Kenneth Patchen, il poeta inesorabile, l’uomo “che non fa sconti e segue un codice tutto suo”

Pangea - Wednesday, June 11, 2025

Li abbandonava dappertutto. Manoscritti dimenticati ovunque, quaderni dispersi in polverose stazioni, fogli lasciati nelle stanze di squallidi ostelli. Il vagabondaggio di Kenneth Patchen nell’America della Grande Depressione fu un’esperienza intensa e totalizzante. Ovunque andasse, racconta la moglie Miriam, «lui creava sempre», disseminava versi, irradiava il prodotto di un’invincibile urgenza creativa. Dopo un periodo di studi all’Università del Wisconsin nel 1929, Patchen, affascinato dalla storia di poeti come Walt Whitman o Carl Sandburg, iniziò a viaggiare negli Stati Uniti vivendo dei lavori che la provvidenza gli avrebbe offerto. L’incontro con quel mondo rurale, così irrimediabilmente prostrato dalla crisi, fu determinante; la capacità di setacciare la realtà alla ricerca di un tesoro nascosto, la potente immaginazione e l’indiscutibile talento fecero il resto. 

L’educazione di Patchen si svolse in un contesto di discreta povertà. Il padre, Wayne, era impiegato nelle acciaierie di Youngstown. La madre, fervente nella fede, diede al piccolo Kenneth una formazione cattolica. Il poeta patì la violenza dell’industrializzazione nelle piccole città rurali dell’Ohio. Questo disagio fu denunciato nei suoi versi, come nel componimento May I Ask You a Question, Mr. Youngstown Sheet & Tube?, in cui leggiamo di «case sporche e grigie, con le tende abbassate», del «fumo giallo-marrone che soffia continuamente» e del «sapore di catrame in bocca». Dal 1937 un grave problema alla colonna vertebrale costrinse Patchen a svariati interventi chirurgici, esonerandolo dalle armi. Dopo un incidente in sala operatoria la situazione si aggravò, costringendo il poeta a passare molto tempo steso su un letto. 

Kenneth Patchen (1911-1972)

Patchen fu un convinto pacifista, risolutamente contrario all’entrata in guerra degli Stati Uniti e, tra i molti riferimenti alle sue posizioni di obiettore, spicca il romanzo sperimentale pubblicato nel 1941 e intriso di surrealtà e pacifismo, The Journal of Albion Moonlight (probabilmente capitato nelle mani di Bob Dylan). L’indifferenza che la critica accademica riservò a Pacthen fu risarcita dal sostegno di figure come Robert Penn Warren, Richard Eberhart, William Carlos Williams, Lawrence Ferlinghetti ed Henry Miller. Quest’ultimo, nel saggio Patchen: Man of Anger and Light, descrive il poeta come un uomo tenero e spietato al contempo, che ha la capacità di allontanare coloro che cercano di aiutarlo: «un uomo inesorabile», che «non ha maniere, né tatto, né grazia», «che non fa sconti e, come un gangster, segue un codice tutto suo».

La visione poetica di Patchen fu anche il frutto di una situazione culturale di assoluta libertà da schemi e gerarchie. Le avanguardie avevano rotto il cristallo che separava la sostanza artistica dalla banalità della vita più ordinaria, e ora – anche se l’effetto, oggi lo sappiamo, non sarebbe durato che pochi decenni – questa sostanza faceva brillare il mondo di una luce nuova. Così come era possibile fare arte con qualsiasi cosa, era possibile fare letteratura con qualsiasi immagine. Certo, questa semplicità non rendeva facile il lavoro del poeta e Patchen era consapevole della precarietà su cui si muoveva, sull’orlo dell’abisso della banalità, in bilico sull’unico piccolo punto da dove è permesso spiccare il volo verso sublimi altezze. Significativo, in questo senso, il divertimento con cui il poeta si descrive in Memorie di un pornografo timido, scherzando sul rischio di un destino di opaca sciatteria: 

«E Patchen? – chiese lei con la matita pronta. – Ah, Patchen. Nessuno lo prende sul serio – disse uno di loro. – Patchen ha perso l’imbarco – disse il signor Brill –. Ha fatto lo sbaglio di credere che la poesia sia una specie di pattumiera dove si può buttare di tutto, e di sicuro parecchie volte ha passato i limiti». 

