
“In attesa di essere ancora luce”. L’airone di Porta e la vita oltre frontiera
Pangea - Friday, December 19, 2025Quale traccia di senso è liberata dal nostro tempo? Derrida parlava di “aporia” come assenza di esito e, quindi, di compimento (vedi J. L. Nancy, Derrida da capo, in A partire da Jacques Derrida, Jaca Book, Milano 2007, a cura di Gianfranco Dalmasso). Per questo, l’unico senso possibile sembrerebbe indecidibile e disseminato, senza origine e senza identificazione, puro mistero metafisico e consapevolezza di un’alterità impensata e, perciò, per sempre impensabile. No-where perenne e allo stesso tempo qui e adesso, questa è la vera “oltranza” e il fuori confine: l’accensione costante di un senso che contiene la sua caduta, che non può comprendersi se non in avvii improvvisi che, però, covano nel tempo, come una “nube della non conoscenza” post litteram:
come se il mio ventre covasse una bomba
(Antonio Porta, Airone)
l’intera vita non è altro che desiderio e attraversamento costante di frontiere che riportano l’ombra di una percezione incomprensibile e rigiocano l’origine nel continuo ri-chiamo che è verso e parola, balbettio di nuovi linguaggi per tornare ancora a smentire la tensione, l’accecamento della relazione e il suo ritardo. Il soggetto diventa “realtà espressiva”, avrebbe detto Raboni, e la realtà di mondo che implica l’identità si formula solo attraverso l’intreccio indissolubile e l’aspirazione costante. Il “suono del contatto” che è l’airone di Porta funziona come sentimento e avvertimento (“avverto il sobbollire nello scroto”) per una sessualità al suo risveglio, la tensione relazionale, la ri-nascita continua del contatto desiderato, fecondazione e spargimento e allo stesso tempo rimando e resistenza: uomo “umile dio del suo corpo” che “resiste sulle rive dei fiumi”.
L’uomo è come l’airone? Simbolo transizionale ma riconoscibile “non troppo uomo non troppo animale” “quando muove le zampe / nei primi passi della danza amorosa”, si apre ai limiti dell’identità individuale, alla trasformazione restando se stesso
come la cagna
lupa affamata insegue disperata
la lepre elegante troppo veloce
quasi non si fa distanziare nel breve piano
ma alla soglia di un boschetto
tra i primi cespugli quella sparisce
perché la cagna è vecchia ormai
e la sua fame non diminuisce
come la sua crudeltà di prima,
della sua giovinezza,
così la chiamiamo: crudeltà
invece è fame
di mille altre lepri
eleganti paurose prudenti veloci
di continuo nascono e muoiono al mondo
inseguite inseguitrici,
è tanto semplice, infine,
quando la vita mostra di bastare a se stessa
riflessa nei nostri occhi puntati
dalla cima della collina
come nei tuoi specchi ciechi, airone
La frontiera tra il boschetto e la “semplice vita” è l’età, la soglia dell’abbandono nonostante il desiderio sia ancora “affamato”, la frontiera è “nascere e morire, / rinascere e volare via” come l’airone-angelo indica. Messaggero di relazione,
ilare sorgente ultima di melodia
contro la sua assenza di voce, airone,
i tuoi striduli messaggi,
hai partorito l’invisibile usignolo
la musica dell’invisibile è l’ultima e prima sorgente di senso. Marc Augé diceva che “una frontiera non è un muro che vieta il passaggio, ma una soglia che invita al passaggio. Non è un caso che gli incroci e i limiti, in tutte le culture del mondo, siano stati oggetto di un’intensa attività rituale. Non è un caso che gli esseri umani abbiano dispiegato ovunque un’intensa attività simbolica per pensare il passaggio dalla vita alla morte come una frontiera: è solo grazie all’idea che la si possa attraversare nei due sensi che la frontiera non cancella irrevocabilmente la relazione fra gli uni e gli altri” e “l’illusione, diceva Freud, è figlia del desiderio”.

