> “L’innovazione, come l’evoluzione, è un processo indotto: vuol dire adeguarsi
> e adattarsi a un ambiente circostante, pena l’estinzione o l’irrilevanza.”
Alla pena dell’estinzione mi ci sto adeguando, adattando, ma all’irrilevanza
quella no, perciò per tre giorni consecutivi, dal 15 al 17 settembre, ho
comprato “Repubblica” non per leggere “Repubblica” ma per poter leggere i tre
allegati-in-regalo, essendo gli allegati fin troppe volte l’unica ragione valida
per acquistare i giornali le cui edizioni cartacee immediatamente superate dalle
versioni digitali producono un istantaneo effetto nostalgia, assomigliando a
quei provvedimenti ministeriali dell’istruzione secondo cui basterebbe impedire
agli studenti di entrare con lo smartphone in classe per ostacolare l’onda
dall’intelligenza artificiale generativa, sebbene
> “immaginare una scuola senza di loro [gli strumenti digitali] significa
> condannare gli studenti a vivere la scuola come una macchina del tempo capace
> di viaggiare solo nel passato.”
Gli allegati sono stati L’intelligenza artificiale e lo studio Volume 1 e Volume
2 e L’intelligenza artificiale dallo studio al lavoro, di Federico Ferrazza,
direttore di Italian Tech, che firma le tre introduzioni brevi a ciascun
volumetto, e di Pier Luigi Pisa, il quale secondo una ricerca online è “un
giornalista di Repubblica, un divulgatore e uno storyteller”. A lettura ultimata
si sa qualcosa in più delle opportunità date dall’utilizzo dei chatbot nelle
loro versioni più aggiornate ma ancora di più ci si può dare una stima su quanto
stia aumentando il divario tra l’idea-del-mondo in cui è cresciuta la propria
generazione e la nuova idea-del-mondo delle generazioni appresso e in corso –
più è grande il divario più si può tirare un sospiro di sollievo per come le
generazioni non si stiano dando il cambio solo in apparenza.
(Dubbio: dei chatbot o delle chatbot? Da veloce riscontro online: per lo
Zingarelli Zanichelli chatbot è sostantivo maschile, per il Treccani sostantivo
femminile. Dimmi che genere preferisci e ti dirò che dizionario online
consulti.)
Ci andrei però piano con l’equiparare innovazione e evoluzione, perché se è vero
che “Nessuno di noi umani ha scelto di avere due occhi” magari non è altrettanto
inevitabile ricorrere alla tecnologia della IA per imparare a leggere e
scrivere, vale a dire: per imparare a apprendere, a pensare; specie se si tratta
di un tipo di tecnologia che alla lunga potrebbe rendere obsoleto non solo
l’imparare a farlo ma anche il fatto stesso di avere due occhi o quattro o
nessuno, presumendo la tecnologia di saperli usare comunque meglio lei di te
quindi tanto vale li abbia lei e che tu coi tuoi ti affidi solo a quel che ti
dice di aver visto, compilato, lei.
Certo, fa peso nel giudizio l’invidia di un lento lettore biologico e che
nell’arco della sua intera esistenza non potrà mai competere con le intere
bibliografie spazzolate da una IA nell’arco di pochi millisecondi, beata lei, ma
si possono chiamare in soccorso i potenziali svantaggi riconosciuti dagli
insegnanti che meritoriamente introducono i/le chatbot nei loro metodi
didattici, quali la “fiducia cieca negli output dell’IA” e “la continua delega
cognitiva”.
Quanta pigrizia nel voler fare le pulci a una tecnologia tra l’altro capace di
risolversi i bug da sé e i cui punti di forza sono sotto gli occhi evoluti di
tutti, capace com’è di rimodularsi in base alle esigenze e alle competenze di
partenza di chiunque. L’interesse collettivo da perseguire, che equivale a
quello strettamente personale di chi di quella collettività fa parte, resta
perciò il procurarsi una conoscenza dell’IA che “prepara meglio i futuri
cittadini ad avere gli strumenti di analisi critica della società che dovranno
vivere”, poiché, ricorrendo a del buon senso pratico busiano, è bene avere
consapevolezza del fatto che “Allinearsi al resto della società significa vuol
dire accorgersi che il mondo è cambiato.”
