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“Dio ha un suo modo di far crescere i fiori”. Madeleva Wolff, poetessa & badessa
Qualcuno ricordò che era “la badessa della poesia cattolica”; il “New York Times” che eccelleva nell’arte del ‘coccodrillo’ – ergo: rigore, esattezza, sana sobrietà, gusto per le sottigliezze – scrisse che “Sister Madeleva” era, nell’ordine, cattolica, insegnante, poetessa. Dei circa “settanta libri” che le sono ascritti, d’ogni sorta, quasi nessuno è stato più ripubblicato. “La sua reputazione come educatrice ha spesso offuscato la vasta produzione poetica”. “Sister Madeleva” morì nel luglio del 1964, a settantasette anni; eccelleva nell’inno, aveva studiato, con alto profitto, letteratura medioevale, specializzandosi in Chaucer. Nel 1942 era stata eletta presidente della “Catholic Poetry Society of America”.  Nata Mary Evaline Wolff a Cumberland, Wisconsin, nel 1887, da padre luterano e madre cattolica, diventò “Madeleva” nel 1905, dopo aver pronunciato i voti perpetui: scelse l’ordine delle Sisters of the Holy Cross. Aveva studiato al Saint Mary’s College di Notre Dame, Indiana, di cui diventò uno dei presidi più brillanti e audaci, dal 1934 al ’61. Ideò il primo corso di teologia aperto alle donne; “trasformò la piccola, severa, tradizionale scuola femminile in una istituzione moderna, che arrivò a contare oltre mille studentesse”. Quando accolse la prima allieva di colore, accerchiata dalle critiche, rispose a suo modo: “dite che diminuiranno le iscrizioni? Non vedo il problema: farò del Saint Mary’s College una scuola per donne nere”. Sapeva spiazzare, aveva il dono – apocalittico – delle frasi apodittiche; spesso diceva che “gli incidenti sono il modo in cui Dio si dimostra doppiamente buono con noi”.  Nella sua biblioteca privata, il “Beowulf” e William Langland dialogavano con Thomas S. Eliot, i versi del gesuita anarchico Daniel Berrigan erano al fianco dei mistici inglesi. Diceva che i libri della sua vita erano la Bibbia e un manuale di sementi. Da ragazza, Madeleva maneggiava pinze e martelli, amava il lavoro manuale, si arrampicava sugli alberi – sapeva pattinare sui laghi ghiacciati. Da adulta, si scriveva con R.H. Benson e Jacques Maritain, con Edith Warthon e John F. Kennedy. Dopo il dottorato a Berkeley, si perfezionò a Oxford: conobbe Tolkien, Martin D’Arcy e soprattutto C.S. Lewis.  > “Quel semestre al Trinity College significò per me soprattutto C.S. Lewis. > Dopo aver assistito alla prima lezione sulla poesia medioevale inglese, dissi > ad alcuni compagni che avrei voluto lui Lewis come tutor. ‘Il Signor Lewis > rifiuta di fare da tutor a una donna’, mi dissero. Risposi che non ciò non > mutava minimamente la mia affermazione”.  Cominciarono un rapporto epistolare; Lewis apprezzava i versi di Madeleva – “ha dissotterrato le radici della poesia medioevale piantandola nelle nostre menti contemporanee, dove può fiorire a suo piacere” – ma restava schivo, fino all’ironia nera, di fronte agli entusiasmi di lei. Così le scrive nel 1934: “Se mai dovessi trovarmi dalle sue parti (il che è alquanto improbabile), sfiderò il ‘terrore dei conventi’ per accettare la vostra gentile offerta di ospitalità”. Si scrissero fino alla morte di lui, scambiandosi idee sui reciproci libri, su vertiginose questioni di fede.  Un tempo, l’autobiografia di Suor Madeleva, My First Seventy Years (pubblicata da Macmillan nel 1959) era considerato una specie di classico; in un recente repertorio uscito su “America. The Jesuit Review” Madeleva è detta Poet, feminist and nun. Le poche volte che la portavano in un centro commerciale era felice di ripetere quanto “è bello sapere che al mondo ci sono così tante cose che non desidero”. Thomas Merton, il poeta trappista, temeva il suo giudizio: era tra le rare persone a cui inviava i manoscritti prima della pubblicazione. Quanto alla sua poesia, Madeleva, più che altro, resta, con sapienza, nei rioni dell’innografia, perché dell’incanto biblico si nutre. L’edizione dei Collected Poems edita nel ’47 da Macmillan fu recensita da Marya Zaturenska, già premio Pulitzer ‘for Poetry’, sul “New York Times”; nell’articolo – “Music That Is Peace” – ne scaturisce un’analisi che vale ancora oggi.  > “Suor Madeleva non è San Giovanni della Croce né Gerard Manley Hopkins; il suo > talento è nella direzione delle poetesse del XIX secolo, che affollavano le > antologie con verbi sinceri e pieni di pietà, non privi di fascino, eppure > monocordi. Il suo dono è facile e felice, dotato di un’allegria disarmante, di > una leggerezza rara in questi tempi. Suor Madeleva non vuole essere originale > e i terrori dell’esperienza religiosa non la riguardano. Lo spirito che > traspare da questi versi è così puro e genuino che in un’epoca brutale come la > nostra, di uomini inariditi, non può che lenire e consolare. […] I più grandi > poeti devozionali contemporanei, Thomas Merton e Robert Lowell, sembrano > muoversi in una direzione più complessa, scrivono per un loro pubblico > speciale, specializzato. I versi di Suor Madeleva, con cadenze prive di > artifici, una compassione ortodossa, una naturale compostezza, attraggono > devoti di ogni credo: il loro è un fascino popolare”.  