Quale traccia di senso è liberata dal nostro tempo? Derrida parlava di “aporia”
come assenza di esito e, quindi, di compimento (vedi J. L. Nancy, Derrida da
capo, in A partire da Jacques Derrida, Jaca Book, Milano 2007, a cura di
Gianfranco Dalmasso). Per questo, l’unico senso possibile sembrerebbe
indecidibile e disseminato, senza origine e senza identificazione, puro mistero
metafisico e consapevolezza di un’alterità impensata e, perciò, per sempre
impensabile. No-where perenne e allo stesso tempo qui e adesso, questa è la vera
“oltranza” e il fuori confine: l’accensione costante di un senso che contiene la
sua caduta, che non può comprendersi se non in avvii improvvisi che, però,
covano nel tempo, come una “nube della non conoscenza” post litteram:
> come se il mio ventre covasse una bomba
>
> (Antonio Porta, Airone)
l’intera vita non è altro che desiderio e attraversamento costante di frontiere
che riportano l’ombra di una percezione incomprensibile e rigiocano l’origine
nel continuo ri-chiamo che è verso e parola, balbettio di nuovi linguaggi per
tornare ancora a smentire la tensione, l’accecamento della relazione e il suo
ritardo. Il soggetto diventa “realtà espressiva”, avrebbe detto Raboni, e la
realtà di mondo che implica l’identità si formula solo attraverso l’intreccio
indissolubile e l’aspirazione costante. Il “suono del contatto” che è l’airone
di Porta funziona come sentimento e avvertimento (“avverto il sobbollire nello
scroto”) per una sessualità al suo risveglio, la tensione relazionale, la
ri-nascita continua del contatto desiderato, fecondazione e spargimento e allo
stesso tempo rimando e resistenza: uomo “umile dio del suo corpo” che “resiste
sulle rive dei fiumi”.
L’uomo è come l’airone? Simbolo transizionale ma riconoscibile “non troppo uomo
non troppo animale” “quando muove le zampe / nei primi passi della danza
amorosa”, si apre ai limiti dell’identità individuale, alla trasformazione
restando se stesso
> come la cagna
> lupa affamata insegue disperata
> la lepre elegante troppo veloce
> quasi non si fa distanziare nel breve piano
> ma alla soglia di un boschetto
> tra i primi cespugli quella sparisce
> perché la cagna è vecchia ormai
> e la sua fame non diminuisce
> come la sua crudeltà di prima,
> della sua giovinezza,
> così la chiamiamo: crudeltà
> invece è fame
> di mille altre lepri
> eleganti paurose prudenti veloci
> di continuo nascono e muoiono al mondo
> inseguite inseguitrici,
> è tanto semplice, infine,
> quando la vita mostra di bastare a se stessa
> riflessa nei nostri occhi puntati
> dalla cima della collina
> come nei tuoi specchi ciechi, airone
La frontiera tra il boschetto e la “semplice vita” è l’età, la soglia
dell’abbandono nonostante il desiderio sia ancora “affamato”, la frontiera è
“nascere e morire, / rinascere e volare via” come l’airone-angelo indica.
Messaggero di relazione,
> ilare sorgente ultima di melodia
> contro la sua assenza di voce, airone,
> i tuoi striduli messaggi,
> hai partorito l’invisibile usignolo
la musica dell’invisibile è l’ultima e prima sorgente di senso. Marc Augé diceva
che “una frontiera non è un muro che vieta il passaggio, ma una soglia che
invita al passaggio. Non è un caso che gli incroci e i limiti, in tutte le
culture del mondo, siano stati oggetto di un’intensa attività rituale. Non è un
caso che gli esseri umani abbiano dispiegato ovunque un’intensa attività
simbolica per pensare il passaggio dalla vita alla morte come una frontiera: è
solo grazie all’idea che la si possa attraversare nei due sensi che la frontiera
non cancella irrevocabilmente la relazione fra gli uni e gli altri” e
“l’illusione, diceva Freud, è figlia del desiderio”.
