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“Mi nutro del nettare della vita”. Rupert Brooke e il genio della giovinezza
Rugby, dicembre 1905. Nella cappella della scuola locale, due ragazzi si scrutano da lontano, in ginocchio sui banchi in posizione di preghiera. Gli occhi, trepidi, seguono il luccichio delle candele, al ritmo dei salmi e degli inni. Dalle ombre basse delle navate, sguardi di attesa e stupore si incrociano per un istante, poi fuggono al primo brivido, tornando in orbita come magneti. I loro nomi, da adulti, sarebbero diventati leggenda, ricordati come assoluti protagonisti del mondo della cultura di inizio Novecento: erano Rupert Brooke e Michael Sadleir. Da un lato, l’Adone anglosassone immortalato da Leonard Woolf, e non solo “il ragazzo più bello d’Inghilterra” – a detta di W. B. Yeats – ma anche lo scrittore georgiano annoverato fra i più amati war poets; dall’altro, un’autorità nella storia della critica vittoriana, magnifico esperto di Trollope e appassionato bibliofilo. Della fama nazionale del primo testimonia, com’è noto, la lapide in ardesia posta nel Poets’ Corner a Westminster; del compagno (distintosi per aggiunta di una lettera dal padre Michael Sadler, eminente educatore) vanno quantomeno citati i romanzi di successo Fanny by Gaslight (1940) e Forlorn Sunset (1947), ambientati nei bassifondi della capitale, oltre alla sterminata collezione di volumi ottocenteschi raccolti nella sua biblioteca, ancora un punto di riferimento negli studi vittoriani.  Rupert Brooke fotografato da George Augustus Dean Jr, Rugby, 1905 Studenti nella scuola privata della cittadina del Warwickshire, nota dalla metà del secolo precedente come il “tempio della mente e del corpo” di Thomas Arnold e campo di formazione tout court dei più dotati figli dell’Impero, Brooke e Sadler divennero ben presto amici affiatati, formando un branco inseparabile insieme ad altri Rugbeians: Hugh Russell- Smith e Geoffrey Keynes (fratello dell’economista Maynard). Le loro attività preferite comprendevano cricket, riunioni di gruppo e letture raffinate. Il legame più intimo che univa Rupert e Michael era nato nei primi giorni del 1906 e sin dall’inizio lasciò trasparire un’amicizia esclusiva. Tutto cominciò quando Sadler chiese al fotografo G. A. Dean di acquistare uno scatto dello studente più attraente di School Field stampato sull’annuario scolastico qualche mese prima. Messo a conoscenza degli eventi dallo stesso Dean, la star della scuola – atleta provetto e precoce talento letterario già insignito di premi e riconoscimenti – esibì un’ansiosa curiosità verso la faccenda, sentendosi al centro di un piccolo scandalo privato. Si trattenne comunque dall’esternare la sorpresa per non sollevare commenti inopportuni, guardando con sospetto le mosse dell’ammiratore segreto, venuto timidamente allo scoperto, e interrogandosi sulle sue reali intenzioni.  Il resoconto dell’accaduto è in una lettera all’amico Keynes, dove Brooke tratteggia una sognante descrizione del giovane: > “Un tipo dall’aspetto di un dio greco, il volto di Giacinto, la bocca di > Antinoo, occhi come il tramonto, un sorriso d’aurora… Sadler. Sembra che il > folle mi adori a una pallida distanza.” Da quel momento in poi gli incontri si fecero sempre più frequenti, nettamente più calorosi dei sorrisi furtivi scambiati in fugaci incontri per strada e in cappella, durati appena il tempo di un’affannosa corsa sui campi da gioco. Appartenendo a due Case distinte, nell’ambiente serrato dal ritmo delle lezioni, era infatti molto difficile – o quasi raro – interagire con studenti distanti dalla propria divisione, se non durante le attività sportive, in occasione degli eventi ufficiali e nelle ore di ricreazione. In ogni momento erano tenuti sotto il controllo dei tutori, dietro l’occhio vigile degli insegnanti e dei prefetti, anche in una posizione privilegiata come quella di Brooke, figlio del maestro a capo della sua stessa Casa d’appartenenza.  