Reco questo incommensurabile peso destinale. Le parole sono solo ombre scialbate
per assenza di sole. Piccoli detriti. Testimoni pulsanti di febbre di dire
seppure in catene. Dove conduce celebrare la vita in un mondo che la revoca?
Vedo feretri di morali secolari. Vedo il pensiero politico dettare agende infami
di guerre pilotate da potentati economici che depauperano midollo di innumeri
vite sempre più indistinguibili, sempre meno distintive, e un controllo
paranoide, ormai orizzontale, di gente su gente che ormai concorre al lavoro
sordido cui un tempo era deputato il Sistema.
La poesia? Niente di numinoso: non è oracolo, ma pioggia fina su terra
rovente. Prende la forma e la direzione che può, come un liquido negli
interstizi.
Dal mio canto soggiorno nell’attesa, attendo che cada la scure di un nuovo
giorno.
Niente avviene davvero se non è asseverato da giornalisti sciacalli, opinionisti
proteiformi che argomentano per procura, e gregari prezzolati del potere,
tecnici acefali, operatori fideisti di un credo protocollare.
Meglio una malerba culturale di questi dettati d’assortiti compendi avvalorati
dall’idiozia mediatica e da diegetiche apocrife ma funzionali a un Potere ormai
senza freni, accentratore e vessatorio, litico e protervamente impositivo.
Non posso che onorare un raggio minimo di pensiero e azione, ma non dire tutto
fino in fondo, laddove regnano caos e dolore, là dove la vita si fa inferno
d’ossa e stelle – non di un mentre, non di una stagione, non di una vita:
siderale abiura all’uomo!
Non depongo le mie armi bianche, a mio modo votato a delineare uno schema,
offrire una visuale, farmi interprete più intransigente di un tempo.
Le vene del mondo sono secche ma versano ancora sangue a fiotti e grumi: è una
questione di confini, è sempre stata una questione di confini: tra un culto e
l’altro, tra un’ideologia e le sue controparti; tra una pratica di vita, una
cultura, un vessillo e tutto ciò che ritengono nemico.
La spina di chi riceve ordini è infetta ed è la sola testimonianza che sotto la
pelle dell’ordinario, ben confitta, detta malattia di usi e adempimenti senza
deroga, senza dubbio, senza indugio.
Sono stanco un abisso, sono solo oltre ogni solitudine nota. Mi dirigo a passo
lento, verso una rapida condanna. Il resto non si spiega, il resto lo tengo
dentro e sfiora solo, di sguincio, ciò che consegno a chi vorrà raccoglierlo.
Piccoli detriti di una risacca pigra d’odore acuto.
Le vene del mondo sono secche: ma allora da dove esce questa emorragia, questo
profluvio di sacrifici per falsi dei? Non additate nessuna nomenclatura
politica, essa è solo un paramento del potere recondito: e c’è chi le detta voce
e azione. E noi persi nei fatti del giorno, con meno inchiostro ma con più
arroganza, con meno contezza ma ben desti nel puntare l’indice.
Per mio conto metto assieme dettagli e indizi, piccole e grandi correnti di
maree, e ciò che mi si palesa va ben oltre l’umano. Non sono i mezzi – fionda o
ordigno, non cambia niente –, è la natura stessa del potere a essere mutata nel
genoma di ciò è detto “accadere” ma è programmaticamente alieno a una
comprensione media dei grandi numeri.
Le nostre vite sono già cifre e calcolo esatto, le nuvole, i fiumi, i deserti, i
monti, il mare, le stelle, ciò che più è sterminato è divenuto calcolo e merce
da baratto in mano a dei nani: piccoli affaristi dell’universo conosciuto. A
loro va il mio disprezzo anche se so che lo pagherò caro.
Ricordate di non interpretare i fatti del giorno, ma dove metteranno nella più
barbara e sterile crudeltà che oggi non è detta ma già corre avanti e descrive
secoli, millenni, di identità violate.
Siamo appena a cruna e filo, mentre l’ordito è già compiuto. Reco questo
incommensurabile peso destinale. Fatto fui a dire, quando il senso e la
direzione sono ineffabili o non creduti.
Massimo Triolo
*In copertina e nel testo: fotografie e schizzi di Medardo Rosso (1858-1928)
L'articolo “Là dove la vita si fa inferno d’ossa e stelle” proviene da Pangea.
Tag - potere
Piattaforme. Sommare potere economico e potere mediatico non può che distorcere,
anche molto seriamente, il processo democratico
Per quasi un decennio i social media sono stati capri espiatori così comodi che,
se non fossero esistiti, qualcuno li avrebbe probabilmente inventati. Che cosa
c’è, infatti, di più comodo del dare la colpa a Facebook, a Twitter o a TikTok
per un voto andato storto, come per esempio quello del referendum sulla Brexit o
l’elezione di Trump nel 2016? (Quando il voto, invece, va come si desidera,
tutto in ordine sotto il cielo). Per completare l’operazione politica bastava
poi aggiungere l’interferenza straniera (tipicamente russa): chi aveva perso non
aveva comunque nulla di sostanziale da rimproverarsi, era tutta colpa dei social
media e dei mestatori stranieri. Tutto, insomma, pur di non dedicarsi al
difficile lavoro di comprendere la realtà sociale, e al pesante, ma essenziale,
esercizio dell’autocritica.
Non che i social media, i motori di ricerca, e ora anche i servizi di
«intelligenza artificiale» come ChatGPT non possano influenzare gli elettori:
certo che li influenzano, anche se in genere in maniera meno diretta di quanto
pensino alcuni (che peraltro in genere tendono a sminuire il ruolo, ancora molto
importante, dei media tradizionali).
Leggi l'articolo di Juan Carlos De Martin
L’infrastruttura grazie alla quale miliardi di persone comunicano realizza i due
sogni del potere: sapere chi parla con chi e influenzare le conversazioni
L’arresto in Francia del fondatore di Telegram sta provocando forti reazioni,
anche a livello politico. Come però già in casi precedenti, basti pensare alle
controversie relative a Facebook o a TikTok, le polemiche contingenti rischiano
di oscurare le questioni strutturali di fondo. Si tende a dimenticare, infatti,
che le tecnologie della comunicazione sono sempre state cruciali strumenti di
potere e quindi sono sempre state – e oggi, più che mai, sono – tecnologie
intrinsecamente politiche. Chi comunica con chi, quando, con quale frequenza, di
che cosa e in quali circostanze sono informazioni che il potere – nelle sue
varie forme e articolazioni, sia pubbliche, sia private – ha sempre desiderato
possedere.
Inoltre, il potere ha sempre desiderato controllare il più possibile il flusso
di informazioni che in qualche modo potevano influenzarne l’azione o intaccarne
la legittimità. Due pulsioni, quella di tutto conoscere e quella di tutto
controllare, rese entrambe ancora più intense in periodi di guerra o, comunque,
di tensioni politico-sociali.
Leggi l'articolo di De Martin su "Il Manifesto"