Per alcuni artisti l’arte è un campo di battaglia. È certamente il caso
dell’eclettico e sorprendente Pablo Echaurren, pittore romano nato nel 1951 che
da più di mezzo secolo sovverte il mondo della pittura contemporanea. Io però
non lo scoprii come pittore bensì come fumettista. C’è infatti un suo libro
edito da Bollati Boringhieri nel 2000 che si intitola Vite di
poeti: Campana, Majakovskij, Pound. È un fumetto, e per molti pittori-parrucconi
quella del fumetto è un’arte minore o nient’affatto un’arte. Non per Pablo
Echaurren.
Quando trovai quel libro cercavo una visione di Campana che non fosse artefatta
o legnosa o viceversa troppo roboante ma in fondo vacua, simile più a un fuoco
d’artificio che alla vera fiamma dei poeti. Cercavo qualcuno che amasse
veramente Campana e che capisse la portata a un tempo rivoluzionaria e classica
della sua poesia e della sua avventura poetica. In una vignetta Echaurren
scrive:
> “Il suo cuore goccia stilla a stilla quel senso dei colori che intende portare
> nella poesia italiana.”
Ma ancora più conta il disegno: una mano, la mano di Campana, stringe un cuore
pulsante e delle stilografiche e dei pastelli, in un’esplosione di colori e
sentimento, di sangue e inchiostro. La poesia non deve essere separata dai
sentimenti del poeta, sembra dirci Echaurren. L’arte deve saper celebrare la
vividezza e l’unicità della vita dell’artista.
L’arte di Pablo Echaurren è uno stato d’animo in rivolta. È figlia per l’appunto
di Campana, di Pound, di Majakovskij, di Marinetti. È un’arte che sa vedere dove
altri non vedono, sentire e creare dove altri non sentono o non creano o creano
male e controvoglia, seguendo la moda o i dettami della noia. I suoi quadri sono
disseminati di vortici e sequenze coloratissime e ipnotizzanti che trovano anche
un ordine nel caos. I suoi collage usano il punk (penso a Ex-pistols, dai Sex
Pistols) e il futurismo e i fumetti e le sagome dei cartoni più conosciuti, però
con uno stile composito e personale che non è mai azzardato ma porta alla
felicità di chi osserva e – ripeto – alla rivolta. Perché l’arte di Pablo
Echaurren non è mai innocua né accondiscendente. Non è un’arte per ricconi in
cerca di facili brividi fintamente rivoluzionari.
C’è un altro volumetto che ho a cuore quasi quanto i suoi quadri più
sovversivi, Controstoria dell’arte, pubblicato da Gallucci nel 2012. Il
sottotitolo suona come un verso surrealista: Breviario di un bastiancontrario.
Qui Echaurren indossa le vesti di scrittore e affronta a proprio modo la storia
dell’arte nel corso dei secoli, dalla preistoria alla street art. Il libro è un
diletto sovversivo che a tratti dissacra i miti intoccabili del mondo dell’arte,
perché da esso – dal mondo artistico, dal mondo culturale – nasce “l’artista
d’avanguardia che nessuno capisce ma ciascuno ambisce a mostrare ai propri
ospiti quale fiore all’occhiello, quale belva trasformata in agnello, quale
orpello per abbellire il tinello”, scrive Echaurren nel capitolo L’artista. Come
a dire che la sua non sarà mai un’arte da salotto. Che Pablo Echaurren, in vita
e in vecchiaia e quindi in morte, non si lascerà addomesticare dalla brama di
denaro o dal demi-monde dei nobili tirchi o spendaccioni.
L’opera pittorica (e non solo) di Echaurren è ancora in parte inesplorata. Pablo
Echaurren è un rivoluzionario incallito che fa della propria arte una
rivoluzione permanente, e le vere rivoluzioni finiscono spesso sconfitte dal
mercato o dagli stolti. Quest’anno sono usciti due suoi libri in
sordina: L’eterna periferia (Bordeaux Edizioni) e Il mio Baruchello (Mauvais
livres). Seguire le sue tracce non è semplice, perché si muove fra piccoli
editori e vecchi cataloghi di mostre che conservano però intatta la loro aura
eccentrica e contestataria. Vale la pena di scoprirlo e sorprendersi. Vale la
pena di aggregarsi alle insurrezioni indomite di Pablo Echaurren.
Edoardo Pisani
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contrario” proviene da Pangea.