A scuola si ripete spesso che la guerra di Troia è soltanto un episodio del
mito, che non si sarebbe mai svolto nella realtà storica, o almeno non in quelle
dimensioni e certamente non a causa di una donna. Con un titolo un po’
provocatorio, preso in prestito dal più evemerista degli evemeristi, Mauro
Biglino, in questo articolo si cercherà di fare chiarezza.
Già gli antichi avevano notato le numerose incongruenze dei poemi omerici, che
così possiamo riassumere: il re dei Paflagoni Pilemene prima muore in battaglia
(Iliade V, 576) e poi riappare in lutto per il figlio morto (XIII, 643-658); nel
canto IX ai vv. 182-198 c’è una serie di verbi al duale che però si riferisce a
tre personaggi (Odisseo, Aiace e Fenice); nella notte che è oggetto dei canti IX
e X Odisseo cena tre volte e si tengono due consigli notturni dopo che il poeta
ha mandato a dormire i protagonisti; Agamennone regna ora come primus inter
pares, ora come un signore assoluto miceneo; il re dell’Argolide è ora
Agamennone, ora Diomede; la Dolonia (canto X) è un episodio isolato e del tutto
insignificante per la narrazione, peraltro con notevoli problemi esegetici.
Nonostante ciò, nessuno mise mai in dubbio che il conflitto fosse realmente
avvenuto in un’epoca remota della storia greca, anche se la tradizione
storiografica ci fornisce diverse possibili date per la guerra di Troia, che
oscillano tra il 1344 e il 1150 a. C. Quella divenuta canonica è la datazione di
Eratostene (1194-1184 a. C.), mentre Erodoto riferisce che Omero visse 400 anni
prima di lui e che la guerra avvenne 400 anni prima di Omero, quindi
approssimativamente intorno al 1250 a. C.
Come noto, la tesi della storicità della guerra di Troia ricevette importanti
conferme dalle scoperte del tedesco Heinrich Schliemann, che nel 1868 raggiunse
il sito di Hisarlık e nell’aprile 1870 diede inizio agli scavi. A dire il vero,
il sito gli era stato indicato da Frank Calvert, che vi aveva condotto degli
scavi esplorativi tra il 1863 e il 1865, ma all’inglese mancavano le finanze, la
fantasia e le capacità narrative di Schliemann, che finì per oscurarne la
figura. Va detto anche che dell’antica città non si era mai persa la memoria: i
più ritenevano che il sito antico sorgesse al di sotto della città romana
di Ilium (Troia IX, I secolo a. C.-IV secolo d. C.) e della città greca di Ἴλιον
(Troia VIII, 950-I secolo a. C.). In età bizantina, al tempo dell’imperatore
Costantino VII Porfirogenito (913-959), Ilium era stata una piccola sede
arcivescovile e, simbolicamente, l’ultimo a farvi visita era stato il sultano
Maometto II, poco dopo la caduta di Costantinopoli, quasi a simboleggiare la
rivincita dell’Asia sulla Grecia.
Determinato a ritrovare a tutti i costi la città omerica e convinto che
quest’ultima si dovesse trovare necessariamente al di sotto di almeno altri tre
strati (quello romano, quello greco e quello lidio dell’epoca di Omero),
Schliemann scambiò però le mura dell’Età del Bronzo per mura di età classica e
ordinò la distruzione dei primi nove metri della collina di Hisarlık, nonostante
gli inviti a una maggiore prudenza da parte di Calvert. Proprio quand’era sul
punto di abbandonare l’impresa, il 31 maggio 1873 Schliemann s’imbatté in quello
che ribattezzò “tesoro di Priamo”. Soddisfatto del proprio lavoro, l’anno
successivo pubblicò i risultati dei suoi scavi e partì alla volta di Micene.
Malgrado l’enfasi con la quale Schliemann presentò le sue scoperte, nulla era
stato dimostrato: come si è detto, dell’antico sito di Troia non si era mai
persa la memoria, anche se la sua precisa collocazione era ancora ignota.
