A partire dal 13 ottobre 2022, la Biblioteca Bernardini, a Lecce, accoglie nei
suoi spazi il Living Archive Floating Islands (Archivio Vivente Isole
Galleggianti) dimora per la vita e l’opera di Eugenio Barba, gli avventurosi
sessant’anni dell’Odin Teatret come teatro laboratorio e la memoria delle
diverse realtà delle Isole Galleggianti, nome che Barba ha donato al Terzo
Teatro, alla molteplicità culturale dei gruppi teatrali che hanno segnato la
storia del teatro della seconda metà del Novecento sino ai giorni nostri.
Un archivio mostra-installazione interattiva da attraversare e conoscere in una
dimensione reale immersa nella fantasia ludica. “La durata è la forma di
resistenza di un teatro”, afferma Eugenio Barba riprendendo le parole di Jacques
Copeau; ne consegue che questa proiezione della memoria viene concepita per
“rimettere in scena” i limiti del passato verso il presente e il futuro.
Inoltre, l’Archivio Vivente delle Isole Galleggianti è alimentato dal
partenariato con la Fondazione Barba-Varley, fondato sull’atto di donazione con
il quale Eugenio Barba ha ceduto al Polo Biblio Museale della Regione Puglia i
fondi bibliografici e documentari relativi alla sua esperienza artistica e a
quelli dell’Odin Teatret. L’accordo, inoltre, prevede una collaborazione
scientifica di ricerca e di supporto alla didattica per la valorizzazione
dell’Archivio, allestito dall’architetto Luca Ruzza con Daniela Dispoto e Laura
Colombo, in uno spazio interattivo animato da campi di papaveri rossi disegnati
dalla Open Lab Company con Francesca Carallo e l’antica tecnica della
cartapesta, dalle mappature digitali di Natan A. Ruzza e dalle partiture video
di Zeno M. Ruzza. Un comitato scientifico individuato dallo stesso Barba, si
occupa della gestione culturale dell’archivio.
Inoltre la sezione della biblioteca dedicata al teatro e allo spettacolo – che
custodisce anche il fondo Silvio D’Amico e Carmelo Bene – è impegnata da anni
con l’obiettivo di ampliare le sue collezioni per valorizzare la presenza dei
grandi protagonisti italiani della storia teatrale.
Ne abbiamo parlato con Luigi De Luca direttore del Museo Castromediano di Lecce
e coordinatore dei Poli Bibliomuseali Regione Puglia.
Eugenio Barba
Come si struttura l’idea di questo particolare percorso espositivo
intitolato Archivio Vivente Isole Galleggianti ?
Abbiamo condiviso con Eugenio Barba la decisione di assegnare la definizione
di Archivio Vivente Isole Galleggianti allo spazio che ospita i materiali della
sua biografia artistica, dell’Odin Teatret e del Terzo Teatro. Siamo entrambi
consapevoli che questa definizione non connota un’istituzione, ma una pratica:
quella di lavorare sulla memoria individuale e collettiva per indurre visioni
del mondo fuori dalla “dittatura del presente”.
Inizia il nostro percorso immersivo…
Eugenio Barba ha cercato di riproporre in questi spazi espositivi
l’organizzazione delle sale prova presenti ad Holtebro (Danimarca): la sala
bianca, la sala nera, la sala rossa. La nostra visita incomincia dalla sala
bianca, sintesi dei suoi viaggi; difatti siamo accolti da una grande maschera
Barong proveniente da Bali, a raccontarne il suo rapporto fecondo accresciuto
tra l’oriente ed il sud del mondo. Qui troviamo anche una buona parte dei suoi
libri, fondamentali per la sua produzione artistica, collocati volutamente dalle
mani di Barba in ordine “casuale”.
La contaminazione tra oggetti e libri ne è l’essenza: la collezione di maschere,
souvenir, sassi, piccole sculture, moltissimi nastri, tessuti, raccolti nei più
disparati angoli del mondo, evocano e rappresentano l’universo immaginario e
simbolico dell’Odin Teatret, a circa sessant’anni dalla sua nascita. Al centro
il “tavolo degli avi”, che simbolicamente imbandito, ricostruisce il rapporto
con i suoi antenati provenienti da Gallipoli (anche se Barba nasce a Brindisi).
Prossimamente, in allestimento, una sorta di altare barocco al termine del
grande spazio dedicato.
