
Su Ivan Bunin, il cantore della selvaggia e terribile Russia. Leggerlo è un balsamo
Pangea - Tuesday, March 18, 2025È un romanzo? Forse. È un’autobiografia? Può essere. È una biografia immaginaria? Probabile. Confesso che questa ricerca di una definizione non mi appassiona più di tanto. Preferisco andare al sodo e dire, forte e chiaro, che è un libro meraviglioso. Mi sto riferendo a La vita di Arsen’ev di Ivan Bunin (1870-1953), primo scrittore russo a ricevere il Premio Nobel per la letteratura nel 1933. Figlio di aristocratici decaduti, un’infanzia isolata vissuta in campagna a contatto con la natura, nel 1920 abbandonò la Russia comunista rifugiandosi in Francia dove visse fino alla fine dei suoi giorni. Leggendolo è facile capire che la sua avversione alla Rivoluzione bolscevica e al comunismo era pre-politica e aveva ben poco a che fare con l’ideologia; nasceva piuttosto dal suo animo prima ancora che dal suo cervello. Per le stesse ragioni durante gli anni del suo esilio in Francia fu uno strenuo oppositore del nazismo.
Autore di grande raffinatezza, ne La vita di Arsen’ev Bunin ha messo osservazioni, sensazioni, riflessioni legate all’esistenza del protagonista Arsen’ev, un cinquantenne di origini nobili cresciuto nella profonda e sconfinata provincia russa, esperienza molto simile a quella di Bunin stesso, che ricorda la propria infanzia e giovinezza.
Considerato un legittimo erede dei giganti della letteratura russa, da Turgenev a Gončarov da Puškin a Tolstoj, fu amico e discepolo di Čechov al quale lo accomuna un realismo scarno, preciso, alieno da ogni affettazione, Bunin è prima di ogni cosa un cantore dell’anima russa:
«Non v’è dubbio che proprio quella sera mi sfiorò per la prima volta la coscienza che ero russo e vivevo in Russia (…) e d’un tratto la sentii, questa Russia, sentii il suo passato e presente, le sue selvagge, terribili e tuttavia affascinanti caratteristiche e il mio legame di sangue con essa…».
La vita di Arsen’ev è un libro sostanzialmente di sentimenti profondi, di atmosfere e psicologie più che di trama, inseriti in un tempo ormai perduto in modo irrimediabile fatto di nostalgie e di passioni. Il protagonista ricorda gli anni della sua infanzia e poi della sua giovinezza, esplorando i temi della nostalgia, del passare del tempo e dell’inevitabile perdita che accompagna la crescita personale. Splendidi i ritratti della natura che accompagnano il viaggio interiore del giovane.

Acutamente Andrea Tarabbia nella Prefazione all’edizione pubblicata dalla casa editrice Medhelan riferisce che per Bunin lo scrittore non è un narratore, un raccontatore di storie, ma un osservatore e ricorda che l’autore amava definire il proprio libro un “poema in prosa”. Non a caso in realtà Bunin nasce come poeta e tale resta anche nei suoi lavori in prosa. In effetti leggendolo è facile accorgersi, pagina dopo pagina, che a farla da padrona è la vena lirica delle sensazioni e dei sentimenti che hanno toccato il suo animo. Il protagonista Arsen’ev viene guidato dai suoni, dai colori, dagli odori che arrivano dai suoi ricordi giovanili. Sono quegli istanti, magici e irripetibili, che ci segnano una volta per tutte. Un imprinting emotivo indelebile destinato a segnare la nostra vita e le nostre relazioni con gli altri per sempre. Andando avanti con gli anni ci accorgeremo che è questo il tesoro più prezioso che ci portiamo dentro, molto più importante degli avvenimenti che hanno costellato la nostra esistenza o delle opinioni che abbiamo avuto.
«In questo viale una bella signorina ci veniva incontro con le amiche… e lei, di sotto al bizzarro cappellino, si illuminò tutta di un sorriso sinceramente gioioso. Dinanzi al padiglione zampillava una fontana dal getto a ventaglio; mi sono rimasti impressi per sempre la sua freschezza e l’odore delizioso dei fiori che essa irrorava e che, come seppi dopo, si chiamavano semplicemente ‘tabacco’. Mi sono rimasti impressi perché quell’odore si associò per me a un sentimento di innamoramento, di cui per la prima volta in vita mia fui dolcemente malato per alcuni giorni. Grazie a lei, a quella signorina provinciale, non posso ancor oggi sentire senza emozione l’odore del tabacco, e lei non ha nemmeno mai saputo che io sia esistito e che sempre durante tutta la mia vita ricordavo lei e la freschezza della fontana non appena soltanto sentivo quell’odore…»
La vita di Arsen’ev è il capolavoro di queste epifanie emotive; posso testimoniare che leggerlo significa scoprire un autentico libro del cuore da tenere sempre a portata di mano, in modo particolare nei momenti difficili della nostra vita. Un balsamo emotivo in grado di lenire le tante ferite che l’esistenza ci inferisce. Quando descrive certe sensazioni Bunin ha lo straordinario potere, per certi versi magico, di trasformare la percezione dell’attimo, tramutando piccoli eventi personali quasi insignificanti in valori universali capaci di superare ogni confine di tempo e di spazio. Per capirli, farli propri e tenerseli stretti non è necessario avere vissuto nella sperduta campagna russa di un secolo e mezzo fa come Arsen’ev, basta aprire il proprio animo al senso più autentico dell’esistenza.
Silvano Calzini
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