Da parte sua, lo studente modello chiese a Sadler di ricambiarlo con una fotografia, ottenuta senza troppe remore, seguitando l’azzardo osato dal più coraggioso. Durante il loro ultimo anno a Rugby, i due compagni presero dunque contatti più stretti e coltivarono un affettuoso scambio epistolare che raggiunse intensi toni malinconici e candide venature romantiche. Sempre a Keynes, Rupert attestava la paura che una simile intesa potesse finire come ogni altra cosa bella e insieme rimpiangeva la gioia avvertita nell’istante al tempo rubato: > “Un giorno forse saremo vecchi e saggi, e dimenticheremo. Ma adesso siamo > giovani e lui è bellissimo. Ed è primavera. Anche se fosse soltanto una > commedia romantica, una fantasia, che importa? La Giovinezza è più strana > della fantasia… Al momento lui – l’adorabile, cinto di rose – è a Roma, mentre > io ricevo pallide e tenere lettere ogniqualvolta gli Dèi o le poste italiane > lo permettono.” L’adorazione aveva ormai superato il limite di pruderie concesso all’epoca in qualsiasi legame tra coetanei maschi, con eccessi di tormento giovanile per la distanza lancinante capace di sprofondarlo nell’abisso della solitudine, a tratti colmato dall’esaltazione estatica provata in presenza dell’amico del cuore. Ricusava, d’altro canto, i segni di un rapporto impossibile, negato nella sua stessa essenza, spinto al confine dell’idillio romantico e mai veramente compreso fino in fondo: un groviglio di emozioni contrastanti, assecondate fuori ogni logica al risveglio dei sensi liberamente tesi sulla corda dell’amicizia. Michael Sadleir (Oxford, 1888 – Londra, 1957) Da fervido alunno di Rugby, Rupert Brooke non era estraneo ai clichés scolastici e alle esperienze di molti conterranei del suo status. Per l’abitudine contratta dalla vita di gruppo all’insegna dello spirito di camaraderie, la segregazione nella fratria della scuola a frequenza esclusivamente maschile e il bisogno d’affetto che ad essa si accompagnava sul piano individuale, il mondo delle public schools inglesi ospitava e alimentava una forte componente di tendenza omoerotica, in cui pure influiva l’allontanamento dall’altro sesso durante un delicato momento della crescita. Numerose sono infatti le testimonianze di intimi rapporti tra giovani convittori, designati per la loro estensione nazionale come «amicizie romantiche degli inglesi» – secondo il satirico Evelyn Waugh (Brideshead Revisited, 1945) – e simili a quelle «amicizie particolari» osannate come le più perfette da Roger Peyrefitte in terra francese. Immerse nel sogno di giovinezza dimentico dell’idea di un futuro ben diverso, in larga misura fondamentalmente etero-normato, alcune amicizie maschili potevano perlomeno assolvere altri ruoli possibili nella richiesta di calore e di un tenero riparo dal mondo esterno, proveniente dal legame fraterno con un ami de tout o offerto dal migliore bosom friend, ed essere quindi “permesse”, talvolta finanche incoraggiate, purché – s’intende – non durassero troppo a lungo. Va da sé che alcune di queste venivano percepite come primordi di vere e proprie relazioni sentimentali, quindi osteggiate, finite in preda alla sanzione del pervicace stigma morale, oggetto di punizioni corporali, espulsioni per scandali messi immediatamente a tacere, o addirittura concluse in tragedia come estrema conseguenza di complici patti suicidi orditi dai rispettivi sodali. Un sottomondo omosociale naturalmente esisteva dietro le porte strette delle aule e dentro le barricate claustrali di quegli antichi collegi – chiamati in inglese boarding schools – in maniera analoga, seppure più rigidamente consolidata, rispetto agli istituti sparsi sul continente. Nascondendosi nelle cucce dei dormitori e nelle cosiddette “camerate”, l’oltraggio alla regola era da aspettarsi sia tra gli allievi che tra i membri del corpo insegnante, e il più delle volte da violenti contatti forzati tra i due fronti. Dichiarati punitori della corruzione del corpo e dell’animo infantile, fra gli attenti tutori non mancavano casti custodi della lezione dei classici ed eletti continuatori dell’arte paideutica, in mezzo ai quali si celavano rapaci “pederasti” trafilati nel dominio dell’amore greco – ossia «l’indicibile vizio dei greci» aggirato da E. M. Forster in Maurice (1914 – pubbl. 