Generazioni di conquistatori avevano fatto visita al sito: Serse, Alessandro
Magno, Cesare, Adriano, Caracalla e molti altri, ma non mancava chi, come
Erodoto e Strabone, dubitava del racconto omerico. Il fatto che fosse stata
scoperta una città di nome Troia non provava che la guerra si fosse
effettivamente svolta lì.
Come se non bastasse, quando tornò a Hisarlık, nel 1878 e soprattutto nel 1882 e
nel 1890, Schliemann si rese conto che la città che aveva trovato non poteva
coincidere con quella omerica, che doveva invece essere identificata in Troia VI
(1750-1300 a. C.), come proposto dal suo assistente Wilhelm Dörpfeld, che lo
affiancò negli ultimi scavi. Il tesoro di Priamo in realtà era di mille anni più
antico (Troia II, 2550-2300 a. C. circa). Fu una terribile constatazione: per
ironia della sorte, nella sua affannosa ricerca della città omerica, Schliemann
aveva distrutto gran parte dell’evidenza archeologica di quel periodo!
Ammalatosi di tumore, mentre programmava una nuova stagione di scavi alla
ricerca di una città bassa, Schliemann morì a Napoli nei pressi di piazza della
Carità, durante uno dei suoi numerosi soggiorni partenopei.
Grazie al sostegno finanziario della vedova Sophia e del kaiser Guglielmo II,
Dörpfeld poté continuare i lavori per altre due stagioni (1893-1894) e alla fine
riportò alla luce le mura dell’Età del Bronzo (quelle che Schliemann aveva
scambiato per mura di età classica). Si trattava di mura imponenti: erano alte
nove metri, in blocchi calcarei squadrati con elevato in mattoni crudi,
presentavano torri imponenti e cinque porte, la più maestosa delle quali viene
identificata da coloro che credono al racconto omerico con le porte Scee.
Curiosamente, il settore più debole delle mura è quello settentrionale, proprio
come nell’Iliade; inoltre, come si può notare dalla foto, le mura sono
inclinate, il che potrebbe spiegare il fatto che nell’Iliade Patroclo cerchi per
ben quattro volte di scalarle. Si tratta, ovviamente, di semplici suggestioni.
Troia VI: tratto di mura e torre di possibile influsso ittita vicino alla Porta
Est (primo esempio conosciuto di mura a dente di sega); sulla terrazza
adiacente, case di Troia VIIa
Tra il 1932 e il 1938, grazie al sostegno dello stesso Dörpfeld, i lavori
ripresero sotto la direzione di Carl Blegen, dell’università di Cincinnati, le
cui ricerche, però, erano viziate da una sorta di bias di conferma: infatti,
egli era assolutamente convinto della storicità della guerra di Troia. Blegen
notò il crollo delle torri e la caduta delle mura fuori asse e giunse alla
conclusione che Troia VIh era stata distrutta da un terremoto che possiamo
datare ai primi decenni del XIII secolo a. C. Secondo lo storico austriaco Fritz
Schachermeyr, la leggenda del cavallo di Troia conserverebbe proprio la memoria
di questa catastrofe: il cavallo sarebbe soltanto una metafora di Poseidone, dio
del mare e, appunto, dei terremoti. Falsa è, invece, la teoria di Francesco
Tiboni secondo la quale il cavallo di Troia sarebbe stato soltanto una nave
fenicia con protome equina: rappresentazioni del cavallo di Troia sono attestate
nell’iconografia sin dall’VIII secolo a. C.
Se Troia VIh era stata distrutta da un terremoto, la città di Omero non poteva
essere che lo strato successivo, Troia VIIa (1300-1180 a. C.). Blegen notò che
questo strato presentava una maggiore densità abitativa, con muri divisori tra
le case, e interpretò questo fatto come la prova di un assedio prolungato. Ciò
non è affatto scontato: le strutture di Troia VIIa potrebbero essere
interpretate anche come baracche temporanee per ovviare alle distruzioni causate
dal terremoto. Del resto, ad oggi le uniche possibili prove di scontri sono
alcuni resti umani nelle strade, tre punte di frecce, due rinvenute nella
cittadella e una nella città bassa, e una punta di lancia rinvenuta nell’area
occidentale. Una delle punte di frecce trovate nella cittadella potrebbe essere
di fabbricazione micenea, ma neppure questa può essere considerata prova di un
evento bellico: potrebbe trattarsi di una freccia caduta da una faretra o
abbandonata! Infine, Troia VIIa mostra chiari segnali di un incendio, ma tale
incendio potrebbe anche essere attribuito a una catastrofe naturale.
