il Teponaztli è un tamburo azteco, suonato con bacchette che battevano su due lingue di diverse dimensioni incise sulla superficie. (Da Dimensions of History) * [Bolero] 7 Tough old Glasgow tucks itself under a leg of the Firth of Clyde. No Scotia sniveling in that, just pennywise prudence, a way of ladling the elation of coming home. Logicians on the eastern shore count it no surprise that queenly old Edinburgh lies on the Firth of Forth, near to the heart of Midlothian. So, on a doon and windless morning, we whip east and touch down near the greenest pasture in Scotland. As we step from the plane, the neighboring sheep show us their haggis eyes          for the flinty spark of a moment. Suddenly, I amna deid dune sae muckle as fou, suspecting that, here, one can thow the cockles o’ yin’s heart, no small change from a sixpenny planet, and have the thieveless crony within you                             as suddenly awaken. We found this bel canto morning in a Jarocho garden, on an afternoon when spring had departed and left only its scunning heat. I say this now, though I know that my heart’s weather had turned on a winter night, when I heard the deer stamping in the water under the raised barn and felt the star heat fade and the first, clear cut of loneliness, the concert pitch of death’s tuning. Marry or burn, one cannot run away or into, for there is nothing so sedentary as the desire to be comforted, by love, or by some feeling one cannot name. On Hidalgo, in Guadalajara, the blue flowers, in their persistence on the neighbors’ white wall, comforted us, and so the lace of a plaza in sun, tacos at dawn from a cart in Gigantes, the mudéjar ache of the divided cathedral, the rose pinion of paseos,                                  held us till summer. Those were the garden’s traces, leading to the rose of Midlothian, the stone house walled in and set in view of the castle. Down the road, the old poet, who did hard times for Lallans, nests with his chickens and neat Laphroaig. I count him the most civil of servants, whose gift is the mist of tongues, rising from the doom gray of council houses and snuffed coal mines. I love the sound of sporran and kilt in his voice, his refusal to give in to King Street’s dove gray manner. It is some distance to have traveled to learn to resist being comforted too soon. Perhaps some moor-stiff night, we will put on our fog-heavy tweeds and make our way to old Glasgow, curled in its water bed,                       confident,                       cocky,                       still uncomforted. [Bolero] 7 Glasgow, tosta, si insinua sotto un ramo del Firth of Clyde. Nessuna Scotia si lagna in questo, solo prudenza oculata, un modo di elargire la gioia di tornare a casa. I logici sulla costa est non sono sorpresi che Edimburgo, regale, sia sul Firth of Forth vicino al cuore del Midlothian. Quindi, una mattina scura e senza vento, andiamo a est e arriviamo presso il pascolo più verde di Scozia. Come lasciamo il piano le pecore vicine ci mostrano i loro occhi-haggis          per un attimo illuminante. A un tratto, I amna deid dune sae muckle as fou: sospetto che qui si possa thow the cockles o’ yin’s heart, ben diverso da un pianeta da nulla, e avere con te un amico fiacco                             come svegliato a un tratto. Trovammo questo mattino-bel-canto in un giardino jarocho, un pomeriggio quando la primavera era partita lasciando solo il suo caldo aleggiante. Lo dico ora, anche se so che cambiò il tempo nel mio cuore una notte d’inverno, quando sentii il cervo scalciare in acqua alla stalla rialzata e il calore stellare svanire e il primo, chiaro taglio della solitudine, il diapason della morte. Sposati o brucia, non si può scappare da o verso: nulla è più sedentario di voler esser confortati, dall’amore o da un sentimento non nominabile. Su Hidalgo, a Guadalajara, i fiori blu, nella loro persistenza sul muro bianco dei vicini, ci confortarono, come il pizzo di una plaza al sole, tacos all’alba da un carretto a Gigantes, il dolore mudéjar della cattedrale divisa, il pignone di rosa dei paseos,                                  ci tennero fino all’estate. Queste erano le tracce del giardino che portavano alla rosa del Midlothian, la casa di pietra murata e messa davanti al castello. Più avanti, il vecchio poeta, che ha sofferto per Lallans, si annida coi suoi polli e il Laphroaig liscio. È per me il più grande servo pubblico, il cui dono è foschia di lingue, emerso dal grigio infausto delle case popolari e miniere di carbone estinte. Amo il suono di sporran e kilt nella sua voce, la sua resistenza ai modi grigio-tortora di King Street. È un lungo viaggio per aver imparato a resistere al conforto troppo presto. Forse, una notte rigida-brughiera, metteremo i tweeds pregni di nebbia e andremo verso la vecchia Glasgow, arricciata nell’acqua,                       sicura,                       tronfia,                       ancora inconfortata. «I amna deid dune sae muckle as fou» e «thow the cockles o’ yin’s heart» sono variazioni dei primi versi del poema in lingua scozzese A drunk man looks at the thistle di Hugh MacDiarmid, qui traducibili come «non sono stanco morto, piuttosto sono ubriaco» e «scaldare la parte piú intima del cuore». (Da Boleros) * She sat, holding a match to an earwig She sat, holding a match to an earwig, all compassion and contemplation abruptly at hand. Those who had known her father gathered themselves in the doorway and marveled at her instrumental ingenuity. A vestry madness burdened the convocation. Who would think that love could speak so solemnly without provocation? Could she arrange her spices and unguents, and propel them into service before the banns, when, haloed and trumpeted, washed and cinched by a purple headscarf, she would begin her memories? Singing now:                         ¿Por que no viene, padre,                         por que no viene un día,                         que yo casarme quiero                         con el conde de Almería? And yet I caught him by my will and ineffable longing, and hold him secretly… My body is various, infinite, and singular, turbulent notions proposed by an exile. I take this rhythm perdidamente to the crossroads, where all who would wound me bring me their bands of cotton, eggs, and ashes. I will speak with my father                                                about transcendence, and offer him those moments which have no                                            authority or being. Sedeva, un fiammifero a una forbicina Sedeva, un fiammifero a una forbicina, ogni compassione e contemplazione a un tratto sotto mano. Chi aveva conosciuto suo padre si raccolse alla porta, ammirati dalla sua ingegnosità strumentale. Pesò follia segreta sull’adunanza. Chi direbbe che l’amore può parlare così solennemente non provocato? Potrebbe sistemare spezie e unguenti, mandarli al servizio prima dell’annuncio di nozze, l’aura attorno, tra trombe, lavata e stretta in un foulard viola, iniziando i suoi ricordi? Ora cantando:                         ¿Por que no viene, padre,                         por que no viene un día,                         que yo casarme quiero                         con el conde de Almería? Eppure lo presi con la mia voglia e brama ineffabile  e lo tengo in segreto… Il mio corpo è vario, infinito e singolo, nozioni turbolente proposte da un esule. Porto questo ritmo perdidamente al crocevia, dove chi mi ferirebbe porta cotone in fasci, uova e ceneri. Parlerò con mio padre                                      della trascendenza, gli offrirò quei momenti che non hanno                                     autorità o stato. (Da Disorientations: Groundings) Traduzione di Francesco Kerbaker Jay Wright è nato nel 1934 nel New Mexico e ha vissuto in diversi paesi tra l’Europa e le Americhe. Nel corso della sua lunga carriera si è distinto anche come drammaturgo e saggista. È MacArthur Fellow dal 1986. *In copertina: Joaquín Sorolla, “Bambino al mare”, 1905 L'articolo “Un sentimento innominabile”: Jay Wright e la musa afroamericana proviene da Pangea.
December 5, 2025 / Pangea