Il primo ad unirli fu il visionario, l’anticipatore: Pier Paolo Pasolini. Fece
incontrare Alda Merini e Michele Pierri sulle pagine della rivista
“Paragone”. Era il 1953 e Pasolini scrisse un lungo articolo intitolato Una
linea orfica, in cui accostava le loro opere nel segno dell’orfismo. La
giovanissima Alda (che all’epoca aveva appena 22 anni) era rimasta abbagliata
dalla lettura del De Consolatione di Pierri, uscito per Schwarz, dove era
altresì apparso il suo Tu sei Pietro.Non sapeva nulla di lui, solo che aveva 54
anni, viveva a Taranto con la moglie e i numerosi figli ed esercitava la
professione di chirurgo.
Dopo quasi trent’anni da quell’incontro sulla carta, nel 1981, è Giacinto
Spagnoletti a favorire il loro contatto, una loro collaborazione poetica. Chiede
a Pierri di mettere mano alla produzione di Alda Merini per cercare di ottenere
una raccolta che ne segni il ritorno sulla scena editoriale.
Alda vive un momento di grande difficoltà: reduce da dieci anni trascorsi in
manicomio, completamente sola nella sua casa milanese di Ripa Ticinese: il
marito è continuamente ricoverato in ospedale e le sue quattro figlie vivono
lontane. Quando Spagnoletti pronuncia il nome di Pierri, per lei è un momento
quasi epifanico. L’idea di ritrovare il compagno di orfismo, di potersi affidare
alle sue attenzioni, la rassicura e la rallegra immensamente. E così, la sera in
cui arriva la telefonata dell’ormai ottantenne poeta tarantino, Alda lo accoglie
con una delle sue frasi leggendarie “Buonasera, Michele, sono Alda Merini. Sono
trent’anni che aspetto questa telefonata.”
Possiamo immaginare lo stupore di Michele Pierri nell’udire queste parole,
ironiche ed immediate, che attraversano i fili del telefono come saette. Il
medico-poeta è un uomo estremamente riservato, vive immerso nel silenzio e nella
concentrazione. Ha recentemente perso l’amata moglie Aminta, dopo una lunga
malattia che l’ha paralizzata a letto per undici anni, e intorno a lui si muove
una grande famiglia di ben dieci figli.
Tra Alda e Michele vi sono ben mille chilometri di distanza e 32 anni di
differenza. Lei ha 51 anni, lui 83. Ma siamo nel paese dell’anima, dove dubbi e
distanze diventano materia di confronto serrato, dialogo profondo tra poeti. Il
loro appuntamento telefonico diventa un momento di pura felicità per entrambi,
un luogo di incontro, di intima fiducia. Alle volte Alda appoggia il telefono
sul calorifero, si mette al pianoforte, e fino all’una di notte dedica a Michele
le romanze più dolci che conosce.
Pierri è profondamente colpito dalla situazione di profonda miseria in cui versa
quella poetessa milanese che lui ha sempre considerato di eccezionale valore.
L’idea che le sue figlie chiamino “mamma” altre donne, a cui sono state affidate
a seguito dei suoi ricoveri in manicomio, gli fa sanguinare il cuore. Rivolge i
suoi pensieri anche al marito, gravemente malato, che non può più sostenerla.
Tra Taranto e Milano inizia così una fitta corrispondenza nutrita di lettere,
poesie e telefonate interurbane. La loro relazione diventa di dominio familiare
a causa delle bollette telefoniche, da un milione, due milioni, quattro milioni
e mezzo di lire. Conti vertiginosi… ma quel legame è diventato troppo prezioso
perché possa finire.
Il marito di Alda, Ettore Carniti, comprende che questo è forse il germe di
un’unione più forte e ne è quasi sollevato: quel medico potrebbe essere un
importante punto di riferimento per la moglie, quando lui non ci sarà più… Ormai
piegato da un cancro ai polmoni, da un infarto e da una gamba amputata, una
sera, verso la fine, chiede ad Alda di parlare con Pierri e riesce a pronunciare
parole immense, che vanno dritte al cuore: “Le affido mia moglie, ne abbia cura
e le faccia da padre.”
L’agonia di Ettore termina il 7 luglio 1983. Alda attraversa il mare della
perdita. Gli antichi fantasmi rischiano di tornare nella sua mente ma l’intima
amicizia con Pierri, ormai nutrita da una lunga fiducia, riesce a salvarla.
Alda e Michele si concedono ora una maggiore tenerezza, sentono che possono
appartenersi, possono parlare dell’alchimia che li unisce, un’alchimia profonda
che fonde amicizia, stima reciproca, bisogno di conoscersi, toccarsi, amarsi.
Un lungo ed inedito amore telefonico sta per diventare “vera vita”?
Michele è il più prudente, sente pienamente la responsabilità che si è assunto,
ma esita a proiettarsi di nuovo al fianco di una donna. Alda, che vive i
sentimenti molto istintivamente, parla senza esitazione d’amore. “Cesare amò
Cleopatra,/ io amo Pierri divino/ che non conduce nessuna guerra,/ che è solo
condottiero di nostalgia”, scrive nelle Satire della Ripa, che esce nel 1983,
grazie al corposo lavoro di selezione operato da Pierri.