La nuova stagione di scavi, su scala internazionale, è stata inaugurata nel 1988
da Manfred Korfmann, dell’università di Tubinga, e ha coinvolto più di 350
accademici da oltre venti Paesi. Obiettivo principale di Korfmann era
l’individuazione della città bassa. Infatti, la cittadella di Troia ha un
diametro di non più di 200m e copre un’area di appena due ettari: essa avrebbe
potuto ospitare al massimo qualche centinaio di persone. Come si è detto, già
Schliemann aveva in programma lo scavo della fertile piana circostante la
cittadella, ma la morte glielo aveva impedito e Dörpfeld non era riuscito a
ottenere risultati definitivi. Secondo Korfmann, nei livelli che ci interessano
(VI e VIIa) la città bassa si sarebbe estesa per circa 20 ettari e
complessivamente Troia avrebbe avuto una popolazione compresa tra 4000 e 10000
abitanti, o forse anche più se si include la popolazione che potrebbe aver
vissuto al di fuori del perimetro della città, in aree rurali facenti parte del
regno. Nel XIII secolo a. C., il perimetro della città sarebbe stato protetto da
un muro in mattoni crudi e da due fossati con una palizzata, il primo 400m a sud
della cittadella e il secondo altri 100-150m più a sud.
Nel 2001, Korfmann presentò i risultati delle sue ricerche al grande pubblico in
un’esposizione intitolata Troia. Traum und Wirklichkeit, nella quale, tra le
altre cose, veniva mostrata una ricostruzione completa della città bassa. Fu
proprio questo modello ad attirare le aspre critiche di Frank Kolb, suo collega
presso l’università di Tubinga. Purtroppo, tale polemica travalicò i confini
dell’accademia: intervistato dal Berliner Morgenpost, Kolb accusò Korfmann di
ingannare il pubblico con ricostruzioni fantasiose e lo ribattezzò “il von
Däniken dell’archeologia” (Erich von Däniken è un celebre pseudoarcheologo
sostenitore della teoria degli antichi astronauti, ndr). Secondo Kolb, non ci
sarebbe alcuna evidenza dell’esistenza di una città bassa, i due fossati
potrebbero essere dei canali usati a scopo agricolo e, calcolando una
popolazione di 100/200 abitanti per ettaro, se si ipotizzasse un’area di 11-15
ettari si arriverebbe al massimo a 1000-3000 abitanti. Per Kolb, Troia non
presenta alcuna affinità con siti come Efeso e Mileto, è priva di edifici
monumentali e di una pianificazione stradale e assomiglia più a un centro
protourbano isolato che a una città vera e propria (la ceramica importata è solo
l’1%!).
Mentre Schliemann e Blegen erano stati criticati per la loro eccessiva fiducia
nel racconto omerico, paradossalmente Kolb criticò Korfmann proprio facendo
ricorso al cieco cantore. La città ricostruita da Korfmann – dice Kolb – non ha
nulla della monumentalità dell’alta rocca di Priamo: l’edificio più imponente,
la Pillar House di Blegen, non ha nulla a che vedere con le sessanta stanze del
palazzo descritto in Iliade VI, 242-249. Inoltre, essa presenta due cinte
murarie, mentre quella omerica ne ha solo una. Infine, la città di Korfmann ha
una vocazione commerciale, mentre quella omerica è abitata da allevatori,
pastori e costruttori, non da commercianti. Come si può vedere, si tratta di una
tesi facilmente smontabile: Omero è pur sempre un poeta, non un archeologo, e si
può sempre ipotizzare che alla sua epoca il muro in mattoni crudi della città
bassa fosse crollato. Questo eccessivo scetticismo, unito con la volontà di
spiegare la realtà archeologica di Hisarlık attraverso Omero, si è imposto
nell’immaginario collettivo e ha dato adito alle teorie più strampalate:
ex-ingegneri nucleari si sono improvvisati archeologi e ci hanno spiegato che
queste incongruenze sono facilmente risolvibili se si sposta la cittadella di
Priamo 3000 km più a nord e nel XVIII secolo a. C., a Toija, in Finlandia. Un
abbaglio culturale collettivo, quello generato da Omero nel Baltico di Felice
Vinci, che non ha risparmiato illustri classicisti e accademici, primi tra tutti
Rosa Calzecchi Onesti e Umberto Eco (quandoque bonus dormitat Ecus).
