“Chi ha davvero il coraggio di essere sé stesso?” Lettera di Vincenzo Gambardella a Maria Borio

Pangea - Monday, August 11, 2025

Gentilissima Maria Borio,

mirabile è la sua poesia, ogni parola è un oltre. Distanza che avvicina, sapendo che è impossibile afferrarla. Quindi sono andato con questo animo alla casa editrice che ha pubblicato Prisma (Zacinto Edizioni, 2022), per acquistare il libro, nonostante nessuno si muova più in questo modo, e per tali ragioni. Attualmente non c’è bisogno, tutto è a portata di mano, tutto ti arriva a casa, anche se lontano da noi. I palazzi, le persone, si torna a distruggerli, ma qui si può dire che siamo nella comodità, nel digitale, nel servizio, dunque io che ci faccio in giro per Milano?, animato da buone intenzioni, sfidando pioggia, umidità della giornata, il quartiere che non conosco, il campanello dell’editore non funzionante, chissà poi per quale motivo. Ma non importa, mentre mi lamento del così poco, del gratuito che mi arriva, chiedendomi addirittura perché non è di più. 

Invece la sua poesia lo è, e non creda che parli a seguito di emozione superficiale, ho solo entusiasmo per ciò che è complesso, e compiuto in anticipo. Complessità della forma e maturità di pensiero, di direzione, finanche, e aggiungerei di senso, di racconto. Mettiamola così! Infatti ho l’impressione che si voglia raccontare qualcosa qui, dentro questi versi, trattandosi di una traccia che inizia e s’interrompe, non scompare, sebbene resti fragile alle spalle, nel tempo, ma ancora profonda, se ne distingue il segno, ripeto, a tratti inafferrabile, solo a tratti, mi viene da ribadire, ma è per prendere tempo, io credo, prima di recuperare il fiato, stando in surplace come i ciclisti delle gare di velodromo… Ecco, ora è visibile, è sotto i nostri occhi, nel profilo del libro, o plaquette che si voglia chiamare. Volume sottile ma tanto più raffinato nella sua veste, nella sua forma agile, priva di peso, o peso di farfalla, molto piacevole da tenere in mano, per via della leggerezza e della facilità di sfogliarlo, di possederlo. Che sia questo? Voler essere ciò che non è possibile in vita, di rimando ad altro, paradosso della poesia, si potrebbe dire, eppure raggiunto nella forma editoriale, perfettamente identificato con le parole, coi versi, e, allo stesso tempo, sempre al limite di questo, per incommensurabile parola…

                              […] Fissa il blu mentre rotea
e i salti multi-dinamici, immagina le cellule e i pixel
come le strategie dei video giochi riproducono le paure […] 

Diventare parole, parole di senso, del significato che si offre fuori, ai nostri occhi, nell’oggetto che abbiamo davanti a noi e corrisponde alle parole stampate, nelle parole che siamo e non siamo, nel trasceso, persino nella domanda, di essere pienamente in quella, sfidando la tradizione, la litania, la sequela, quell’intensa vertigine e ripetizione che si coglie, concrezioni di senso come stalattiti-stalagmiti che si ergono nelle grotte primordiali, tese a unire lo spazio, quasi a dirci chi siamo, che relazione siamo, per fermare il tempo. Sorpresa della forma che, per ciò che si configura, è il linguaggio, e deve ancora venire (se ha creato il futuro, cosa ci verrà in sorte?). 

Mi fermo, sostituisco alla mia mancanza i suoi versi. Ad esempio all’inizio, il bell’inizio, l’attacco, radicale, monologante, imprevisto per la novità della voce, del ritmo, nel sentimento diretto, riconoscibile alla coppia occhio-esperienza, verità-mistero, amore-conoscenza, affermarsi-non essere. Il titolo è L’orecchio sulla mano.

Sto per parlare:
             la corrente che ci tiene in vita è identica
alla cosa più semplice –
              senza pensare riconosci sempre
la luce che buca il ciliegio? –
              anche se non lo hai mai visto, non serve.

