Nel 1952, per la Harvill Press, Roy Campbell, l’esagitato poeta di Durban,
Sudafrica, pubblica Poems of Baudelaire, la propria versione di Les Fleurs du
Mal. Il poeta – ascendenze scozzesi, studi distratti a Oxford, abile nella
caccia, “bellissimo, enorme, ingenuo, docile, selvaggio”, l’avrebbe detto, anni
dopo, Evelyn Waugh – compiva cinquantuno anni; sarebbe morto poco dopo,
nell’aprile del 1957, di schianto, in un incidente d’auto, nei pressi di
Setúbal, Portogallo, dove si era trasferito da tempo con la famiglia. Le sue
spoglie riposano a Sintra, nel cimitero di São Pedro, di fronte
all’oceanico: oceanica, in effetti, e senza ancoraggi, è l’opera di questo poeta
che fonde la facondia visionaria di Blake agli oratori irti di piume, lance e
danze degli Zulu, di cui si sentiva confratello.
Nella breve introduzione al ‘suo’ Baudelaire, Roy Campbell – con il solito tasso
di alcolica sbruffonaggine – si tesse l’agiografia:
> “Dopo l’intrepido successo delle mie versioni di Giovanni della Croce, ho
> deciso di tradurre un peccatore senza scrupoli, non meno credente, tuttavia,
> anche nei momenti di ribellione assoluta e di assoluta blasfemia, di quel
> Santo. Leggo Baudelaire da quando ho quindici anni, è stato nella mia bisaccia
> durante due guerre, l’ho amato più di qualsiasi altro poeta. Ho tradotto
> Giovanni della Croce perché mi ha salvato miracolosamente la vita, a Toledo.
> Traduco Baudelaire perché ha vissuto la mia stessa vita: i peccati, i rimorsi,
> gli ostracismi, la povertà, la stessa disperata speranza di una
> riconciliazione…”.
Secondo George Steiner, Roy Campbell, insieme a Ezra Pound, è il più folgorante
poeta-traduttore in lingua inglese del Novecento. Insieme a Ezra Pound, è anche
il poeta più ostracizzato, malmenato, minato di fraintesi. Thomas S. Eliot – il
più arguto lettore di Baudelaire di quella generazione – amava, con rispettoso
turbamento, Roy Campbell: nel 1930 gli aveva pubblicato, per la Faber &
Faber, Adamastor; nel 1946 fu la volta di Talking Bronco.
La prima delle due guerre menzionate da Campbell nell’intro al Baudelaire è la
guerra civile spagnola. Cattolico fervente, avventuriero imperiale, Roy Campbell
è l’unico tra gli intellettuali anglofoni a parteggiare per Franco: cerca di
arruolasti tra i Carlisti; di fatto, non prenderà parte attiva al conflitto. Nel
luglio del 1936, a Toledo, aveva assistito al massacro: le truppe comuniste
predano e uccidono diciassette monaci del Carmelo dov’era ospite il poeta, con
la moglie. Campbell riuscì a salvarsi, salvando dalla razzia alcuni codici di
Giovanni della Croce lì conservati. I Poems of St John of the Cross vengono
tradotti e pubblicati da Campbell nel 1951; piacquero molto a Jorge Luis Borges,
che cominciò ad apprezzare “quel grande poeta scozzese, incidentalmente
sudafricano”.
Durante la Seconda guerra, il ‘fascista’ Roy Campbell – ben più antifascista di
molti, tiepidi intellettuali ‘di sinistra’ – fu arruolato nell’Intelligence
Corps; poi inviato a Nairobi, incluso tra i King’s African Rifles. Un incidente
in moto lo mise fuori ruolo: passò l’ultima parte della guerra sulla costa
kenyota, in operazioni atte a smontare l’azione dei sommergibili nemici. A
Londra, durante il “Blitz”, conobbe Dylan Thomas: diventarono fraterni compagni
di colossali bevute. Ogni tanto, si univa agli ‘Inklings’: a Tolkien – che era
nato in Sudafrica come lui – stava simpatico quel poeta sopra le righe, dal
talento smodato, che da ragazzo sfotteva gli snob del Bloomsbury e ora faceva a
cazzotti contro tutti; C.S. Lewis, simpaticamente, malsopportava l’ego del
“poeta e soldato”. Nel 1949, durante un incontro pubblico, Campbell si scaglierà
contro Stephen Spender, che rappresentava, ai suoi occhi, il côté tipico degli
intellettuali della sinistra anglofona: pallidi, pavidi reggenti della poesia
contemporanea, assertori di un patetico nepotismo. Gli spaccò il naso. Spender –
comunque, un cavaliere – si rifiutò di denunciarlo: “è un grande poeta e i
grandi poeti devono essere capiti”. È vero: Flowering Rifle, “a poem from the
battlefield of Spain”, uscito nel 1939, grandguignolesco poema sulla guerra
civile spagnola, è ascrivibile, più che altro, a un documento letterario
‘dell’altra parte’ – letterariamente, è goffo, tonitruante, malrassettato. Più
che altro, garantì a Roy Campbell un pervicace ostracismo. Quanto a lui –
gioviale, ingenuo, sempre in cerca di battaglie – percorreva la provocazione.
Strenuo oppositore del sistema fratricida dell’apartheid, nel ’53 ricevette una
laura in onore dalla University of Natal. Denunciò il “suprematismo bianco” del
primo ministro sudafricano, D.F. Malan; nello stesso tempo, diede dello “zombie
ridacchiante” a Franklin Delano Roosevelt, reo di aver mollato a Stalin l’Europa
orientale. Churchill gli pareva un pachiderma.