Tornando a questioni più serie, la ricerca successiva ha dimostrato, invece, che
questo scetticismo era del tutto ingiustificato. Tra il 15 e il 16 febbraio
2002, l’università di Tubinga organizzò un simposio dal titolo The Meaning of
Troy in the Late Bronze Age, con la partecipazione di 13 relatori, che giunsero
alla conclusione che i dati di Korfmann erano in larga misura validi. La
scarsità di evidenze archeologiche per la città bassa è dovuta all’eccezionalità
delle condizioni del sito di Hisarlık, che è stato in gran parte danneggiato
dall’erosione – come del resto è avvenuto anche alle fasi preistoriche – e
all’asportazione di materiali in età ellenistica e romana. Del resto, meno del
5% del sito è stato scavato! Pertanto, la presenza di una città bassa può essere
solamente dedotta sulla base della presenza di ceramica al di fuori della
cittadella nei periodi VI e VIIa e anche sulla base di un semplice argomento
logico e contrario: l’idea che Troia rappresenti soltanto una residenza
aristocratica non può essere sostenuta perché rappresenterebbe un unicum a
livello archeologico, laddove il sistema di fortificazioni ricostruito da
Korfmann, con fossato, cinta muraria esterna e muro principale, è il più
frequente del mondo antico, dall’Età del Bronzo fino all’età bizantina!
Negli studi più recenti, si ipotizza che la città bassa occupasse un’area
compresa tra 25 e 35 ettari, con circa 5000-6000 abitanti, dimensioni del tutto
compatibili con i centri micenei e con città ittite di medie dimensioni come
Gordion, Alişar, Kuşaklı/Šarišša, Beycesultan e la città-Stato portuale di
Ugarit, il che ne farebbe una potenza regionale. L’idea che i due fossati
avessero uno scopo agricolo non è più sostenibile, anche se è stato dimostrato
che essi non sono contemporanei, ma risalgono a due fasi diverse,
rispettivamente VI e VIIa. A Korfmann è succeduto il collega Pernicka, dal 2006
al 2012, poi Rüstem Aslan dal 2014. Quest’ultimo ha riportato alla luce un
ulteriore livello precedente a tutti gli altri, Troia 0 (3500-3000 a. C.).
Complessivamente, sono stati riportati alla luce undici diversi livelli,
suddivisi a loro volta in oltre cinquanta fasi: Troia 0 (3500-3000 a. C.), Troia
I (3000-2550 a. C.), Troia II (2550-2300 a. C.), Troia III (2300-2200 a. C.),
Troia IV (2200-2000 a. C.), Troia V (2000-1750 a. C.), Troia VI (1750-1300 a.
C.), Troia VIIa (1300-1180 a. C.), Troia VIIb (1180-1000 a. C.), Troia VIII (=
Ἴλιον, 950-I secolo a. C.), Troia IX (I secolo a. C.- IV secolo d. C.) e Troia X
(dopo il IV secolo d. C.).
Christian Allasino
*In copertina: Henry Fuseli, Frammenti dall’Iliade, da un quaderno di schizzi
L'articolo Gli antichi non raccontavano favole. Il mito di Troia e il sito di
Hisarlık proviene da Pangea.