Stai per parlare:
             per, la parola più facile, può trasformarsi
in molto divertimento –
             vorresti essere giovane o indefinibile? Digita
LOL al posto di TVB
             Lost of love per Ti voglio bene quando
il mondo era più piccolo
              e ora in sovradimensione… ma LOL vuol dire sempre
luce che rompe le cose? […]

Ecco, il suono sta per parlare. Cosa?
             Sì, un prisma di voce, e tu sei sempre giovane,
mentre il tratto della penna scioglie il sudore lentamente
             in fiori liquidi – che cosa perfora la luce? […]

È squillante il tono, riverbera, s’irradia, mi viene da dire, ma è l’immagine che si vuol veicolare (veicolare va bene?) in parola che accompagna, che fa risaltare il modello, che è come se si potesse ancora dire l’amore, quando questo non è più. Allora cos’è? Senz’altro non è il farceladi oggi, sentirsi condizionati da questa febbre che ci pervade, non ci fa mai stare nelle cose, nei sentimenti, nell’esperienza. E sfugge, sfugge!, corre avanti. Malattia del pensiero, dei nervi, dell’agitazione nel programmarsi compulsivo, nella paura del fallimento. L’amore continua ad essere nelle sigle del gergo digitale, la poesia non ne sa fare a meno, non può farne a meno, è una confessione di adesione alla realtà, al discontinuo. Eppure c’è ancora la realtà e l’amore per essa, mi pare di capire, sta sulla superficie ed è nel profondo, come il mare. È il paradosso del poeta! Il bello è che non è nemmeno quello che desideravamo, nemmeno quello che ci aspettavamo. Questa la sua forma, la sua apparizione, in sintesi, mirabile sintesi! Altrimenti come si fa a scriverne?, intendo scriverne meglio, toccando le corde del limite, del linguaggio estremo, simile a corde dure e spesse di un contrabasso, che vibrano fino a far male le dita quando non le contieni.

Stupisce che alla morte non ci si pensa, almeno non molto, forse perché prima bisogna vivere, prima viene il dato di realtà, che sembra incredibile possa esistere ancora, visto gli assalti che ha ricevuto, e il tono visionario che mantiene. Frutto dei tanti film che ci hanno formato, hanno plasmato il nostro vissuto, il nostro inconscio. Ma attenzione, c’è in gioco la verità, e ci rivela. “Dove siamo autentici?”, si dice a pagina 27, nella poesia intitolata Nella quarta dimensione, di cui riporto l’incipit, che ha alla fine della prima strofa una domanda fondamentale.

Primo tipo di figura – spirale. Secondo tipo – cerchio.
Aumentando la frequenza – rombo. Quarto tipo – parallelepipedo
in bidimensione, tridimensione… chiudi gli occhi e sei nella quarta.
             Chi ha davvero il coraggio di essere sé stesso? […]

Mai libro fu più compatto nel suo genere, nella sua materia. Libro materico e di pensiero, allora. Ne è valsa la pena comprarlo, leggerlo, penso io, soprattutto per la identità che manifesta fra autore e forma grafica, compresi carta, corpo della parola, immagine di copertina, e rimandi, rimandi: illustrazioni, note, citazioni… Bisognerebbe studiare i rapporti, le analogie, fra caratteristiche fisiche del poeta e sue poesie (di lui), oppure i luoghi frequentati dal poeta e i suoi versi, ci dev’essere senz’altro un legame. E insisto, mi pare di trovare un punto che adesso è chiaro. Qui è saldo. Riferendomi a quanto detto poc’anzi sul rapporto, in particolare il territorio nativo o acquisito che influenza il poeta, in qualche modo descrive un’appartenenza, giacché il tema di Prisma è la relazione, gli scarti che essa impone al viverla, e dove la preferenza sembra essere la staticità, o il tono contemplativo, nel vario mondo dinamico che ci attraversa e ci chiede nuovi adattamenti, spesso dolorosi, nonché risposte. A questo proposito le suggerisco (è pubblicata su internet: “Sinestesie” on line, n.45, gennaio ‘25) l’interessante lettura che lo studioso Epifanio Ajello fa del libro Isola di Alfonso Gatto, nella lontana edizione del 1932, comparando ispirazione a segno tipografico della stampa. Nel suo libro, Maria Borio, si trova una rilevanza, come le ho detto, ed è un abisso di energia verbale a cui assistiamo, in reazione al vuoto vissuto, in contrasto originario con paure, incoerenze, ostacoli, delusioni, limiti. 

È una parola temprata la sua, ispirata, disposta a tutto pur di infiammarsi o incrinare la superficie di ghiaccio che ancora siamo. La risposta – il profilo intenso, drammatico – le sta accanto, è nella sua terra, nel suo cuore. 

[…] Ogni carica opposta può essere letale: il vento in sé
trascinava la montagna, un ululato dal pozzo etrusco
            prolungato e nero… […] 

Vincenzo Gambardella

*In copertina: un disegno di Guido Reni (1575-1642), “Studio di putti in volo”

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