1971) e condannato ancora a crimine contro natura nell’Inghilterra edoardiana – che nel mondo chiuso della scuola ravvivava l’antica fiamma in nome dell’immacolato amore per i ragazzi. Della sotterranea etica omoerotica alla base dell’educazione standard dei giovani inglesi, non sempre amorevole e lieta, Brooke era di fatto consapevole, pur dipingendo la scuola come il suo personale Olimpo: > “Finalmente ho capito dove sono finiti gli Dèi greci al giorno d’oggi. Si > possono trovare nelle scuole private. Li vedo di continuo, immersi nel sole a > primavera, velatamente camuffati, dai lombi morbidi e gli occhi vivi, mentre > corrono sull’erba, giovani e belli. L’Olimpo è qui e ora. Mi nutro del nettare > della vita, dalle mani di Ganimede, e in mezzo ai miei giovani Dèi ignari > adesso ti scrivo estasiato.” Avrebbe invece parodiato senza soggezione il vorticoso regime scolastico, avvertendo in esso qualcosa di paradossale: un silenzio gravido di colpe che racchiudeva rischi nefasti ammessi dai suoi stessi giudici obiettori. Preoccupato di ricoprire, anni dopo, il posto di sostituto del padre appena deceduto e così ripiombare nella vecchia scuola, questa volta in veste di insegnante (quando fu perfino obbligato a fustigare un ragazzino colpevole, finendo lui stesso in lacrime), riporterà in tono ironico e beffardo a James Strachey, il confidente di sempre ed ex compagno di studi nella scuola preparatoria di Hillbrow: “Questo mi renderà un bravo maestro di prep-school? Mi farà tornare forse all’antica e ortodossa pratica della pederastia?” Convinto della sua purezza di cuore, per preservare le sue emozioni dall’ingiusto bollo di indecenza, il poeta in erba aveva scelto per il suo amico adorato l’appellativo di “Antinoo”. Entrato in possesso di una stampa dell’antico prototipo, conservava la fotografia della sua reincarnazione, lontano da occhi indiscreti, all’interno del suo armadio. Per trasfigurare il compagno in panni greci, come solo si poteva nello spazio immortale della lirica, proprio a Sadler dedicò un inno votato al tragico bitinio, dopo aver letto tutto d’un fiato e in segreto la struggente epistola De Profundis di Oscar Wilde, fra le opere degli idoli decadenti alle cui fonti il neofita si abbeverava negli anni di formazione. Il testo della poesia non ci è pervenuto, almeno integralmente, ne resta però un frammento ritrovato nei suoi quaderni giovanili, che detta nella chiusa: «Meglio che tu [Antinoo] rimanga sempre al nostro fianco». Una pletora di materiali inediti è tenuta, tra l’altro, ancora sotto chiave nei cassetti degli archivi universitari del King’s College Cambridge e nei meandri di fondi privati. Finito in mezzo a svariati componimenti, fogli d’appunti sparsi, diari segreti e numerosissime lettere, comprendenti gli stessi scambi con Michael, il manoscritto andò disperso alla morte dell’autore, probabilmente bruciato per mano di Geoffrey Keynes. Zelante erede testamentario del Brooke Trustee, l’amico premuroso assunse il ruolo di più accanito difensore delle sue carte, preferendo occultare la presenza di materiale ritenuto altamente compromettente circa la sessualità del nobile poeta-eroe, appena scomparso in Grecia, per non macchiarne la reputazione creata, dal lato pubblico, sull’onda della canonizzazione