Il desiderio è il problema dell’identità, del dio di cui l’airone è il feticcio, quasi un albatro rovesciato, cioè il “dio oggetto” simbolo di una realtà di cui si tenta ancora di cogliere il senso. Riassumendo ancora Augé (Il dio oggetto), il senso del limite e il limite del senso hanno in ogni cultura un nonluogo pensato e vissuto con e nel sistema generale dei valori della vita, che solo il rituale è in grado di individuare e re-inventare, aggiungerei, come l’airone di Porta:
Nel tuo volo immagino, Airone
osservi le ferite della Terra
scopri l’opera dell’uomo
dove senza sosta rivoli di sangue
e la fame morde
camminano uomini che non possono
essere ancora uomini
e ci porti testimonianza
del silenzio di morte
e ci imponi di ammutolire
con te sorvoliamo un luogo
che è un luogo più di ogni altro di tortura
El Sexto, il carcere di Lima
dove i perduti rinchiusi
leccano per sete il sangue delle ferite dell’altro rinchiuso
si sappia non si dimentichi che cosa
all’uomo nasce dall’uomo, fratello
come non chiamarti fratello che ti rifiuto
Airone hai due occhi come ribes purpurei
mi chiedo se sono ciechi
solo un puro ornamento
Un rituale che è cammino costante verso frontiere inaudite e incomprensibili, verso un’ibridazione di forme per “continuare a nuotare”, “sollevarsi tra gli dèi / e sprofondare nel cuore marino” o nell’ “intorno” (il mondo) “cerchiato dai boschi pieni d’ombra / dove altri dèi dormono in silenzio / visibili invisibili”. La nuova frontiera è “il fuoco puro dell’energia” (metafora nucleare) che annienta il vecchio soggetto, il concetto stesso di uomo e l’identità per come l’abbiamo conosciuta:
ci sarà non io
e il pensiero non mi dà tristezza né gioia
ma quiete, soltanto, felicità del limite
Siamo nella fase liminare della rinascita, in un mondo intermedio e in transito ma bloccato all’azione, in uno stato di perenne immaginazione. Come viene detto in La nube della non conoscenza, siamo nella “facoltà attraverso la quale ci rappresentiamo tutte le immagini di cose assenti e presenti. Sia essa che gli strumenti per mezzo dei quali essa opera”, in attesa di una “grazia” che interrompa la proiezione di “differenti immagini illusorie di creature materiali” e indirizzi alla pratica di diverse ritualità relazionali:
come in attesa di essere ancora luce
all’alba quando il conflitto si placa e si racchiude
in un uovo minuscolo
dove già pulsa il cuore di un usignolo
dove batte il minuscolo mio cuore neonato
come milioni di altri muscoli nascosti
potenti macchine da guerra che avanzano
che scuotono la cintura della terra
e misurano ogni altro respiro
La rinascita in nuova forma dentro la metafora del volo, nell’Airone di Porta, demarca l’urgenza di liberazione dall’impasse concettuale che vede l’essere umano stretto nella sua stessa definizione, come una lingua morta che vuole rinascere dal solco della sua scomparsa: volare per essere risucchiato “verso un passaggio strettissimo”, per poi essere partorito “in una forma che non conosco ancora”.
“L’anticipo nel desiderio…”, quel desiderio di cui dicevamo in precedenza, è il margine (la frontiera) che non annienta il sociale per manifestare il principio di senso (ancora Augé, per cui nel passaggio-limite è ravvisabile la “grazia” come base “concreta” che non riesamina l’origine ma si arrende alla trasformazione) ma è punto di arrivo senza esserlo, un presente che indaga il passato per scoprire il limite della vita nella sua alterazione. Il futuro è finito a causa della sua indeterminazione, senza possibilità di rinvio, se non costante e immanente. La grazia è uno spazio senza speranza che, ugualmente, tende al semplice riconoscimento di quel che è e ne rende grazie. Possibile trascendenza di sé nell’altro, la grazia immanente corre sempre il rischio della disperazione ma anche questo è “un dono che viene da se stesso”; persino l’airone feticcio, allora, non è più una guida ma un gioco di parole, una questione linguistica, e come ogni lingua mutuabile, trasformabile (in questo senso non un cascame, ma un nuovo inizio):
Ai, nero, qui il tuo inchiostro
arriva l’intraducibile scrittura
il filo spinato dei tuoi versi
aire, no, non spira
non vola, si chiude:
è questa la fodera dell’aire immobile
impermeabile calor bianco
occhicorallini, biancospada
buchi il sole debole del crepuscolo
buchi la piena luna dell’alba, mi chiedo
come seguire la tua assenza?
Forse camminando in questa assenza, nonostante la fine di ogni fine o il non finire della fine, possono scoprirsi linguaggi altri, come i riassemblaggi verbali sembrano suggerire, e perfino la coscienza di sé può sorprendersi “altra”: “(lo stellato mi ha attraversato senza dolore / ora sono albero, ora bottiglia)”. Il “terrore della perdita” è la parola ri-trovata nella caduta, l’incontro col dio è l’incontroscontro col mondo:
Qui in casa dormono tutti, un’ondata
improvvisa mi rigetta sulla spiaggia
a incontrare il tuo becco.
Gianluca D’Andrea
(dicembre 2025)
*In copertina: opera di Helena Almeida
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