Intrattabile, inarginabile Campbell: nel 1924 aveva esordito, per Jonathan Cape,
con The Flaming Terrapin, imponente poemetto dal genio ‘aggressivo’, fuori
classifica rispetto ai libri dell’epoca, al contempo, inno sciamanico, iliade
africana, leviatano lirico. In Italia, cominciamo a colmare la lacuna soltanto
ora: l’ultimo numero della rivista “Poesia” (n.31, maggio/giugno 2025, Crocetti
Editore) dedica la copertina a Roy Campbell, “Il poeta guerriero”, pubblicando
una porzione di The Flaming Terrapin tradotta da Andrea Temporelli (il poema
sarà edito, prossimamente, dalle edizioni Magog).
Nel 1952 – a testimonianza della mente multiforme del poeta – Campbell pubblica
un poderoso omaggio a Federico García Lorca, An Appreciation, With Selected
Translations of His Poetry. Campbell idolatrava il poeta repubblicano, vilmente
fucilato e oltraggiato dai nazionalisti nel ’36. Alcuni dicono che le sue
versioni di García Lorca siano tra le più belle uscite nel mondo inglese. Sul
“New York Times”, il 21 dicembre del ’52, Dudley Fitts firmò una partecipe
recensione:
> “Pare che Roy Campbell sia nato per scrivere questo piccolo, esplosivo
> libello. Egli stesso possiede quelle qualità ‘romantiche’ che rintraccia in
> Federico García Lorca – avventatezza e galanteria, un maquillage andaluso di
> cruda vita e misticismo, il genio della poesia, soprattutto –: difficilmente
> potremmo immaginare coincidenza più felice tra un autore e il suo soggetto”.
Già: l’erculeo Roy Campbell, autore di una lirica tra le più vertiginose e
inavvicinabili del secolo, possedeva un’energumena generosità. Lo hanno dipinto
come un Ciclope – per la cecità politica, per la cieca ira –, era un uomo buono,
un cavaliere medioevale. Sognava di essere un Centauro: lo fu – all’incirca.
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Da Charles Baudelaire
Corrispondenze
La natura è un tempio, ogni pilastro
getta, a tratti, vaghi sussurri. L’Uomo avanza
nella foresta dei simboli, strani e solenni,
che lo mirano con sguardi familiari.
Dilaga l’eco, si mescola e trasfonde
finché nel profondo oscuro unisono si confonde
vasto come la notte, come la cupola del mezzogiorno –
così si embricano profumi, suoni, colori.
Profumi freschi come il vello dei bimbi
come i violini, dolci come i verdi tumidi prati.
Ricchi, complessi, trionfanti, altri rotolano
insieme alla vasta gamma delle infinite non rifinite
cose: ambra, muschio, incenso, resine, ciascuno
canta il trasporto dei sensi e dell’anima.
*
Il nemico
Fu tempesta oscura, selvaggia, il mio giovane
giaculìo: vi sfrecciava un sole abbagliante.
Tuono e pioggia hanno devastato tutto
il mio giardino è avaro di rosati frutti.
Ora è l’autunno della mente
e vanga e rastrello raspano la terra
per salvare frantumi dei miei campi
allagati, dove l’acqua insudicia una tomba.
Chissà se i fiori prefigurati dai miei sogni
troveranno, su questa dilavata terra, per una malizia
almeno, il nutrimento mistico che li farà germogliare.
Il tempo divora la nostra vita, è brutale!
L’oscuro nemico rode le radici del cuore
e cresce sempre più forte sulla nostra chioma.
*
Sopra il ritratto di Tasso in prigione di Delacroix
Il poeta è malato e mezzo nudo:
calpesta un manoscritto nell’oscura cella
e fissa con terrore la scala dove
il suo spirito, infine, crollerà.
Risate inebrianti sbracano quell’aia
lo invitano allo Strano e all’Assurdo.
Intorno a lui, sguainate le orribili figure
del Dubbio e del Terrore, le multiformi.
Questo genio recluso in sotterranei pestilenziali
queste grida, il ghignare di spettri che si contorcono
che si accalcano intorno a lui, beffardi,
questo sognatore destato dalle urla del proprio incubo
è il tuo emblema, Anima sorta dalla nebbia.
Attorno a te la Realtà erige il suo muro e la sua museruola.
*
Da Federico García Lorca
Vasto fantasma d’argento, il vento di mezzanotte
spira e spalanca la mia ferita antica
con la sua grigia mano: se ne andò
e svenni, preda di un triste desiderio.
Questa ferita mi darà la vita: da essa
germoglierà la luce, il sangue che senza
tema sgorga – uno spiraglio dove l’usignolo,
muto, troverà un bosco, un nido e un addio.
Oh, che dolce litania fa tintinnare la mente!
Sul fiore più modesto deporrò il mio dolore
dove fluttua, senz’anima, l’orgoglio della tua beltà.
Allora, il fiume mercenario si tingerà
di rosso, mentre il mio sangue scende
lungo le fragranti selve, nell’aura della rugiada.
*
Adamo
Presso l’albero del sangue, il mattino stilla
rugiada e il neonato urla.
La sua voce mette un vetro nella ferita
e cosparge le finestre con diagrammi di ossa.
Il giorno ha raggiunto a luce costante
i limiti della favola: evadi
dal tumulto del sangue e vola
verso la mela, verso la sua fioca ombra.
Adamo, con quella febbre d’argilla,
sogna che il bimbo galoppa verso di lui –
raddoppia il puledro sangue nelle sue guance.
Ma un altro oscuro Adamo sogna: anela
una luna di pietra, neutra, dove nulla germoglia
dove il figlio della gloria sarà bruciato.
*In copertina: Augustus John, The Poet: Roy Campbell, ca. 1925, Carnegie Museums
of Art, Pittsburgh
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Pangea.