postuma. Solamente a partire dagli anni Ottanta, importanti rivelazioni sui legami maschili della fase Rugby di Brooke sono venute alla luce dallo spoglio capillare dei suoi epistolari, da qui svelate nelle più accreditate biografie. Le amicizie romantiche di quegli anni sono nutrite di tenerezza e pulsioni ludiche, condivise con l’affascinante Charles Lascelles e il più giovane Denham Russell-Smith. Con quest’ultimo, una notte d’autunno del 1909, il ragazzo ancora immaturo avrebbe compiuto il decisivo passo iniziatico durante una leggera «Danza delle lenzuola» nella libertà della sua casa di campagna a Grantchester. Il racconto sincopato e catartico di quella esperienza irripetibile si può leggere in una lunga confessione indirizzata per lettera a James Strachey, datata al luglio 1912, nel carteggio tra i due (Friends and Apostles: The Correspondence of Rupert Brooke and James Strachey, 1905-1914, a cura di Keith Hale, 1998). Ma se la liaison con il fidato Denham bastò come attardato rito di passaggio e di transizione al mondo adulto, dopo aver ripetuto a suo modo – al di fuori della cappa scolastica – i vecchi e imprescindibili codici che giustificavano una tale passione, l’affetto per Sadler sarebbe rimasto soffocato negli abissi del tempo, relegato al ricordo di una forma d’amore puro e inviolato. Amici e Apostoli. Le lettere di Rupert Brooke e James Strachey Queste relazioni maschili si limitano, tuttavia, alla sola fase giovanile degli anni di scuola, inquadrate nell’ottica di un preciso sistema socio-culturale permeato dal tipo di educazione d’impronta public school, perfettamente riconoscibile nell’Inghilterra del tempo, con tutte le coercizioni etiche che comportava, insieme alla messe di sentimenti inespressi dai giovani camerati. Diverso è il caso delle amicizie intellettuali formate nei circoli a stampo omoerotico di Cambridge, dove la tradizione classica continuava entro gruppi elitari e confraternite segrete animate da cori autonomi, come i discepoli Neo-platonici radunati attorno a G. M. Moore (il celebre filosofo autore dei Principia Ethica) e Goldsworthy Lowes Dickinson (A Modern Symposium; A Greek view of Life), o con le dolci attrazioni di George Mallory (maestro nella sontuosa Charterhouse e primo scalatore dell’Everest), del matematico Harry Norton e le file di ragazzi che il bellissimo studente del King’s attirava di continuo con la sua avvenenza fuori dal comune. Eppure, per quanto se ne sappia, il Brooke maturo non ebbe mai più il desiderio – per tacere dell’unica avventura di Grantchester – di riportare quegli amori proibiti alla luce della fase adulta. Il passato restava immerso in una crisalide dorata e il suo ricordo rimaneva intatto nei versi, dove i compagni vengono proiettati nell’etere poetico in visioni di arcangeli e dèi pagani dipinti come «angeli adoranti» o «impassibili immortali» (In Examination, 1908). Sebbene la cultura omosessuale abbia cercato ostinatamente di appropriarsi della sua icona, sollevandolo a corifeo di un movimento di liberazione ante litteram e accomunandolo ai più radicali Bloomsburiani come alle embrionali discussioni intorno all’amore al maschile di Uraniani e Apostoli, Brooke sfugge ancora una volta a ogni possibile definizione, superando fragili etichette, categorie marcate e tendenze che non condivideva del tutto e in cui non si lascia incasellare per sua natura. Com’è riuscito in vita a partecipare ad ogni occasione di scambio intellettuale coi suoi contemporanei e ad oltrepassare ogni cerchia racchiusa in un sistema univoco di pensiero e di condotta, conservando sempre il suo spirito, la sua assoluta individualità e la forte abilità mimetica, egli resta – in tutti i suoi aspetti, dubbi e conflitti irrisolti – una creatura umana dal profilo del camaleonte, capace di essere – a suo dire – «una cosa diversa con ognuno»: un