
La vita agrissima 3. Inganno, soldi, caos. Ovvero: sui metodi per costruirsi una reputazione letteraria
Pangea - Thursday, November 27, 2025Per quanto mi riguarda questo è l’ultimo capitolo della triade divinatoria de “La Vita Agrissima”, cioè un attraversamento ironico, un po’ crudele e un po’ veritiero sui comportamenti degli scrittori. E – si badi bene – di tutte le tipologie di scrittori: scriventi, poeti, poetastri, critici, narratori, cantastorie, ecc. Insomma, tutti coloro che tentano di salire sulla barca che affonda dell’editoria tradizionale, dove ormai non più soltanto le persone serie, ma anche “i nani e le ballerine” degli anni Ottanta spadroneggiano di qua e di là dalla scrivania.
Questo ultimo round riguarda un aspetto importante nella vita bibliografica di ogni autore: come si creano le reputazioni letterarie? Si creano nei fasti del palcoscenico, o nelle ombre del retropalco? Siamo in un momento storico in cui gli attori letterari si mescolano più che in anni passati, trattenendo in loro più mestieri e ruoli, soprattutto i critici fanno gli scrittori, gli accademici fanno i poeti, i giornalisti fanno i narratori, i magistrati fanno i giallisti e gli acrobati insegnano nelle scuole di scrittura creativa. Siamo tutti noi, sconsiderati esercitatori di ego, che viviamo una vita agrissima a resistere in un mondo sempre più a caccia di una specie in via di estinzione: la lettrice e il lettore.
Ma torniamo alla domanda sulla reputazione di questa terza puntata de “La Vita Agrissima”. La reputazione è un valore positivo che parla di qualcuno per come gli altri lo vedono, quindi un vero e proprio giudizio esterno che può determinare in positivo una carriera e custodirla post mortem. E anche nella storia di un autore vale forse un buon inizio, come a scuola, per cui la reputazione procederà secondo il primo giudizio rilevato. Ma non è sempre così. E comunque: come si creano le reputazioni letterarie?
Ecco un elenco di modalità, divise per cinque tipologie.
La prima sono i modi canonici. Intendo, per esempio, il potere – non proprio il potere politico o economico, ma piuttosto il potere relazionale, la capacità di porsi favorevolmente di fronte agli altri. In questo caso è sempre utile una presentazione autorevole di qualcuno che conta qualcosa, o ne ha l’aria. Oppure i soldi possono aiutare nel breve periodo a una degna pubblicità, che però ha le gambe corte. Su questa falsa riga si può citare pure il sesso, come veicolo attrattivo di attenzione e considerazione. Infine l’esercizio della pietà: saperla usare in maniera efficace ponendosi in una condizione di minorità può suscitare forti emozioni nell’interlocutore o nei giovani critici che si addentrano nella selva oscura letteraria e hanno il futuro a disposizione per tenere un autore a galla, oppure ignorarlo.
La seconda sono i modi impersonali. Vale a dire il caso: una serie di situazioni fortunate inanellate dietro una serie di presentazioni eccellenti. Oppure il caos, come quando uno accompagna l’amico a presentare un romanzo a un editore e l’editore sceglie l’accompagnatore… Un altro elemento è la fortuna che, come da tradizione, è cieca.
La terza tipologia sono i modi fantasiosi. Cioè il vero talento, oppure l’inganno, o l’uso di un nome falso che richiama qualcosa di grande. L’inganno è quello che mi affascina più di altri, perché richiede astuzia e mente criminale in chi lo esercita. È l’unico tipo per cui porto un esempio: Max Aub quando inventò la biografia di un pittore che non era mai esistito e la critica d’arte cadde nell’inganno, fino a pretendere una mostra dei suoi quadri che Max Aub organizzò: al vernissage dichiarò la falsità dei suoi propositi. Il nome falso è interessante: con uno pseudonimo si può ovviare a pregiudizi incancreniti sul proprio nome – serve sangue freddo, alla Mr. Ripley. Il talento sta nei modi fantasiosi perché è una condizione cui credo poco, o almeno la metto in posizione condizionata dalla fortuna e dall’impegno, e ritengo possa essere anche la maniera del soggetto di presentarsi. Il talento esiste, ma non è direttamente proporzionale alla reputazione. Si può avere un gran talento sprecato.
La quarta tipologia sono i modi borghesi. Per esempio la costruzione del merito, la parrocchia e la bandina. La costruzione del merito pare quasi una reputazione composta con pedissequa costanza ingegneristica, attenti a nominare sempre le persone giuste, ringraziare a dovere chi si deve, ossequiare grandemente e financo idolatrare chi bisogna, insomma darsi da fare per darsi un’aria di merito. La parrocchia e la bandina potrebbero stare insieme. Tuttavia la parrocchia nasce su un precetto morale, o su un manifesto ideologico: si fa parte della solita parrocchia se costruiamo un cerchio tribale dentro cui gli adepti sono famiglia e gli esterni rimangono inconsapevoli e incolti, gentaglia che non può capire la profondità dei militanti. La parrocchia aiuta a mantenere una degna reputazione anche una volta scomparsi, perché ci sarà sempre un discepolo disposto a tramandare la carriera di chi lo ha preceduto nel posto dove nessuno vorrebbe mai andare. La bandina invece, potrebbe essere un’alleanza momentanea per un fine temporaneo, che serve comunque a far crescere la reputazione dei soci della bandina, ma non ha vincoli morali, piuttosto è contraddistinta da un mero utilitarismo.
Infine ci sono i modi strani. Insomma, un po’ il My Way sinatriano, cioè faccio a modo mio. E di modi “a modo mio” se ne possono trovare moltissimi, per questo sono difficilmente catalogabili, e al momento mi sfuggono…
Alessandro Agostinelli
*In copertina: una litografia di Roland Topor del 1968
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