La sala nera…
Presenti i manifesti dei suoi spettacoli, oggetti di scena provenienti
interamente da Holstebro, le citazioni letterarie che ne hanno arricchito la sua
poetica… Kaspariana, ad esempio, primo spettacolo che l’Odin composto in
Danimarca, nella nuova sede di Holstebro nei primi mesi dopo il trasferimento
dalla Norvegia, era uno spettacolo per soli sessanta spettatori, come
il Principe Costante di Grotowski. In una sala nera arredata con sei
piattaforme, ed una cassa pure nera, si svolgeva la vita di Kaspar Hauser,
argomento molto attuale purtroppo per le pregnanti tematiche di guerra…
Eugenio Barba si è avvalso di altri collaboratori per l’ideazione dello spazio
espositivo?
Si. L’architetto Luca Ruzza, che raggiunse l’Odin da giovanissimo in Danimarca,
grazie ad una borsa di studio, e che successivamente ha collaborato moltissimo
insieme ad Eugenio Barba.
Il progetto dell’allestimento complessivo di tutti gli spazi dedicati è una
sintesi di entrambi.
La disposizione poetica dei singoli oggetti è, invece, interamente curata da
Barba.
La sala rossa…
Il particolare contributo di Luca Ruzza, lo si vede nella sala rossa, che
contiene una sorta di archivio in movimento; l’archivio dei gruppi di terzo
teatro che sono nati, quasi per gemmazione, dall’esperienza dell’Odin Teatret. I
papaveri progettati da Luca Ruzza e realizzati dalla OpenLab Company con
Francesca Carallo, artigiana della cartapesta, richiamano ogni singolo gruppo di
terzo teatro, la cui storia è raccontata attraverso una proiezione visiva e
sonora sulla parete bianca. Il nome Isole Galleggianti, che deriva da un libro
di Barba, non è altro che il grande arcipelago costituito da tutti i gruppi
prima citati. L’obiettivo è documentarne la presenza e la vita, anche dell’Ista
(International School of Theatre Antropology) fondata da Barba.
Il pavimento galleggiante…
Nel nostro percorso realmente immaginifico tornano i libri, richiamo quasi
ossessivo alla produzione letteraria molto intensa di Eugenio Barba. Collocati,
questa volta, in una sorta di pavimento galleggiante che sommerge Gandhi
sorridente, in una vasca da bagno.
I camerini studio…
Accediamo alla parte più stupefacente dell’archivio, saliamo una rampa di scale
e ci accolgono due camerini studio entrambi in legno bianco, due piccole
mansarde smontate da Holstebro e rimontate con cura quasi maniacale dopo essere
state fotografate: il primo di Eugenio, realizzato da uno dei suoi scenografi.
Gli oggetti appartengono tutti a Barba, utilizzati nei suoi spettacoli, i suoi
libri, i souvenir e le fotografie provenienti da tutto il mondo. Il secondo è di
Julia Varley, attrice dal ruolo storico per l’Odin Teatret, che dal 1983
partecipa all’ideazione ed organizzazione del Magdalen Project, una rete per
l’affermazione delle donne di teatro contemporaneo. Nel suo camerino, identico
per struttura a quello di Barba, un piccolo armadio con scarpe e vestiti di
scena, borse, oggetti.
La necessità della memoria ci rende responsabili di una tradizione per le
generazioni a venire. “Il futuro è sempre costruito a partire dai frammenti del
passato”. Così recita una celebre frase dello storico dell’arte Erwin Panofsky.
Siamo onorati e felici di proteggere la memoria dell’Odin Teatret, tra le
esperienze più rivoluzionarie del teatro contemporaneo, fondata sul “baratto”
nata in Salento nel 1974.
Maria Giovanna Barletta
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Teatret) proviene da Pangea.
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Lo scorso 16 maggio a Bologna si è tenuta una discussione, in un evento di
preparazione alla Bologna Anarchist Book Fair che si terrà il prossimo
settembre, su alcuni progetti web nati e sviluppatisi negli ambienti
dell’antagonismo e dei centri sociali. L’evento è stato descritto come Archivi
digitali dei movimenti sociali: memoria collettiva e riappropriazione
tecnologica.
Alla discussione hanno partecipato Grafton9, il non più attivo NGVision, ed ECN
Antifa. Tre progetti apertamente diversi nella forma, nei contenuti trattati e
nell’organizzazione. Sintetizzando i tre progetti hanno in comune il desiderio
di curare le informazioni: un processo di cura volto alla riorganizzazione, alla
semplificazione, ed infine alla condivisione.
Oggi, nell’uso quotidiano del web, i movimenti dimostrano una scarsa capacità di
cura, che si riflette in una frammentazione e dispersione dei contenuti, spesso
con limiti di accesso, e quindi con una conseguente difficoltà nella
conservazione per il futuro.
Questo bisogno di riprendersi cura del web oggi viene espresso da diversi
fronti, spesso collocato sotto la definizione di “giardino digitale”
Leggi l'articolo completo in cui trovi anche una serie di link sull'argomento.