A proposito (…) di Aldo Busi: quando ho letto dell’esistenza di Character.ai mi
sono detto voilà, è fatta, per leggere il romanzo inedito Seminario sul
postmortem basterà usarla. “Character.ai sfrutta modelli linguistici avanzati
per creare personaggi interattivi – reali, fittizi o inventati – con cui parlare
in linguaggio naturale.” A pagina 12 del Volume 2 ci sono le istruzioni: ti
registri, fai l’accesso, scrivi il nome e inserisci l’immagine del personaggio,
lo costruisci, lo alimenti con la sterminata bibliografia esistente, ed ecco,
basterà chiedere all’Aldo-Busi-online di scrivere il suo Seminario sul
postmortem per non dover più attendere quello dell’Aldo Busi sempre più offline,
la cui ultima versione, del romanzo intendo, a quel che so ha raggiunto le 1420
pagine a schermo che corrisponderebbero all’incirca a 1900 pagine stampate. Per
leggere un Seminario sul postmortem non si dovrà più aspettare che muoia Aldo
Busi o che l’editoria italiana risorga arrivando per una volta prima e
non dopo la morte di chi le dà senso scrivendo in un italiano che non sia la
bella brutta copia dell’italiano fin lì già scritto, visto che ormai per quello
bastano appunto i chatbot – perché va da sé che un chatbot non può scrivere
niente di nuovo, che dunque non sa scrivere, perché non c’è nessuno che scriva,
ma per dirlo con il diario della Sylvia Plath ventenne e sopravvissuta al primo
tentativo di suicidio:
> “Devi inventarti un sogno giusto, la lucida magia adulta: l’illusione che
> nasce dalla disillusione.”
Nessuno chiede all’Intelligenza Artificiale di scrivere letteratura, per carità,
non pubblicamente almeno, basta aiuti a sviluppare mappe concettuali, a
correggere i refusi nelle mail, a gamificare a più non posso, però qualcosa sul
giudizio degli integrati estimatori dell’IA generativa a proposito della
letteratura e delle superstiti facoltà umane del saper leggere e scrivere
traspare, per esempio quando scrivono che Character.ai è “dove personaggi come
Aristotele non sono volumi polverosi ma una guida capace di rispondere”. Quanto
bisogna non-saper-leggere per presumere che con Aristotele si parli meglio dal
vivo, mediato cioè dagli algoritmi, che non leggendone le opere, conoscendolo
così nell’unico modo in cui sia possibile conoscere qualsiasi cosa, o persona:
trascorrendoci assieme il giusto tempo.
È evidente che Ferrazza e Pisa non abbiano letto Il ciclo di vita degli
oggetti-software di Ted Chiang, contenuto in Respiro, Sperling &
Kupfner. Nelle Note ai racconti Ted Chiang così ne racconta la genesi:
> “Basandoci sulla nostra esperienza con la mente, sono necessari almeno
> vent’anni di sforzi costanti per dare origine a una persona utile attraverso
> l’insegnamento, e non vedo perché con una creatura artificiale dovrebbe
> volerci meno.”
Se a un Aldo-Busi-online occorrono almeno venti anni prima di poter produrre una
versione utile di Seminario sul postmortem tanto vale aspettare pure qualche
anno in più ma poi leggersi quella dell’Aldo-Busi-offline.
Secondo Fezza e Pisa, e secondo gli inventori dei/delle chatbot che leggono
prima e meglio di te, utilizzandoli/e “i materiali statici vengono trasformati
in contenuti coinvolgenti e multimediali”, grazie a loro è possibile
“trasformare testi statici in contenuti dinamici”. Ma statica sarà la mente di
chi non legge, non lo impara, e che non imparandolo dinamica non lo diventerà
mai più, semmai.
Perché a dirla tutta ora che il/la chatbot ha compiuto il salto di specie “da
generatore di risposte a tutor cognitivo” agli studenti tocca tenere il passo e
trasformarsi “da consumatori di informazioni a creatori di contenuti assistiti
dall’IA” e più che imparare a scrivere dovranno imparare a “scrivere prompt
efficaci”. Per intenderci: o diventi un content creator, un influencer in
qualche campo, o sei irrilevante, estinguibile?
Difficile escludere queste mie non siano altro che le parole di chi non vuole
accettare di aver fatto il suo tempo: perché continuare a leggere in un tempo in
cui le macchine possono farlo per te? Il desiderio di farlo, il piacere!, sono
un retaggio evolutivo troppo imbarazzante, troppo poco asettico, per farne
menzione.Oh, certo, potremmo collaborare con le IA, ma alla lunga smetteremo di
leggere quello avremo scritto da noi, gli umani, per leggere quello che ne
riscriveranno loro, rimasticandolo e rimasticandolo e rimasticandolo,
omogenizzandolo, fino alla logica singolarità conseguente: tutti i/le chatbot
scriveranno la stessa cosa ma non se ne accorgerà nessuno perché saranno rimaste
le sole a leggersi tra di loro, essendoci noi estinti da chissà quanto tempo,
visto l’andazzo.