Arriviamo così al 1984: l’anno della rinascita (e non solo letteraria), che
passa attraverso La terra santa, il capolavoro di Alda Merini. Anche Michele
Pierri è protagonista di un’importante pubblicazione. Si tratta di una sua
antologia personale che raccoglie una selezione di versi composti tra il 1945 e
il 1983: il titolo è Passare il ponte da sola, con 16 inediti del 1983. Qui
compare Alda Merini, con due poesie a lei esplicitamente dedicate.
Nella poesia Ma questo nuovo aprile si legge “Il tuo seno scoperto/ una finestra
aperta/ sulla vita futura/ adorando il presente”. Pare la prospettiva di
un’unione che possa conciliare il futuro con un presente ancora vivo e
sanguinante (dove forse si cela l’amata Aminta, a cui Pierri resterà sempre
profondamente legato). Il fatto che Michele stia coltivando il definitivo
desiderio di concretizzare il loro legame in qualcosa di più che una telefonata
è confermato dall’altro componimento a lei dedicato, Due poesie: “Due poesie che
per grazia/ s’incontrano non possono/ non abbracciarsi”. Paiono le parole di un
libro già scritto… Michele la aiuta, le invia dei vaglia per salvarla dallo
sfratto e dal rischio di vedersi tagliare luce, telefono, gas. Ma le condizioni
economiche di Alda sono ben oltre la soglia critica e, un giorno, pensando di
racimolare qualche lira, subaffitta una stanza del suo bilocale a Charles, un
barbone del Naviglio. Saputa la cosa, Pierri si decide, butta il cuore oltre
l’ostacolo e le invia un telegramma di sole tre parole: “Ti sposo subito”.
Da Milano Centrale, Alda parte dunque in treno alla volta di Taranto, attraversa
l’Italia ed i mille chilometri che la dividono da Michele, l’uomo che si staglia
nella sua mente come un mito, un eroe sublime. È sedotta dalle sue qualità,
quelle che ha conosciuto nei loro lunghi convegni telefonici: la sua monumentale
rettitudine morale e la sua tendenza ascetica e meditativa. Come racconta nella
sua biografia Reato di vita:
> “Quando era venuto a prendermi alla stazione …io non l’avevo mai visto di
> persona, ma lo riconobbi subito, e anche lui perché per quattro anni ci
> eravamo ardentemente amati al telefono”.
Il 6 ottobre 1984, nella Chiesa del SS. Crocifisso di Taranto, Michele Pierri e
Alda Merini si sposano. Lui ha 85 anni, lei 53.
Per quattro anni, a Taranto, Alda fu una sposa felice. Ogni mattina Michele
arrivava nella loro stanza con il caffè, una rosa e una poesia d’amore sul
vassoio… Scrivevano, si consultavano, si recitavano versi. Quegli anni furono
tra i più creativi di Alda Merini, un momento di crescita umana e poetica, in
cui la sua maturità artistica, già attraversata da esperienze gravi e dolorose,
si coniuga ad un maggior rigore formale, certamente ispirato da Pierri.
Ogni tanto lei e Michele salivano a Milano Su quel treno di Taranto,
infinito, che Alda canterà più avanti con tanta malinconia, dopo la morte di
Pierri, avvenuta nel 1988. Rivolgendosi all’amico editore Vanni Scheiwiller,
scriverà
> Su quel treno di Taranto, infinito
> dove guarirà l’ombra della mia giovinezza
> io tornerò un giorno.
> Tornerò, Vanni, dall’amore che ho perso
> tra gli ulivi gaudenti della terra,
> tornerò presso il suo vecchio corpo…
> e quando il sole mi guariva le tempie,
> o Vanni, io pregavo il Signore
> che mi facesse morire con lui.
“Erano una coppia favolosa”, scrive Maria Corti, attenta e fondamentale
curatrice dell’opera di Merini, “poeti di rilievo entrambi, che ti venivano a
trovare, ti donavano i loro testi e ti lasciavano nelle stanze il senso di una
epifania”. È proprio questo il senso che si respira tra le righe dei versi che
Alda ha dedicato a Michele, il suo “grande guru bianco… di straordinaria
bellezza, anche se già ottantenne”, ma eterno ragazzo nel cuore:
> Forse tu hai dentro il tuo corpo
> un seme di grande ragione,
> ma le tue labbra gaudenti
> che sanno di tanta ironia
> hanno morso più baci
> di quanto ne voglia il Signore…
> E le tue mani roventi
> nude, di maschio deciso
> hanno dato più abbracci
> di quanto ne valga una messe,
> eppure il mio cuore ti canta,
> o sposo novello.
Un grande amore che si fa poesia, malgrado le maldicenze e le ipocrisie di
quanti non lo compresero “Quanta gente Michele ha messo la bocca/ tra i nostri
inguini,/ gli inguini dei nostri sogni…”. I farisei non capiranno mai cosa sia
una follia d’amore ebbe a scrivere Merini nella Mistica d’amore. Ma, dopotutto,
a poco conta il loro giudizio di fronte a questo verso: “Pierri, se morirò/
ricordati che io ebbi l’audacia di amarti”.
Marilena Garis
*In copertina: Alda Merini e Alberto Casiraghy in un ritratto fotografico di
Giorgio Matticchio
L'articolo “Ebbi l’audacia di amarti”. Alda Merini e Michele Pierri proviene da
Pangea.