outsidernascosto dietro il membro dell’élite calato nel pieno del sistema. La sua raison d’être risiede invero nel porsi al limite di tutte le contraddizioni, accettando di volta in volta le mute naturali e le diverse maschere, giocando con esse in posa tipicamente byroniana, consapevole della propria unicità. Rifiutando ogni ruolo imposto dall’esterno e facendo sentire la sua posizione di taglio netto, comprensibile in parte per la cornice storica in cui s’iscrive e per via delle sue complesse inclinazioni personali, in una nota privata su “Shakespeare e il Puritanesimo” richiamava la natura anfibia di altri personaggi di genio: > “La verità è che certi grandi uomini sono sia sodomiti sia dongiovanni: > Shakespeare, Michelangelo, e via dicendo. La pura sodomia è soltanto un dolce > vezzo dei giovani […] Questa è la regola generale…” Prima di trovare sé stesso, la propria forza poetica e voce d’artista sotto le guglie di Cambridge, Rupert Brooke era stato davvero felice soltanto nella casa-scuola di Rugby, dove incarnava l’enfant roi immerso in un’aura di spensieratezza respirata a pieni polmoni, a cui invano avrebbe cercato di fare ritorno dopo i vent’anni, rifugiandosi in un immaginario di fanciullezza eterna e fantasticherie fiabesche à la Peter Pan: la sua ossessione fuori e dentro le sale di teatro solcate innumerevoli volte. Mai più ci sarebbe stata per lui una simile innocenza, un giardino delle delizie aperto a tutti i suoi sogni ad occhi aperti. > “Sono stato felice a Rugby più di quanto riesca a trovare parole per > esprimerlo. Se ripenso a quei cinque anni, ogni ora mi appare dorata e > raggiante, sempre più carica in bellezza man mano che me ne rendessi conto. > Non riuscirei e non riesco a sperare, né a immaginare, così tanta felicità > altrove.” Terminato il puerile gioco con Sadler e dovendo adesso rinunciare all’«oro del Paradiso di Rugby» da cui si sentiva bandito, l’allontanamento dalle amicizie sorte tra i banchi di scuola si sommava alle perdite di quegli anni che gli risuonavano come la caduta delle illusioni della prima giovinezza. Il dolore per l’assenza e la separazione dagli amici – per primi Charles e Michael – contribuì al senso di sperdimento emotivo reso più acuto dalla notizia della loro partenza per l’altra prestigiosa università. “Sono fatto per Oxford”, dichiarerà Rupert alla fine dell’estate. Ciononostante, il suo cammino era tracciato per Cambridge, dov’è era diretto in ottobre al college frequentato dalle cime della famiglia.  Avviluppato nell’importante passaggio tra due mondi, non era pronto a lasciarsi alle spalle ciò che di più bello e puro aveva conosciuto e amato lì a Rugby. Ormai tutto faceva parte del passato e del tempo trascorso con gli amici non rimaneva che un tumulo di ricordi pronto a sommergerlo di tristezza, ma a questi si aggrappava nei momenti di sconforto con un angoscioso rimorso per quello che non era stato, intervallato dalla nostalgia per la felicità dei giorni di scuola. Era il patto unico che aveva stretto con loro a rimanere, a consumarlo nella memoria, a spingere ardore e desiderio nelle sue vene, offrendogli sollievo quando più si sentiva solo nelle lunghe e fredde notti insonni, tormentato dai fantasmi. Questa ondata di malinconia cedette presto il passo all’arida consapevolezza che quegli istanti e tutti loro erano andati via per sempre, prendendo ciascuno la propria strada, e neppure l’attesa più fedele avrebbe colmato il vuoto dell’assenza che avvertiva dentro di sé, a scavargli il cuore. Scomparsi uno ad uno come spettri, tramutati in strane ombre nel ricordo, per tutta la vita li avrebbe portati nei suoi sogni di innocenza. Come se non bastasse, la realizzazione precoce che il meglio della giovinezza fosse svanito fra le sue «ore dorate» (Second Best, 1908) lo dilaniava con terribile sconcerto, portandolo a