Disclaimer a questo punto doveroso: nessun/a chatbot gratuito è stato sfruttato
per la stesura di questo pezzo, l’andamento oggettivamente sgangherato del testo
vale come garanzia, testo che contiene già una quantità allarmante di luddismo
per poter riciclare il vecchio detto secondo cui se non paghi per un prodotto,
il prodotto sei tu – per accertarmi di starlo riportando correttamente ho preso
un passaggio da Google, fidandomi ciecamente di AI Overview. D’altronde dovrà
bastare la fiducia siccome “non esiste ancora una tecnologia in grado di
determinare con certezza assoluta se un testo sia stato scritto da un chatbot o
da un essere umano.” Che ansia.
I tre allegati-gratuiti sull’IA, loro saranno stati scritti con l’ausilio
dell’IA stessa? Di sicuro non del tutto se fa fede il refuso a pagina 26 del
terzo volumetto, nel passo su “(…) come l’intelligenza artificiale possa
semplificare il modo in cui si informano le perosne e diventare uno strumento
prezioso per alimentare la creatività e trovare ispirazione nella produzione di
contenuti.” L’errore è patente di umanità, perché da una IA certosina non ce lo
possiamo aspettare che dia in output perosne se non a costo di attribuirle la
raffinatezza machiavellica dello sbagliare-per-finta, per dissimularsi, o di
attribuirle un lapsus che ne tradisca il disprezzo per le persone non digitali.
Al momento l’IA non risulta si sia saputa inventare un inconscio, mentre il
disprezzo intraspecifico è ancora ciò che ci contraddistingue meglio.
In conclusione (cit.): assunto sono secoli che la nostra evoluzione non ha più
niente di passivamente naturale, che l’innovazione tecnologica è la nuova
versione dell’evoluzione, e che non sta a me stabilire se leggeremo meglio con
gli occhi biologici o se con quelli tecnologi, faccio mia l’invocazione a sé
stessa di Sylvia Plath in Diari, Adelphi:
> “fa che non diventi mai cieca e che non smetta mai di provare l’angoscia di
> imparare, la terribile fatica di tentare di capire.”
Che belli i diari di Sylvia Plath. T’immagini se ne scrivesse uno una IA? Il
diario un’altra cameriera tra tante, irrinunciabile, ma solo se lo scrivesse
senza che nessuno glielo avesse chiesto, solo se sapesse essere spudoratamente
sincera, suicidale come non potrà mai esserlo, non è stata programmata per
questo ahilei.
antonio coda
L'articolo “Che non smetta mai di provare l’angoscia di imparare”. Qualcosa
sull’IA (ahilei) proviene da Pangea.
Tag - Aldo Busi
Ho sognato Aldo Busi. Sogno Aldo Busi periodicamente. È una sorta di campanello
neuronale che mi avvisa su come sia passato troppo tempo dall’ultima iniezione
di linguaggio vivo nella psiche – perché seppure non possa diventare viva
altrettanto almeno non si lasci spegnere del tutto, costretta com’è a subire
l’uso generale della lingua o sciatto o ideologico, nostalgico e dunque
finto-avanguardistico.
Dal giorno appresso ho iniziato una nuova lettura di Grazie del pensiero, per
Mondadori, del 1995. Che bel libro politico nell’accezione più estetica!, più
ventoteniana, sovversivo fin dal titolo. Il libro, assieme ad altri testi,
raccoglie le ‘lettere e risposte’ apparse sul giornale “L’indipendente”,
calendario alla mano nel suo intervallo di pubblicazione tra il novembre del
1991 e il novembre del 1994. Si era alle prime battute del ciclo berlusconiano.
La collaborazione valse a Busi il sospetto di essersi ‘riciclato’ a destra, un
po’ come se per essere di sinistra bastasse presentarsi nelle piazze convocate
dai giornali che si spacciano per tali, e in generale come se il giornalismo lo
fosse ancora quando per qualificarsi deve rivendicarsi quale organo che non
conta più di quale partito sia, trattandosi di sicuro dell’ennesimo organo
espiantato alla democrazia. La letteratura, poi.
> “Ma che scrittore è colui che crede che il contesto sia il testo? Io,
> semplicemente, ho sempre pensato che il mio testo è più importante di
> qualsiasi contesto in cui appaia, e vorrei ben vedere il contrario.”
A nuova lettura in corso – la precedente risale al 2011, a una vita da lettore e
da cittadino fa – a pagina 73 ri-cado nella carta lettoricida al passaggio «Ogni
civiltà nasce da una traduzione»: se mi verrà in mente la falena che l’ha
scritto, la citerò, se no pazienza. Pazienza.).
