Qualche giorno fa, il 5 agosto, sul “Corriere della Sera”, Luciano Canfora, lo
storico, ha firmato un lungo pezzo, s’intitola: “Il senso della storia, dono
divino”. Pretesto dell’articolo, la pubblicazione, per la “piccola e vivace casa
editrice lucchese Le Vele”, di Qoelet, il formidabile, corrosivo testo biblico.
Si tratta del libro che inaugura “una grande opera dissodatrice” (copy Canfora):
la pubblicazione, tomo per tomo, della Bibbia, per fini culturali (consentire la
lettura della Bibbia ai più) più che ecumenici. Non è esattamente una novità:
già Einaudi, a cavallo del millennio, aveva tentato un’operazione simile.
I Salmi, “ragguardevoli non solo sul piano religioso ma anche su quello
letterario” (dida di infantile inutilità) erano introdotti da Bono; il Vangelo
secondo Marco da Nick Cave; il Qohèlet da Doris Lessing. La traduzione d’uso,
allora, era di quella di Filippo Nardoni; l’iniziativa, eguale a quella proposta
da Le Vele (“La Bibbia pensata non come testo di fede per fedeli, ma come testo
di lettura per lettori”), durò poco, una manciata di anni. La collana inaugurata
dall’editore Le Vele – che s’intitola, va da sé, come quella Einaudi, “I libri
della Bibbia” – è curata da Sergio Valzania, giornalista, autore radiofonico
Rai, scrittore: tra l’altro, ha scritto “una nota” a un antico libro di
Canfora, 1914 (Sellerio, 2006).
L’articolo del “Corriere” – à la Canfora: vigoroso, ruvido, ma anche un po’
superficiale nelle sintesi – mi è stato mostrato da un amico, uno di quelli
sempre pronti a salvarti dal baratro, con un certo sconcerto. Negli stessi mesi,
infatti, per De Piante è uscita una versione di Qoelet, culmine di un progetto
editoriale di pubblicazione, libro per libro, del canone biblico. Il
progetto, inaugurato nel 2022 con Genesi, non riproduce il Testo secondo la
versione Cei che tutti hanno sul comodino (“accogliendone purtroppo anche i
difetti”, così Canfora): l’idea, titanica, è quella di affidare “i singoli libri
della Bibbia a narratori, poeti, pensatori di oggi”. In
particolare, Genesi e Isaia sono stati tradotti dall’artista e scrittore
polimorfico Gian Ruggero Manzoni e Apocalisse dal poeta e fine
grecista Giancarlo Pontiggia. L’idea di Qoelet – uscito dai torchi nel marzo del
’25 –, testo magnetico come pochi altri, è più complessa. Il testo è tradotto,
secondo una nuova ipotesi sul ritmo e sul suono, da Stefano Arduini, linguista,
teorico della traduzione (tra gli ultimi libri: Traduzioni in cerca di
originale. La Bibbia e i suoi traduttori, Jaca Book, 2021), traduttore, tra
l’altro, di Giovanni della Croce (per Città Nuova). A questa versione, si
affianca la mia – a dire della lotta tra i botri e i dogi del linguaggio – e
quella, storica, di Massimo Bontempelli. Quest’ultima, ha un’importanza storica
peculiare perché testimonia una sotterranea ma pur robusta ‘tradizione’ della
traduzione biblica da parte degli scrittori italiani: pensiamo ai Vangeli
tradotti da Diego Valeri, Corrado Alvaro, Nicola Lisi e Bontempelli,
alla Lettera ai Corinzi secondo Giovanni Testori, alle versioni di Ceronetti e
ai tentativi di Emilio Villa, all’innario di David Maria Turoldo, fino ai
reperti di Erri De Luca. Su questa scia, Roberta Rocelli, nella scorsa edizione
del “Festival Biblico”, ha ideato il Salterio dei Poeti, il primo germe della
traduzione dei Salmi ad opera dei poeti di oggi: tra gli altri, hanno
partecipato Mariangela Gualtieri e Andrea Ponso, Giuseppe Conte e Federico
Italiano, Francesca Serragnoli, Alessandro Rivali, Susan Stewart e John
Kinsella. Ne abbiamo scritto a lungo.
Insomma, è da tempo che si opera nel ring del testo biblico. Per chiudere con i
dati: nel 2010 proprio Stefano Arduini, insieme all’editore Walter Raffaelli,
hanno fondato la collana “La Bibbia” con gli stessi intenti – la pubblicazione,
libro per libro, del canone, in nuova traduzione. Erano libri deliziosi, in
formato minino, da tenere in una mano: ferine falene di carta. Sono usciti, in
quel contesto, il Cantico dei Cantici secondo Andrea Temporelli, l’Esodo secondo
Gian Ruggero Manzoni, Il libro di Giona secondo Giovanni Tuzet. Uno
scrittore-cantautore come Leonardo Bonetti avrebbe ‘musicato’ il libro di
Daniele; tra i protagonisti del progetto – di cui qualche giornale ha detto –
figurava il poeta Pier Luigi Cappello – io ho tradotto le Lamentazioni. Ma
queste sono minuzie.
Bisognerebbe, piuttosto, domandarsi se tradurre un libro biblico sia come
tradurne qualsiasi altro: se, per dire, tradurre Geremia o le lettere di
Giovanni sia come tradurre Emily Dickinson o Rimbaud. Come scriveva Edgard Wind
in Arte e anarchia, l’uso ha un suo peso: una Crocefissione appesa da secoli in
una cattedrale, che ha accolto le preghiere di migliaia di fedeli (divorandone
le intenzioni e il cuore), è diversa da una Crocefissione esposta in un museo,
sotto gli occhi di attenti – o disattenti – ‘fruitori’ d’arte. insomma: la
Bibbia ha un ‘peso’ diverso, la traduzione – come postula San Paolo – è un
carisma. Non si può tradurre senza precipitare. Il rischio di abbellimento
retorico – sempre presente nel lavorio degli artisti – è sacrilegio, è
idolatria: tradurre vuol dire scotennare, levare l’ultimo velo al Volto. Che se
ne torni inceneriti è norma.
Ma qui vado per erbe avvelenate.
Torniamo a noi. È evidente che esistano alcuni eventi culturali, alcune
avventure dello spirito, non marginali, tuttavia per sempre ignote alle ‘grandi
firme’, ostili ai ‘grandi palchi’. Sono invisibili. Rimangono paria. Frotte di
lebbrosi. Perché Luciano Canfora, parlando di una nuova, meritoria edizione
di Qoelet non ha fatto riferimento al Qoelet edito da De Piante negli stessi
mesi, rintracciabile in ogni repertorio digitale? Escludendo la malafede, resta
l’ignoranza. Se è così, è grave: è come se uno storico, organizzando i fatti,
non conoscesse una fonte autorevole.
Per il resto, basta Qoelet, cioè la beatitudine della vanità. “Non arrabbiarti:
l’ira/ alberga nel petto del vile”, dice il sapiente.
*In copertina: Memento mori, studio di cranio, XVII secolo
L'articolo La “qoeletica” ignoranza di Luciano Canfora. Vane riflessioni
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