In realtà l’equilibrista Patchen questi limiti non li superò mai. Come amano ripetere le antologie, aprì la strada ai poeti della Beat Generation, con cui, senza presentarne i tratti nichilistici e autodistruttivi, condivise il piglio anticapitalistico ed eversivo (per inciso: difese pubblicamente Allen Ginsberg e Lawrence Ferlinghetti nel processo per l’osceno poema l’Urlo). Decostruì il romanzo, fu maestro nella poesia concreta, combinò letteratura e jazz in singolari performance e sperimentò con scrittura e pittura – si vedano i suoi Painted Books, che stupiscono per gli esiti tutt’altro che dilettantistici. Memorabile, a sigillo del suo radicale sperimentalismo, il componimento L’uccisione di due uomini da parte di un ragazzo in guanti giallo limone, dove Patchen riesce nell’impresa di fare poesia con il nulla, con l’attesa di qualcosa che deve succedere. Le parole non dicono niente, se non trasmettere la forza di un’azione subitanea; l’immaginazione deve intervenire, ricamando sulla bizzarra informazione di un assassino «in guanti giallo limone». Negando ogni riferimento, si negava l’atto stesso del fare poesia. Più o meno consapevolmente, Patchen si stava muovendo sullo stesso impervio sentiero di certa pittura astratta e, forse, non è improprio avanzare un paragone con i tagli di Lucio Fontana e con il gioco di attesa e azione che essi presuppongono. 

Attingere agli strumenti della quotidianità, si sa, non esclude la forza di visioni di profonda suggestione. Come nella sua più bella poesia, La ventitreesima strada porta al Paradiso, in cui la città, stanca, verso sera dischiude il suo segreto, proiettando il poeta in una realtà parallela di altissima purezza. Proprio lì, nel mezzo della tetra atmosfera di una città nel «Sabbat prima della cena», tra il miagolio di gatti randagi e il fastidio degli strilloni per strada, gli amanti sono «per un po’ al sicuro, salvi fino a domani». Gli amanti consumano una cena frugale e sono meravigliosi. O ancora in La scuola all’angolo della strada, in cui l’inquietudine del memento mori scende tra un gruppo di giovani. Guardando le ragazze di passaggio e bevendo gin scadente, i giovani se ne stanno nello squallore dei loro giorni vuoti, aspettando che il tempo ricopra d’erba le loro tombe. I ragazzi, «sonnambuli in una terra buia e terribile, dove la solitudine è un coltello sporco alla gol, dissipano i propri anni, sotto l’indifferente sguardo di «stelle fredde e puttane».

Non di rado, la visionarietà della poesia di Patchen porta a furiose accensioni, ed è allora che i versi si infuocano di toni cosmici che ricordano le più riuscite prove di Dylan Thomas. È quanto accade in Finché il sole spenderà ancora il suo favoloso denaro, «in cui il succo fumante dell’universo» si riversa «come il cervello spaccato di Dio», in un’oscura consacrazione finale; oppure in Accettiamo la pazzia apertamente, in cui il tempo del poeta, che è il nostro tempo, si trascina «dentro la dimora serrata dell’eternità». Non c’è possibilità di salvezza e il componimento, di titanica disperazione, si chiude nella visione di una «marcia palude di enormi aride tombe» che abita le nostre teste.

Quando Patchen era ancora adolescente, la sorellina Kathleen fu investita da un’auto. La sua morte fissata in versi commoventi e terribili: 

“Com’è commovente il suo sonno.
Ora il suo limpido respiro è immobile.
Nulla cade stanotte,
Uomo o uccello,
Più caro di lei.
Nessun luogo dove debba andare
Senza di me. Niente se non il mio richiamo.
Oh niente oltre al freddo lamento della neve”.

La perdita della sorella non fu mai del tutto superata. Oltre a questo, la madre, Eva, a lungo aveva desiderato che il figlio Kenneth si facesse prete. 

Antonio Soldi

*

Notte, sii musica

Notte, sii musica 
Affinché il suo sonno possa errare 
Dove gli angeli hanno i loro alti cori bianchi 

Mare, sii una mano 
Affinché i suoi sogni possano osservare 
Il tuo esploratore che tocca la verde pelle del mondo 

Cielo, sii una voce 
Affinché si possano contare le sue bellezze 
E le stelle piegheranno i loro volti silenziosi 
Nello specchio della sua grazia 

Terra, sii una strada
Affinché il suo passo possa condurti 
Dove le città del paradiso innalzano le loro vive guglie 

Dio, sii un mondo e un trono
Affinché la sua vita possa trovare il suo momento 
E le anime di antiche campane in un libro per bambini 
Possano guidarla nella Tua casa meravigliosa

*

La scuola all’angolo della strada

Il prossimo anno ci coprirà l’erba della tomba. 
Ora stiamo in piedi e ridiamo; 
Guardando le ragazze che passano; 
Puntando su lenti cavalli; bevendo Gin scadente.
Non abbiamo niente da fare; nessun posto dove andare; nessuno.

L’anno scorso era un anno fa; niente di più.
Non eravamo più giovani allora; né ora siamo più vecchi.

Riusciamo a mantenere un aspetto da giovani;
Dietro le facce non sentiamo nulla, in un modo o nell’altro. 