descriversi nei periodi più bui come un ragazzo dal cuore spezzato o “un pallido fantasma che ha vissuto un tempo e ora può solamente sognare”. Messi da parte i propri dolori, i due vecchi amici di Rugby ebbero l’occasione di ritessere i rapporti negli anni a venire, riprendendo a scriversi con disinvoltura e frequentando comuni circoli intellettuali nella Londra d’anteguerra. Mentre Brooke vedeva pubblicati i suoi primi Poems (1911) e parallelamente eccelleva nella vita accademica, concentrato nella sua tesi su Webster (John Webster and the Elizabethan Drama, 1916), il geniale Sadleir sfrecciava come una saetta sul trampolino di lancio di una brillante carriera letteraria, cominciando la collaborazione con gli uffici della rinomata casa editrice Constable, di cui prese le redini a soli ventiquattro anni. Interessati non solo alle materie letterarie, entrambi aderirono con entusiasmo al progetto promosso da John Middleton Murry (marito di Katherine Mansfield) nella rivista d’avanguardia Rhythm, impegnandosi su più fronti nella ricezione delle opere di artisti moderni come Vasilij Kandinskij: da Cambridge, Brooke informò il lontano pittore russo del suo successo in Inghilterra, mentre Sadleir tradusse per lui il saggio Concerning the Spiritual in Art (1912) sulle «vibrazioni dell’anima» in pittura. Assieme parteciparono alle mostre più importanti dell’epoca, tra cui l’oscena retrospettiva post-impressionista del 1910, organizzata da Roger Fry alle Grafton Galleries (e recensita da Brooke sul Cambridge Magazine), che cambiò il volto dell’arte moderna scuotendo gli occhi scettici degli inglesi con un duro colpo. Al termine dell’inverno 1913, nel pubblico finemente selezionato per la lettura della prima e unica opera teatrale del poeta-drammaturgo, la sua tetra Lithuania (pubblicata postuma; tr. Nora Menascé, 2004), siederà fra i vari ospiti accorsi ad ascoltarlo nelle sue stanze – il musicista Denis Browne e il pittore Duncan Grant, dietro Sir Edward Marsh e George Mallory – anche il cresciuto Antinoo in prima fila. New Paths: Verse, Prose, Pictures (1918), a cura di Michael Sadleir Infine, dopo la scomparsa in guerra del giovane volontario nell’aprile 1915, devastato dalla sua perdita, Sadleir stese di suo pugno un “In Memoriam” per l’ammirato poeta, circolante per qualche tempo su un periodico indiano (di cui purtroppo si è perduta ogni traccia) e accluso da lui in una tenera lettera di condoglianze alla madre, Mrs. Brooke o, per gli amici, la “Rani”. D’altra parte, il vecchio compagno di scuola, ormai famoso collezionista, editore e dichiarato pacifista (assunto finanche al ruolo di delegato britannico al tavolo della Conferenza di Parigi), tenne fede al compito di curare, sotto la sua firma e quella di Cyril W. Beaumont, una maestosa raccolta che avrebbe riunito le opere scelte fra i più influenti poeti, scrittori e artisti della modernità. New Paths: Verse, Prose, Pictures 1917-1918 nasceva nel ’18 da un formidabile elenco di personalità di spicco nel panorama artistico britannico: piume del calibro di Harold Monro, Aldous Huxley e D. H. Lawrence, miste ai pennelli di Augustus John, Walter Sickert, Mark Gertler e altri talenti pronti a bussare alle porte del nuovo secolo, sempre ricordando il nome di coloro che avevano speso la vita in difesa dell’arte prima di sacrificarla per amore della patria, i quali certamente si sarebbero aggiunti agli ultimi «pionieri lungo nuove rotte in campo di arti e letteratura». La prima pagina del volume riporta, in doveroso tributo, l’iscrizione dedicata «Alla memoria di Rupert Brooke». Pierluigi Piscopo In copertina: Rupert Brooke (1887-1915) *La scelta e la traduzione degli estratti dalle lettere sono di Pierluigi Piscopo L'articolo “Mi nutro del nettare della vita”. Rupert Brooke e il genio della giovinezza proviene da Pangea.
March 20, 2025 / Pangea