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“Le malizie che ho in serbo per te non possono aspettare”. Le grandi donne della poesia persiana
Sui rapporti tra la poesia occidentale e quella persiana bastano – in irragionevole sintesi – tre momenti miliari. Il primo è la composizione del Divan di Goethe, rifacimento-reinvenzione del canzoniere di Hafez, il leggendario poeta sufi. Oltre alle poesie – tra le più alte scritte da Goethe – merita il commento Per una migliore comprensione, che è poi la folle ricerca della poesia “ingenua”, di una poesia, cioè, che danzando ascende. Quanto all’importanza della traduzione delle Rubaiyat of Omar Khayyam ad opera di Edward FitzGerald – modesto poeta in proprio – ha scritto un mirabile testo Jorge Luis Borges, raccolto in Altre inquisizioni. Come si sa – a proposito di persiane voluttà letterarie – Borges riteneva Le mille e una notte alla stregua di un testo sacro: nella mitica ‘Biblioteca di Babele’ edita da Franco Maria Ricci ne propose alcuni estratti, tratti dalla versione dell’orientalista francese Antoine Galland e da quella dell’esploratore britannico Richard Francis Burton (noto traduttore del Kamasutra, tra l’altro). Benché la Russia, per prossimità asiatica, sia un mondo a parte, vanno menzionate come emblema le “imitazioni” dal Corano di Aleksandr Puškin. Da lì in poi, dal pieno Ottocento, l’Oriente dei sogni, la Persia immaginata, l’Egitto metafisico, un esotismo da metropoli diventerà moda: da Delacroix a Jean-Léon Gérôme, da Lawrence Alma-Tadema ad Alberto Pasini, è tutto un infuriare di odalische e di Sfingi, di tigri, cammelli e muezzin, di arabie felici e di arabeschi. Su tutto, la nudità ostentata, la danza dei sette veli, il settimo cielo della poligamia – quel connubio salace tra eleganza e sangue. Shahrazād come il solo Eden plausibile.  Ma queste sono cose che, tutto sommato, si sanno. Si conosce meno, invece, l’influenza che nel vasto impero persiano, sotto egida islamica – che significa, oltre all’attuale Iran, l’Iraq e l’Azerbaigian, l’Afghanistan e l’Uzbekistan e larghe fette di Turchia –, hanno avuto le donne. In un libro pubblicato da Penguin nel 2021, The Mirror of my Heart, Dick Davies – già traduttore di Hafez, Firdusi e Attar – ha raccolto “Mille anni di poesia persiana femminile”. La pioniera di queste poetesse, Rabe’eh, è vissuta nell’attuale Afghanistan un millennio fa; l’ultima antologizzata, Fatemeh Ekhtesari, è nata a Kashmar, in Iran, nel 1986. Di quel ciclo – a suo modo entusiasmante – ci siamo soffermati sui primi secoli di poesia persiana femminile, traducendo, a mo’ di mero esempio, alcuni frammenti lirici.  Diversamente dagli uomini, le poetesse persiane osano temi lascivi, mettono in piena luce il corpo, le voglie della carne. Il cliché della mistica islamica – il rapporto d’amore con l’Amato, che ha sublimi riscontri, nella nostra tradizione, nel Cantico dei cantici – svela i propri umori, i sentori del corpo sfatto, che muore dell’amore, senza velature d’assoluto. Il sensuale domina sul sentimentale; il dettaglio – anche lubrico – emerge sul pendaglio teologico. Il vino è davvero vino, la coppa è la coppa, le labbra sono labbra, senza roseti né roveti ardenti a foraggiare di simboli la tracotante nudità. Chi scrive, genericamente, è donna d’alti natali, la cui ‘fortuna’ l’ha portata a essere dama o scriba presso le corti dei timuridi, dei mongoli o dei moghul. Spesso questa donna è andata in sposa a un alto funzionario: di matrimoni infelici sono costellati questi canzonieri che però – per la sottile arte del pudore, esteticamente eccelsa – non sfociano mai nella ‘confessione’; vi si accede attratti da uno spiraglio, da un sibilo, da una mera malignità confitta tra le fessure. Tuttavia, questa donna godeva della libertà di poter scrivere e studiare, sapeva primeggiare, per statura lirica, sui poeti dell’altro sesso – contemplava, tradiva, fuggiva da una vita vana, dalle censure della consuetudine.  