
“Là dove la vita si fa inferno d’ossa e stelle”
Pangea - Saturday, August 9, 2025Reco questo incommensurabile peso destinale. Le parole sono solo ombre scialbate per assenza di sole. Piccoli detriti. Testimoni pulsanti di febbre di dire seppure in catene. Dove conduce celebrare la vita in un mondo che la revoca? Vedo feretri di morali secolari. Vedo il pensiero politico dettare agende infami di guerre pilotate da potentati economici che depauperano midollo di innumeri vite sempre più indistinguibili, sempre meno distintive, e un controllo paranoide, ormai orizzontale, di gente su gente che ormai concorre al lavoro sordido cui un tempo era deputato il Sistema.
La poesia? Niente di numinoso: non è oracolo, ma pioggia fina su terra rovente. Prende la forma e la direzione che può, come un liquido negli interstizi.
Dal mio canto soggiorno nell’attesa, attendo che cada la scure di un nuovo giorno.
Niente avviene davvero se non è asseverato da giornalisti sciacalli, opinionisti proteiformi che argomentano per procura, e gregari prezzolati del potere, tecnici acefali, operatori fideisti di un credo protocollare.
Meglio una malerba culturale di questi dettati d’assortiti compendi avvalorati dall’idiozia mediatica e da diegetiche apocrife ma funzionali a un Potere ormai senza freni, accentratore e vessatorio, litico e protervamente impositivo.
Non posso che onorare un raggio minimo di pensiero e azione, ma non dire tutto fino in fondo, laddove regnano caos e dolore, là dove la vita si fa inferno d’ossa e stelle – non di un mentre, non di una stagione, non di una vita: siderale abiura all’uomo!
Non depongo le mie armi bianche, a mio modo votato a delineare uno schema, offrire una visuale, farmi interprete più intransigente di un tempo.

Le vene del mondo sono secche ma versano ancora sangue a fiotti e grumi: è una questione di confini, è sempre stata una questione di confini: tra un culto e l’altro, tra un’ideologia e le sue controparti; tra una pratica di vita, una cultura, un vessillo e tutto ciò che ritengono nemico.
La spina di chi riceve ordini è infetta ed è la sola testimonianza che sotto la pelle dell’ordinario, ben confitta, detta malattia di usi e adempimenti senza deroga, senza dubbio, senza indugio.
Sono stanco un abisso, sono solo oltre ogni solitudine nota. Mi dirigo a passo lento, verso una rapida condanna. Il resto non si spiega, il resto lo tengo dentro e sfiora solo, di sguincio, ciò che consegno a chi vorrà raccoglierlo. Piccoli detriti di una risacca pigra d’odore acuto.
Le vene del mondo sono secche: ma allora da dove esce questa emorragia, questo profluvio di sacrifici per falsi dei? Non additate nessuna nomenclatura politica, essa è solo un paramento del potere recondito: e c’è chi le detta voce e azione. E noi persi nei fatti del giorno, con meno inchiostro ma con più arroganza, con meno contezza ma ben desti nel puntare l’indice.
Per mio conto metto assieme dettagli e indizi, piccole e grandi correnti di maree, e ciò che mi si palesa va ben oltre l’umano. Non sono i mezzi – fionda o ordigno, non cambia niente –, è la natura stessa del potere a essere mutata nel genoma di ciò è detto “accadere” ma è programmaticamente alieno a una comprensione media dei grandi numeri.

Le nostre vite sono già cifre e calcolo esatto, le nuvole, i fiumi, i deserti, i monti, il mare, le stelle, ciò che più è sterminato è divenuto calcolo e merce da baratto in mano a dei nani: piccoli affaristi dell’universo conosciuto. A loro va il mio disprezzo anche se so che lo pagherò caro.
Ricordate di non interpretare i fatti del giorno, ma dove metteranno nella più barbara e sterile crudeltà che oggi non è detta ma già corre avanti e descrive secoli, millenni, di identità violate.
Siamo appena a cruna e filo, mentre l’ordito è già compiuto. Reco questo incommensurabile peso destinale. Fatto fui a dire, quando il senso e la direzione sono ineffabili o non creduti.
Massimo Triolo
*In copertina e nel testo: fotografie e schizzi di Medardo Rosso (1858-1928)
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