C’era una volta un tizio che si sedeva davanti a un tavolo. Aveva un quaderno e
una penna. Scriveva. Oppure aveva una macchina da scrivere, o un computer. E
scriveva. Questa è la favola che oggi ci illude esista ancora un tempo per
scrivere. Non voglio dire che non esista più. Dico solo che oggi ha uno statuto
debole.
Li vedo già i colleghi poeti e scrittori che storcono la bocca: ma come,
l’autore! su dai, la creatività! Sono anch’io disperato come loro, mi muovo a
tentoni in un presente che rosola a fuoco lento (ma neanche troppo lento) le
certezze intellettuali e letterarie di soli vent’anni fa.
Non so se sia una notizia vera. Oggi esiste questo universo delle cosiddette
“fake news” che avvelenano menti e coscienze degli individui. Spesso si
diffondono tramite i social, perché sono il mezzo in cui tutti noi siamo più
indifesi di fronte al desiderio di scovare qualcosa da mettere in mostra nella
nostra vetrina, sul nostro profilo. Comunque, ho fatto le dovute verifiche del
caso: è in vendita, a varie centinaia di dollari (sotto il migliaio comunque). È
la Poetry Camera, cioè la macchina fotografica poetica. Si inquadra qualcosa e,
poco dopo, quest’aggeggio sputa una poesia composta dalla sua intelligenza
artificiale.
A inizi Duemila lavoravo in radio e abitavo a Milano. Sui Navigli c’era un tizio
che scriveva, a pagamento, poesie su commissione. Bastava dirgli a chi volevi
regalare la poesia e fornirgli qualche elemento tematico o caratteriale della
persona e lui ti sfornava una bella poesia lì per lì. Pensate che, negli anni
’60, pure Jack Kerouac, il vagabondo perditempo sulle strade d’America, si era
rintanato nella capanna di Henry Miller, per scrivere un romanzo su commissione.
Era Big Sur. E se pure il più anarchico degli scrittori aveva ceduto a un libro
a richiesta, voleva dire che tutto era possibile.
E infatti, a distanza di alcuni decenni, il possibile è diventata un’invenzione
di Carolyn Zhang e Ryan Mather, due informatici creativi che hanno preso un
dispositivo di Raspberry Pi che cattura le immagini e, interagendo con GPT-4 di
OpenAI, genera poesie, produce testi poetici, pure di generi differenti. Si può
prediligere gli haiku, oppure un sonetto, o un limerick, o altro. E già a questo
punto ci sarebbe una miriade di considerazioni da fare. La più evidente è che
con questa macchina fotografica poetica non dobbiamo nemmeno durare fatica a
scrivere un elenco di parole che l’intelligenza artificiale usa per comporci
sopra una poesia. La caratteristica della Poetry Cam è che si inquadra un bel
tramonto e via, la macchina secerne la poesia stampata sopra un pezzo del
rullino di carta, e il dispositivo non salva in digitale questo testo.
Praticamente, in un baleno siamo di fronte all’uso avanzato dell’intelligenza
artificiale e all’uso arcaico della carta come unico supporto che “ricorda”,
cioè archivia il risultato. A essere uno psico-qualcosa o un socio-qualcosa ce
ne sarebbero di discorsi da fare…
Alla parte romantica di me stesso, di fronte a questo rilievo della carta,
verrebbe da dire “vedi, la carta è ancora il supporto migliore, la carta non
tradisce”. Ma poi una vocina cinica mi dice che magari qualcuno in antichità,
quando inventarono la carta, potrebbe aver detto “questa novità della carta non
durerà, vuoi mettere le tavolette di pietra incise, le tavolette di pietra non
tradiscono”.
Alessandro Agostinelli
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fotografica poetica proviene da Pangea.