Probabilmente non saremo del tutto morti quando moriremo. 
Non siamo stati mai niente per tutto il tempo; nemmeno dei soldati. 

Noi siamo gli insultati, fratello, i figli desolati. 
Sonnambuli in una terra oscura e terribile, 
Dove la solitudine è un coltello sporco alla gola. 
Stelle fredde ci guardano, amico,
Stelle fredde e le puttane. 

*

Per Miriam

Oh mio tesoro 
Finché il sole spenderà ancora il suo favoloso denaro 
Per i regni nell’occhio di un folle, 
Continuiamo a sprecare le nostre vite
Gridando bellezza al mondo 

E continuiamo a lodare verità e giustizia 
Sebbene gli occhi delle stelle diventino neri 
E il succo fumante dell’universo, 
Come il cervello spaccato di Dio, 
Diluvi su di noi in una consacrazione finale. 

*

La Ventitreesima Strada porta al Paradiso 

Stai vicino alla finestra mentre le luci lampeggiano 
Lungo la strada. Da qualche parte un tram, che porta 
a casa commesse e impiegati, sferraglia attraverso 
Questo Sabbat prima della cena. Un gatto in un vicolo piange 
Per i cassonetti trovati chiusi; gli strilloni 
Iniziano il loro giro di omicidi-a-penny.

Siamo chiusi dentro, al sicuro per un po’, salvi fino a 
Domani. Ti sfili il vestito, abbassi
Le calze, attenta a non smagliarle. Nuda ora, 
Morbida luce su morbida pelle, ti fermi 
Per un momento; ti volti e mi guardi –
Sorridi come sanno solo le donne 
Che sono state a lungo distese col proprio amante 
Per uscirne più vergini.

La nostra cena è povera ma noi siamo meravigliosi.

*

Accettiamo la pazzia apertamente

Accettiamo la pazzia apertamente. Oh uomini
della mia generazione. Seguiamo 
Le orme di questa macellata epoca: 
Guardatela trascinarsi per la cupa terra del Tempo 
Dentro la dimora serrata dell’eternità 
Col rumore che ha la morte, 
Col volto indossato dalle cose morte –
                                       Né mai diremo 
Volevamo di più; cercavamo di trovare 
Una porta aperta, un completo atto d’amore, 
Che trasformasse la maligna oscurità del giorno;
                                 ma
Noi trovammo tanto inferno e nebbia 
Sulla terra, e dentro la testa 
Una marcia palude di enormi aride tombe.

*

Dobbiamo essere lenti

Perché io e te siamo lavati nel silenzio:
Qui dove la campagna tutt’intorno
È silenziosa; assopita nella tenerezza
Di questa stella della sera; scintillante
Al polso della notte. Le luci del paese,
Come antichi bardi in preghiera, vengono
A noi dolcemente su campi germoglianti di grano
E docili pecore. Vorremmo far parte
Di questo luogo, dove il sonno non è quello della città,
Dove il sonno è pieno e lieve e intimo
Come il profilo di una foglia in un bicchiere di tè; ma
La conoscenza nel cuore di ognuno di noi 
Ha dipinto occhi marci dentro
La testa: non abbiamo scelta: vediamo
Tutte le cose che piangono e i giorni volgari
Sopra questa umile terra, che mischiano
Clacson di Taxi e disperazione senza fine 
Ad ogni paesaggio, qui, o ovunque.

*

I leoni di fuoco avranno la loro caccia

I leoni di fuoco
Cacceranno in questa terra nera

I loro denti strazieranno le vostre tenere gole
I loro artigli uccideranno

Oh i leoni di fuoco si sveglieranno
E le valli fumeranno della loro furia

Perché siete ammalati dello sporco del vostro denaro
Perché siete maiali che razzolate nella broda della vostra guerra
Perché siete meschini e subdoli e pieni del pus del vostro 
        assassinio ipocrita
Perché avete voltato le spalle a Dio
Perché avete sparso le vostre empietà ovunque

Oh i leoni di fuoco
Attendono nell’oscurità strisciante del vostro mondo.
E i loro terribili occhi vi osservano

*

Una buona giornata per un linciaggio

Gli agenti sembrano tristi vecchi giudici
In una strana corte. Puntano i loro musi
Al Negro che si muove a scatti nel cappio;
I suoi piedi si agitano come corvi sopra questi
Uomini onorevoli che ridono mentre soffoca

Non conosco questo nero 
Non conosco questi bianchi

Ma so che una delle mie mani
È nera, e una è bianca. Io so che
Una parte di me viene strangolata
Mentre l’altra orrendamente ride.

Finché non cambierà,
Io per sempre ucciderò; e sarò ucciso.

Traduzione di Francesco Soldi

*In copertina: Lucio Fontana, Concetto spaziale. Attese, 1966

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