Le vite di queste donne divennero, con rapidità di falco, leggenda; dal presunto libertinaggio di alcune di loro cagliarono poemi. Per certi lati, la storia, miracolosa, di queste donne è paragonabile a quella delle cortigiane giapponesi di epoca Heian: Murasaki Shikibu, Sei Shonagon e le altre, che da un mondo di paraventi hanno tratto un’intera letteratura. A differenza di queste, le poetesse persiane non subiscono la reclusione – semmai, un esilio del comprendere, le perpetue trappole del frainteso – e il loro lignaggio si attua nei secoli, costituisce un’audace discendenza. Alla vacuità delle giapponesi – a quell’irredento senso di nostalgia che pervade i loro scritti, alla taciuta ferocia – le persiane sostituiscono la pienezza d’amore, il rimorso, semmai, l’imperio dell’ira. Non è un caso se alcune donne che hanno sconvolto i salotti francesi degli ultimi secoli provengano dal Caucaso: Mademoiselle Aïssé e Banine. In queste donne, allo stesso modo, il gusto per il pettegolezzo si fonde all’arte della caccia: restano donne di deserti, di pronunciate pianure, di palazzi sulla soglia del miraggio, della calura che stenua in sfinge ogni ombra, fiere del loro essere fiera. Non attendono l’Amato con l’ansia patologica del mistico: pretendono una notte d’amore, pretendono tutto – e poi, prima di dimenticarlo, lo sorprendono spiccandogli una ciocca di capelli. Sanno che ogni notte ha il suo dio che muore – un nuovo dio, in bocciolo, sorgerà, all’alba.  *** Rabe’eh (X secolo) Discendente di Arabi, il padre ebbe importanti uffici a Balkh, nell’attuale Afghanistan. Pioniera della poesia persiana, fu “donna superiore agli uomini in talento, di acuminata tempra, intraprendente nel gioco dell’amore”, come narra una cronaca dello storico Muhammad Aufi (XIII secolo). Di lei si fece presto leggenda; la più nota – che diede avvio a poemi e romanzi – narra del suo amore per uno schiavo, Bektash. La relazione fu scoperta dal fratello di Rabe’eh, che le tagliò i polsi lasciandola, agonizzante, su una chiatta. Lo schiavo si vendicò, uccidendo il fratello di Rabe’eh per poi uccidersi a sua volta. Piuttosto, i versi d’amore di questa donna singolare sono stati letti come l’impresa di una via mistica.   Ho bevuto con il mio amore stanotte per sapere se fosse davvero lui il mio amore. Libera dal dolore e dal terrore, mi sono seduta al suo fianco e gli ho chiesto: “Mio dio, almeno stanotte annienta le chiavi del mattino”.  * Il suo amore mi ha catturato ancora –  ho lottato ferocemente, invano.  (A dire il vero, mi ha insegnato che non si può nuotare nell’infinito oceano dell’amore. Per avere amore devi accettare ciò che per istinto rifiuti. L’obbrobrio sia per te magnificenza inghiotti il veleno come fosse miele). Ho scosso la testa per liberarmi ma il cappio, infallibile, si stringe                        sempre di più.  ** Mahsati (1089 ca. – 1159) Visse nell’attuale Azerbaigian, scriba di corte al servizio del sultano selgiuchide Ahmed Sanjar. Nelle sue quartine non sono alieni i temi lascivi, le intemperanze di una impenitente libertina. Le furono ascritte innumeri e tormentate storie d’amore; il suo nome d’arte, Mahsati, significa “Signora della luna”. C’è un mondo per chi ama le pietre preziose: i poeti scelgono un mondo diverso per impreziosire i loro scranni. L’uccello che inghiotte il magico grano dell’amore vive su un altro piano: il suo nido è al di là dei mondi, ignora la ricchezza, disprezza la fama.  * Vieni, ho preparato un’alcova dove potremo giacere: sopra tappeti preziosi si spalanca il nostro rifugio perfetto.  Ho preparato la carne e il vino, te li voglio servire: il vino sono i miei occhi – mangerai il mio cuore straziato.  * L’amore addomestica il leone, lo costringe alle sue tane – è un oceano di meraviglie rare.  A volte, le sue deliziose vie allietano la nostra anima altre volte il vento sparge un cupo sentore di sangue. * Non sei molto intelligente, uomini come te non sono usi ai consueti codici dell’amore – mio volubile amico, sono felice che tu abbia passato la notte  con me: spero di non dimenticarti domattina presto… ** Motrebeh (XII secolo) Nulla si sa di questa donna se non che visse presso la corte di Nishapur. Il suo nome ne identifica la professione, significa: “donna sapiente nelle arti musicali”.  Gli ho detto: “Il mio cuore desidera un bacio”. Disse: “Un bacio ti costerà l’anima”.  Il mio cuore mi ha stretto all’angolo sussurrando: “L’offerta è ottima, accetta!”.  ** Fatemeh Khorsani (morta nel 1246) La frivolezza che promana dalle poesie di Fatemeh è in contrasto con la sua biografia, tragica. Catturata durante una razzia dei Mongoli in Corasmia, diventò intima della potente regina Töregene Khatun. Alla sua morte, fu accusata dalla corte mongola di tradimento e di stregoneria e uccisa dopo lenta tortura.  Le malizie che ho in serbo per te non possono aspettare, priva di te ogni piacere mi è negato… Tu sei fonte di vita eterna, ma, proprio come il sacro fiume, resti invisibile ai miei occhi.  ** Jahan Malek Khatun (XIV secolo) È l’autrice di uno dei più poderosi ‘divan’ redatti da mano femminile: le oltre 1500 poesie del suo canzoniere costituiscono, in fondo, la lirica, sgargiante autobiografia di Jahan Malek Khatun, una testimonianza unica nel Medioevo persiano. Figlia di Masud Shah, reggente di Shiraz, ebbe educazione di principessa. Alla morte del padre, subì le scosse della successione: per alcuni anni fu esiliata, salvo rientrare a Shiraz, dove morì. La sua vita fu lacerata dalla morte della figlia, neonata, a cui dedicò un commosso ciclo di versi.  Mi chiedi come sto – come sto senza di te, amore? All’alba gli occhi, nottambuli, arretrano nel sangue.  Mi hai abbandonato – mi hai insanguinato il cuore.  Mi hai lasciato cadere dagli occhi come lacrime.  Con noncuranza, le tue ciglia hanno ingabbiato il mio cuore: sono prigioniera dei tuoi lunghi capelli.  Aveva statura e grazia: era bello come la prima lettera. La sua assenza mi ha reso vedova del mio nome una donna votata alla follia.  * Sulla morte della figlia, neonata Nessuna droga può placare il mio cuore il marchio del dolore non si leverà mai. Il mio cuore non si stancava della tua presenza ora vive della tua continua assenza.  * Ho giurato di non vederlo mai più: come una Sufi, annienterò le tentazioni; so che la mia natura può farlo: per ora, rinuncerò alla rinuncia. ** Mehri (XV secolo) Dama di corte a Samarcanda, fu confidente della regina timuride Goharshad. Visse in epoca florida, munifica per i poeti. La regina – che l’amava – obbligò Mehri a sposare il chirurgo di corte, un uomo molto più anziano di lei: di qui le poesie che ostentano infelicità coniugale, il corpo che sfiorisce, la fiacca sessualità.   Una giovane donna che va in sposa a un vecchio avrà – finché non sarà vecchia – ogni felicità negata. Meglio una freccia piantata nel fianco dicono, che avere un vecchio al fianco.  * Dormiamo insieme e non mi sazi ti parlo e i tuoi silenzi mi sfiancano. Ho sete: dici di essere la fonte della vita –  dov’è allora, per amor di Dio, l’acqua che mi neghi? * Mi chiese di baciarmi le labbra: già, ma quali labbra, quelle di sopra o quelle di sotto? * Non farti ingannare dalle belle parole –  le belle parole sono quelle che la balia elargisce al bambino quando non ha più latte.  * Nessuna notte è più breve di quelle trascorse con te: appena prendi a svestirmi il sole comincia a sorgere.  ** Zaifi Samarqandi  (XV secolo) Nulla si sa di questa donna capace di esprimere in versi intrisi d’ira l’infelicità del suo amare. Nel nome è forse celata la provenienza della sua famiglia, Samarcanda.  Il mio amore è nulla per me – ormai è tardi… vecchio flaccido sciocco sei in uno stato pietoso e minacci di prendermi a botte?  Ma se non hai nemmeno la forza di reggerti in piedi! * Ofaq Jalayer (XVI secolo) Figlia dell’alta aristocrazia timuride, Ofaq Jalayer andò in sposa al governatore di Qom. Seguì il marito nei suoi continui spostamenti – di cui ricaviamo tracce nel pur scarno canzoniere –, terminando i suoi giorni presso la corte del Gran Mogol Babur, il fondatore della dinastia Moghul.  Te l’ho promesso: non berrò più vino                                 mio nobile cipresso –  Tuttavia tu non hai promesso, non rinuncerai                                  a darmi il vino dalla tua bocca.  * Cos’è questo chiacchierare di esilio                                come fosse un incantesimo? La tua casa è dove sei felice                                in qualunque luogo essa sia. ** Dusti (XVI secolo) Nulla si sa di Dusti, donna che eccelle nel ferreo lamento, se non il nome del padre, Darvish Qayam Sabzevari. La luna ha i capelli spettinati e io mi sono innamorata dell’eresia di un infedele. O amico, che straziante dolore l’amore –  una volta che ti ha catturato, non c’è scampo non c’è senso né logica nell’amore a entrambi devi rinunciare – Dusti  ha pianto lacrime come le nuvole a primavera ora non piange più: ha pianto troppo.  L'articolo “Le malizie che ho in serbo per te non possono aspettare”. Le grandi donne della poesia persiana proviene da Pangea.
June 26, 2025 / Pangea
International women’s day of Aikido – 8 marzo 2025
Nel weekend dell’8 e 9 marzo 2025 a Wells in Inghilterra celebreremo la Giornata internazionale delle donne nell’Aikido. Organizzato da Fiona Bytl e Alive U.K. a Wells, nel Somerset U.K., il seminario sarà condotto da donne insegnanti di Aikido di alto livello internazionale. Il seminario sarà condotto da: Fiona Blyth, 6° Dan Aikikai, USA-UK Emiko Hattori, 5° Dan Aikikai, Giappone Agnese Trocchi, 5° Dan Aikikai, Italia Jimena Gutiérrez Alarcón, 5° Dan Aikikai, Argentina Roxana Gramada, 4° Dan Aikikai, Romania Il seminario è organizzato e condotto da Fiona Blyth Sensei, 6 Dan Aikikai, dell’Aikikai USA di Boston . Unitevi a noi nella Giornata internazionale della donna dell’8 marzo 2025 per celebrare una varietà di prospettive, abilità e punti di forza femminili nell’Aikido di oggi . ORARI E COSTI * Sabato (£ 45,00) 11-13.30, 14.30-17.00. * Domenica (£20,00) Aikido/Ki No Renma-armi 10.00-13.00. * Weekend completo £50,00 (sconto per i visitatori internazionali). E necessario essere assicurati e portare bokken e jo. Possibilità di alloggio in ostello: 35 euro a notte. Per partecipare si prega di utilizzare PayPal: https://www.paypal.me/aikidoalive Oppure pagare in contanti alla porta . Per maggiori informazioni visitare l’evento Facebook qui.
March 2, 2025 / A.S.D. Salvatore Mergé – Dojo di Aikido