È un romanzo? Forse. È un’autobiografia? Può essere. È una biografia
immaginaria? Probabile. Confesso che questa ricerca di una definizione non mi
appassiona più di tanto. Preferisco andare al sodo e dire, forte e chiaro, che è
un libro meraviglioso. Mi sto riferendo a La vita di Arsen’ev di Ivan Bunin
(1870-1953), primo scrittore russo a ricevere il Premio Nobel per la letteratura
nel 1933. Figlio di aristocratici decaduti, un’infanzia isolata vissuta in
campagna a contatto con la natura, nel 1920 abbandonò la Russia comunista
rifugiandosi in Francia dove visse fino alla fine dei suoi giorni. Leggendolo è
facile capire che la sua avversione alla Rivoluzione bolscevica e al comunismo
era pre-politica e aveva ben poco a che fare con l’ideologia; nasceva piuttosto
dal suo animo prima ancora che dal suo cervello. Per le stesse ragioni durante
gli anni del suo esilio in Francia fu uno strenuo oppositore del nazismo.
Autore di grande raffinatezza, ne La vita di Arsen’ev Bunin ha messo
osservazioni, sensazioni, riflessioni legate all’esistenza del
protagonista Arsen’ev, un cinquantenne di origini nobili cresciuto nella
profonda e sconfinata provincia russa, esperienza molto simile a quella di Bunin
stesso, che ricorda la propria infanzia e giovinezza.
Considerato un legittimo erede dei giganti della letteratura russa, da Turgenev
a Gončarov da Puškin a Tolstoj, fu amico e discepolo di Čechov al quale lo
accomuna un realismo scarno, preciso, alieno da ogni affettazione, Bunin è prima
di ogni cosa un cantore dell’anima russa:
> «Non v’è dubbio che proprio quella sera mi sfiorò per la prima volta la
> coscienza che ero russo e vivevo in Russia (…) e d’un tratto la sentii, questa
> Russia, sentii il suo passato e presente, le sue selvagge, terribili e
> tuttavia affascinanti caratteristiche e il mio legame di sangue con essa…».
La vita di Arsen’ev è un libro sostanzialmente di sentimenti profondi, di
atmosfere e psicologie più che di trama, inseriti in un tempo ormai perduto in
modo irrimediabile fatto di nostalgie e di passioni. Il protagonista ricorda gli
anni della sua infanzia e poi della sua giovinezza, esplorando i temi della
nostalgia, del passare del tempo e dell’inevitabile perdita che accompagna la
crescita personale. Splendidi i ritratti della natura che accompagnano il
viaggio interiore del giovane.
Acutamente Andrea Tarabbia nella Prefazione all’edizione pubblicata dalla casa
editrice Medhelan riferisce che per Bunin lo scrittore non è un narratore, un
raccontatore di storie, ma un osservatore e ricorda che l’autore amava definire
il proprio libro un “poema in prosa”. Non a caso in realtà Bunin nasce come
poeta e tale resta anche nei suoi lavori in prosa. In effetti leggendolo è
facile accorgersi, pagina dopo pagina, che a farla da padrona è la vena lirica
delle sensazioni e dei sentimenti che hanno toccato il suo animo. Il
protagonista Arsen’ev viene guidato dai suoni, dai colori, dagli odori che
arrivano dai suoi ricordi giovanili. Sono quegli istanti, magici e irripetibili,
che ci segnano una volta per tutte. Un imprinting emotivo indelebile destinato a
segnare la nostra vita e le nostre relazioni con gli altri per sempre. Andando
avanti con gli anni ci accorgeremo che è questo il tesoro più prezioso che ci
portiamo dentro, molto più importante degli avvenimenti che hanno costellato la
nostra esistenza o delle opinioni che abbiamo avuto.
> «In questo viale una bella signorina ci veniva incontro con le amiche… e lei,
> di sotto al bizzarro cappellino, si illuminò tutta di un sorriso sinceramente
> gioioso. Dinanzi al padiglione zampillava una fontana dal getto a ventaglio;
> mi sono rimasti impressi per sempre la sua freschezza e l’odore delizioso dei
> fiori che essa irrorava e che, come seppi dopo, si chiamavano semplicemente
> ‘tabacco’. Mi sono rimasti impressi perché quell’odore si associò per me a un
> sentimento di innamoramento, di cui per la prima volta in vita mia fui
> dolcemente malato per alcuni giorni. Grazie a lei, a quella signorina
> provinciale, non posso ancor oggi sentire senza emozione l’odore del tabacco,
> e lei non ha nemmeno mai saputo che io sia esistito e che sempre durante tutta
> la mia vita ricordavo lei e la freschezza della fontana non appena soltanto
> sentivo quell’odore…»
La vita di Arsen’ev è il capolavoro di queste epifanie emotive; posso
testimoniare che leggerlo significa scoprire un autentico libro del cuore da
tenere sempre a portata di mano, in modo particolare nei momenti difficili della
nostra vita. Un balsamo emotivo in grado di lenire le tante ferite che
l’esistenza ci inferisce. Quando descrive certe sensazioni Bunin ha lo
straordinario potere, per certi versi magico, di trasformare la percezione
dell’attimo, tramutando piccoli eventi personali quasi insignificanti in valori
universali capaci di superare ogni confine di tempo e di spazio. Per capirli,
farli propri e tenerseli stretti non è necessario avere vissuto nella sperduta
campagna russa di un secolo e mezzo fa come Arsen’ev, basta aprire il proprio
animo al senso più autentico dell’esistenza.
Silvano Calzini
L'articolo Su Ivan Bunin, il cantore della selvaggia e terribile Russia.
Leggerlo è un balsamo proviene da Pangea.