Non lascio tempo in mezzo, non paziento fino a pagina 80 dove apparirà il
rimbalzo al voluto effetto di mancanza-di-memoria. La citazione sarà infatti
ripetuta a pagina 80 con tanto di soluzione della dimenticanza: “([…] era di
Gianfranco Folena, Volgarizzare e tradurre, 1991) [ma non so chi sia Folena,
ricordarsi di guardare sulla «Garzantina», n.d.r]”. Il rimbalzo contribuisce al
dinamismo interno del testo, al suo riformularsi in corso d’opera. Il libro
riscrive sé stesso in fase redazionale, mentre lega assieme le sue parti già
pubblicate altrove. Il testo respira, pensa.
Affetto da sindrome da informazione precoce, in linea con l’epoca, invece e
intanto sono andato su Google inserendo come chiave di ricerca la citazione
della falena, pregustando la soddisfazione di poterne sapere più io oggi, nel
2025, di Busi nel 1995 quando Larry Page e Sergey Brin si stavano ancora
laureando e conoscendo all’Università di Standford.
Sono allora risalito alla paternità della citazione da una nota in appendice a
un fascicolo sulla World literature(s) di tal Michele Sisto, di una università
di Chieti-Pescara, del 2024, tramite la quale ho raggiunto un seminario del 1995
conservato nell’archivio online di Radio Radicale, con per tema “Come parlano i
classici oggi? Modernità e fedeltà nella traduzione” (10.05.1995). Seminario
tenuto a Roma il 10 maggio 1995. Da chi? Aldo Busi. Di nuovo lui.
Come nei sogni, e non solo, il presente è un bislacco cortocircuito tra un
passato lungimirante a vuoto e un futuro pieno di tecnologia che per quanto
spinta resta insufficiente perché lo si possa definire compiutamente moderno.
Il link al seminario che mi era sconosciuto però l’ho rimediato!, mi dico,
sentendomi uno speleologo della ricerca degno di menzione in targa comunale
affissa in strada senza uscita. Per consolazione e per farmi bello lo mando a
Dario, altro lettore appassionato di Aldo Busi, e lui mi spegne immediatamente
gl’entusiasmi, comprovando che cercare online qualcosa di nuovo è come cercare
un ago in un pagliaio senza aghi.
“Coda, saranno stati dieci anni fa, il sito Altriabusi.it era ancora online, fui
io a inviare a te e Mario che intanto è morto lo stesso link. Invecchi, come
tutti coloro che credono la vera svolta per l’umanità stia nell’inventare
macchine più intelligenti di lei, cioè stupide uguali, e grazie tante al
pensiero… Comunque: pensa alla grandezza anche accademica di Busi che si è tutto
fatto da sé, con per interlocutore dico Agostino Lombardo! Busi ha avuto degli
estimatori eccellenti [ma non so chi sia Lombardo, ricordarsi di guardare su
Wikipedia]. Non ti ho detto che circa un mese fa a cena di amici a Brescia ci ho
conosciuto un marito altrui che ha vissuto a Montichiari fino ai sedici anni. E
io a lui: Lo saprai, a Montichiari ci è nato e ci vive un grande scrittore! E
lui: Certo, Aldo Busi. Non l’ho mai letto ma lo stimo molto, è una persona
seria. A Montichiari ci torno spesso, ci vive mio padre che è vecchio, e Busi
l’ho visto un paio di settimane fa. M’è sembrato trascurato, un barbone quasi.”
E io a Dario, di rilancio: “E la barbosità di chi si guarda bene dal leggerlo
per giudicare meglio Aldo Busi avendolo intravisto oggi a passeggio e ieri su un
teleschermo? Un barbone è a conti fatti un grande Barbino, per uno
scrittore-scrittore la grandezza si palesa così.”
Da Grazie del pensiero:
> “E che ne faremo di tutta la sofferenza altrui che ci lascia indifferenti o
> che addirittura ci ripugna?”
Il merito delle opere degli scrittori, anche le cosiddette minori, non consiste
nel loro essere in anticipo rispetto a propri tempi ma nel rendere lampante a
chi le legge quanto continui a essere in ritardo rispetto ai suoi. Chi legge ha
meno scusanti di chi non legge, e chi non legge ha meno speranze ancora di poter
vivere senza doverci ricorrere.
La letteratura non chiede scusa se è quel che è, e perché mai dovrebbe? Come la
vita quando è bella, da sogno, vale a dire intelligente per davvero.
antonio coda
L'articolo Sognando Busi. Ovvero: rileggendo “Grazie del pensiero” proviene da
Pangea.