Verrebbe da dire: esiste un’ispirazione che esige la falce, un’ispirazione rettilinea, che fa a meno degli illusionismi lirici. Un verbo d’erba, che non ha rivestimenti né finiture – la storia della letteratura, a questo punto, è poco interessante, ha scarsa presa.  *** Nei deserti luoghi Dio ha un suo modo di far crescere i fiori: è audace e diretto allo stesso tempo. Se conoscessi i fiori come me, non avresti dubbi.  Sceglie una pietra grigia, austera, impervia per farne giardino; munge il sole strema le intemperie – poi fende il cielo con una penna, per metà fiamma per metà piuma.  Negli impervi luoghi opera così: dissotterra un piumaggio di petali divina con sicurezza finché  un bocciolo, troppo fragile per dargli nome, non esplode furtivo.  Osa seminare nel deserto  ara le rocce. Sebbene Eden abbia sperimentato il Suo potere e la Sua bellezza, non sa come può  nascere il fiore del cactus.  * Nel vento, uno spettro Si vergognava, lo spettro: uscì dalle ante del vento, trottava  all’alba e benché non potessi vederlo né sentirlo, le sue labbra mi sfiorarono la guancia, le sue dita mi toccarono i capelli.  * Ha modi semplici Dio: preferisce la stalla gli agnelli al pascolo con i pastori. È così umile che a mala pena diresti che è un re.  Guardalo: fragile, puro nella mangiatoia, sorride in forma di bambino mentre guarda la madre.  Non poi temere un Dio dai modi così docili. Eppure, ardono i cieli e gli angeli urlano scuotono i cembali. Davvero egli è un Re e nella sua semplicità ha i modi di un Dio.  * Ultimatum Lo sai: non puoi fermare la mia ricerca non puoi esaudire il mio desiderio; brucerei nel divino fuoco il divino riposo mi empirebbe per sollevarmi, viva, al vivo petto di Dio.  Non oso osare né aspirare tanto non chiedo altro che il supremo amore: il posseduto che di noi si impossessa.  Tu che sei tutto e non sei questo resta il suo sogno, la sua dolce e assoluta profezia che il risveglio rende più vera e di te la più audace malinconia; mie siano le profondità dei tuoi occhi paghi le pazienti mani, il bacio, silente.  * Quieti umani saggia gente che sa i cieli e il loro amore voi che ideate aerei e satelliti con formule adatte a orientarvi create per me la più grande stella. Nella sua stiva mettete ciò che vi dico – mettete il truce verbo di un misero locandiere, il letto di paglia che sfida l’inverno e il bastone del mandriano –  un tempo anche voi  eravate bambini: mettete l’agnello, tre corone per tre re e tutte le cose che chiamiamo domestiche, i giocattoli per i bambini del nostro misero mondo.  Non avete mai forgiato una simile stella, ma null’altro cercano gli umani. Voi che conoscete i cieli e l’amore impastate una stella per il bene del Bimbo.  * Considera i fiori del campo il loro muto vestire e sgargiante: ciascuno ha una cella murata dal vento. Pensa agli uccelli del cielo alle cose illetterate e salvagge alle cose che vivono nell’argento del canto, libere, a cui basta  una briglia d’aria.  Considera la sapienza delle ali.  Ho visto la pace nei petali l’ascesa feroce verso il sole.  Perché fiorire? Perché intraprendere l’empireo? So chi ha creato i rapaci e i fiori: nelle sue mani si schiude il bocciolo e prende il volo ogni  alato essere.  * Gorgoglio del corpo la bocca balbetta di uno splendore nuziale in attesa dello Sposo.  Nulla può eguagliare l’innocente rifugio che offro al Re. Beato  nulla, arredo per il mio Unico una misera stanza: il letto, la sedia, il tavolo l’alone di una candela che lacera l’oscurità. Dovrebbero esserci fiori per allietare il Suo riposo ma io dispongo di bianchi gigli e dispiego il mio io su di Lui.  * Perenne L’ultimo canto selvaggio della tua notte non può essere scritto, l’ultima parola non può essere detta. Pastori troppo fiacchi corrono da sempre dietro gli angeli, di grotta in grotta, seguaci della stella. Sovrasti la schiavitù dei tempi sei senza inizio né fine e ti svegli tra le braccia di una ragazza nell’infinita notte. Parola di carne puro sibilo, sei la nostra accessibile luce.  Stanotte la notte è tua e la costelli di canti.  Oltre la piana di Betlemme i pastori attendono e dilaga il gregge. Dio racconta ancora la sua storia ai figli.  Madeleva Wolff L'articolo “Dio ha un suo modo di far crescere i fiori”. Madeleva Wolff, poetessa & badessa proviene da Pangea.
July 15, 2025 / Pangea