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“Sei nero inferno, sei la notte oscura”. Shakespeare: cinque sonetti alla dark lady
Non è un caso che gli ultimi due testi del canzoniere scespiriano, i sonetti gemelli 153 e 154, siano dedicati a Cupido, variando un motivo tratto da un epigramma di un poeta bizantino incluso nell’Antologia greca. “L’epigramma narra di come Cupido si fosse addormentato e di come le ninfe avessero deciso di spegnere in una pozza d’acqua la sua torcia infuocata (la più antica “arma” di Cupido, con cui egli accende d’amore i cuori degli uomini, prima che gli venissero attribuiti arco e frecce), ottenendo però il risultato di infuocare per sempre quelle acque” (Camilla Caporicci). “La ninfa di Diana approfittò / tuffando la sua torcia infiammacuori/ in una fredda fonte nella valle,/ così dal sacro fuoco l’acqua attinse/ un eterno calore inesauribile,/ che fu bagno bollente e che si dice/ sia la sovrana cura a malattie” (153).  Nel mito, dunque, uno spirito femminile è inviato dalla dea Diana a cercare un rimedio alle fiamme accese dal dio scugnizzo e tenta di trasformare il fuoco che brucia in acqua che plachi: “e così il Generale di passioni/ fu disarmato in sonno da una donna./ Spense la torcia in una fredda fonte/ che divenne calore con quel fuoco,/ bagno termale e cura per malati” (154). Questo racconta il mito, ci dice Will, ma aggiunge che si tratta di un falso, di un estremo inganno, che lui ha esperito sulla propria pelle: “Dolente, cercai aiuto in quella fonte/ ma, triste, non ne ebbi cura alcuna”: a quel punto del canzoniere l’unica cura sono, come da tradizione cortese e petrarchista, “gli occhi della donna” (153). Pubblicati nel 1609 molto probabilmente senza il consenso dell’autore, i Sonetti di William Shakespeare hanno come si sa due dedicatari: un giovane di grande bellezza, il fair youth, e una misteriosa (o)scura donna, la dark lady. Il corpus principale del canzoniere ci offre la celebrazione della giovinezza, poi il doloroso scarto tra bellezza e virtù, e da qui i tormenti del cuore, la gelosia per altre/i amanti del giovane narcisista, quindi la disperazione per l’impietoso avanzare dell’orologio e l’appressarsi della morte, ma anche la sfida tra Will e la propria Musa e la più mondana rivalità con gli scrittori suoi contemporanei. Lo scacco esistenziale è però compensato dall’assoluta certezza di aver consegnato l’amato fair youthall’eternità, grazie all’arte poetica.  Quando poi dal sonetto 127 fa la sua entrata in scena la dark lady, c’è un deciso definitivo cambio di registro: le atmosfere si intorbidano, la lingua s’infiamma, il lirismo estatico del corpus principale viene sommerso da una materia infuocata, pietra lavica composta di lussuria, sfide, minacce, maledizioni. Se poi l’innamoramento omosessuale per il fair youth era di natura ideale, l’amore di carne e seme per la donna pare richiedere a Will una prova di forza tale che le sue forze vitali ne risultano vinte, conquistate: “Ma se m’hai quasi ucciso, tuttavia, / finiscimi di sguardi e così sia” (139). Arresosi alla sua padrona e tiranna, conclude il magnifico canzoniere con una dolente consapevolezza, che è anche un supremo inno all’amore: tra Cupido e Diana non c’è partita, il vincitore è il bimbo capriccioso per le cui ferite non c’è fonte d’acqua né bagno termale, né mai potrà esistere cura alcuna. E, citando il Cantico dei Cantici, si congeda così: “Ma io, schiavo di lei, ci andai e vi dico:/ fuoco d’amore all’acqua dà calore,/ invece l’acqua non raffredda amore” (154). (Massimiliano Palmese) ** 129 È uno spreco di linfa, è una vergogna  quando in corpo s’accende la lussuria. È spergiura e colpevole, è sanguigna, è selvaggia e bugiarda quando infuria. Non appena appagata è disprezzata. È rincorsa in maniera animalesca poi pazzamente odiata, come l’esca  che rende pazzo chi l’abbia ingoiata. Pazzo sia nel possesso che al bisogno. Prima, durante e dopo è sempre estrema:  buona la prima volta, poi gran pena.  Promette gioia, sì, ma è solo un sogno.    E tutto il mondo sa, e non sa evitare     un cielo che all’inferno può portare. * 137 Tu cieco pazzo amore, che sai fare all’occhio mio che guarda ma non vede!  Sa la bellezza, sa dove risiede,  però confonde il bene con il male. Se occhio sviato da affrettati sguardi  s’àncora nella sua baia affollata,  perché, ingannati gli occhi, fai altri ganci per raggirare un’anima assennata? Penserà che sia pascolo privato un terreno che sa che è aperto al mondo?  O dai miei occhi ciò sarà negato per dare aspetto onesto a un viso immondo?      Il cuore e gli occhi hanno sbagliato via,     precipitando in questa malattia. * 139 Non mi chiedere di scusare i danni che la tua crudeltà infligge al mio cuore:  non con gli occhi, feriscimi a parole,  usa forza con forza, e non inganni. Dimmi che hai amori altrove ma di giorno,  cuore caro, non ti guardare intorno: perché ingannarmi quando puoi più offesa  di quanto può l’esausta mia difesa? Ma io ti scuso: “L’amor mio lo sa  che i suoi sguardi mi furono fatali,  e dal mio viso li distoglierà, perché lancino ad altri i propri strali”.    Ma se m’hai quasi ucciso, tuttavia,     finiscimi di sguardi e così sia. * 147 Il mio amore è una febbre, cerca sempre ciò che più a lungo ne alimenti il male,  nutrendosi di quel che lo conserva per appagare una morbosa fame. La ragione, che dell’amore è medico,  furiosa per ricette che non sèguito, m’ha lasciato e ora scopro disperato  che desiderio è morte, e era vietato.  Sono incurabile, la mente è a un bivio,  pazzo furioso e sempre più in delirio. Dei pazzi ho sia i discorsi che i pensieri,  tutti sconnessi, vani e poi non veri.    Ti pensai bella e ti ho giurato pura:     sei nero inferno, sei la notte oscura. * 149 Dici, crudele, che Will non ti ama  se contro me sto sempre dalla tua? Dici che non ti penso, mia sovrana, quando per gioia tua scordo la mia?  Chi ti odia forse prendo per mio amico? Lodo qualcuno di cui ti lamenti? E se con me t’imbronci, io poi non grido  vendetta su me stesso tra i tormenti?  Quale merito vuoi mai che mi tocchi da scordare che sono qui a servirti, se tutto in me ancora ama i tuoi vizi  a comando di un cenno dei tuoi occhi?     Odiami, amore, ora che ho imparato:    vuoi chi ti ammiri, e io sono accecato. Traduzione di Massimiliano Palmese *I testi sono tratti da: William Shakespeare, Sonetti, trad. it. di Massimilliano Palmese, Marcos y Marcos, 2025 *In copertina: John Henry Fuseli: Self-portrait (1790), Victoria and Albert Museum, London L'articolo “Sei nero inferno, sei la notte oscura”. Shakespeare: cinque sonetti alla dark lady proviene da Pangea.
March 21, 2025 / Pangea