Il desiderio è il problema dell’identità, del dio di cui l’airone è il feticcio,
quasi un albatro rovesciato, cioè il “dio oggetto” simbolo di una realtà di cui
si tenta ancora di cogliere il senso. Riassumendo ancora Augé (Il dio oggetto),
il senso del limite e il limite del senso hanno in ogni cultura un nonluogo
pensato e vissuto con e nel sistema generale dei valori della vita, che solo il
rituale è in grado di individuare e re-inventare, aggiungerei, come l’airone di
Porta:
> Nel tuo volo immagino, Airone
> osservi le ferite della Terra
> scopri l’opera dell’uomo
> dove senza sosta rivoli di sangue
> e la fame morde
> camminano uomini che non possono
> essere ancora uomini
> e ci porti testimonianza
> del silenzio di morte
> e ci imponi di ammutolire
> con te sorvoliamo un luogo
> che è un luogo più di ogni altro di tortura
> El Sexto, il carcere di Lima
> dove i perduti rinchiusi
> leccano per sete il sangue delle ferite dell’altro rinchiuso
> si sappia non si dimentichi che cosa
> all’uomo nasce dall’uomo, fratello
> come non chiamarti fratello che ti rifiuto
> Airone hai due occhi come ribes purpurei
> mi chiedo se sono ciechi
> solo un puro ornamento
Un rituale che è cammino costante verso frontiere inaudite e incomprensibili,
verso un’ibridazione di forme per “continuare a nuotare”, “sollevarsi tra gli
dèi / e sprofondare nel cuore marino” o nell’ “intorno” (il mondo) “cerchiato
dai boschi pieni d’ombra / dove altri dèi dormono in silenzio / visibili
invisibili”. La nuova frontiera è “il fuoco puro dell’energia” (metafora
nucleare) che annienta il vecchio soggetto, il concetto stesso di uomo e
l’identità per come l’abbiamo conosciuta:
> ci sarà non io
> e il pensiero non mi dà tristezza né gioia
> ma quiete, soltanto, felicità del limite
Siamo nella fase liminare della rinascita, in un mondo intermedio e in transito
ma bloccato all’azione, in uno stato di perenne immaginazione. Come viene detto
in La nube della non conoscenza, siamo nella “facoltà attraverso la quale ci
rappresentiamo tutte le immagini di cose assenti e presenti. Sia essa che gli
strumenti per mezzo dei quali essa opera”, in attesa di una “grazia” che
interrompa la proiezione di “differenti immagini illusorie di creature
materiali” e indirizzi alla pratica di diverse ritualità relazionali:
> come in attesa di essere ancora luce
> all’alba quando il conflitto si placa e si racchiude
> in un uovo minuscolo
> dove già pulsa il cuore di un usignolo
> dove batte il minuscolo mio cuore neonato
> come milioni di altri muscoli nascosti
> potenti macchine da guerra che avanzano
> che scuotono la cintura della terra
> e misurano ogni altro respiro
La rinascita in nuova forma dentro la metafora del volo, nell’Airone di Porta,
demarca l’urgenza di liberazione dall’impasse concettuale che vede l’essere
umano stretto nella sua stessa definizione, come una lingua morta che vuole
rinascere dal solco della sua scomparsa: volare per essere risucchiato “verso un
passaggio strettissimo”, per poi essere partorito “in una forma che non conosco
ancora”.
“L’anticipo nel desiderio…”, quel desiderio di cui dicevamo in precedenza, è il
margine (la frontiera) che non annienta il sociale per manifestare il principio
di senso (ancora Augé, per cui nel passaggio-limite è ravvisabile la “grazia”
come base “concreta” che non riesamina l’origine ma si arrende alla
trasformazione) ma è punto di arrivo senza esserlo, un presente che indaga il
passato per scoprire il limite della vita nella sua alterazione. Il futuro è
finito a causa della sua indeterminazione, senza possibilità di rinvio, se non
costante e immanente. La grazia è uno spazio senza speranza che, ugualmente,
tende al semplice riconoscimento di quel che è e ne rende grazie. Possibile
trascendenza di sé nell’altro, la grazia immanente corre sempre il rischio della
disperazione ma anche questo è “un dono che viene da se stesso”; persino
l’airone feticcio, allora, non è più una guida ma un gioco di parole, una
questione linguistica, e come ogni lingua mutuabile, trasformabile (in questo
senso non un cascame, ma un nuovo inizio):
> Ai, nero, qui il tuo inchiostro
> arriva l’intraducibile scrittura
> il filo spinato dei tuoi versi
> aire, no, non spira
> non vola, si chiude:
> è questa la fodera dell’aire immobile
> impermeabile calor bianco
> occhicorallini, biancospada
> buchi il sole debole del crepuscolo
> buchi la piena luna dell’alba, mi chiedo
> come seguire la tua assenza?
Forse camminando in questa assenza, nonostante la fine di ogni fine o il non
finire della fine, possono scoprirsi linguaggi altri, come i riassemblaggi
verbali sembrano suggerire, e perfino la coscienza di sé può sorprendersi
“altra”: “(lo stellato mi ha attraversato senza dolore / ora sono albero, ora
bottiglia)”. Il “terrore della perdita” è la parola ri-trovata nella caduta,
l’incontro col dio è l’incontroscontro col mondo:
> Qui in casa dormono tutti, un’ondata
> improvvisa mi rigetta sulla spiaggia
> a incontrare il tuo becco.
Gianluca D’Andrea
(dicembre 2025)
*In copertina: opera di Helena Almeida
L'articolo “In attesa di essere ancora luce”. L’airone di Porta e la vita oltre
frontiera proviene da Pangea.