Sull’arco, in pietra: D P B 1794. Rombano le cicale, alberi pachiderma – in
basso, uno fa manovra col trattore. Dopo il chiostro, davanti all’avita dimora,
stessa iscrizione, diversa la data: “ora segna una P e una B,/ una croce
sottile, un Anno Domini 1798,/ e ha finito”. Così scrive Attilio Bertolucci nel
primo, folgorante capitolo del “Romanzo famigliare” La camera da letto, poema
imperiale, difforme, “che ha la freschezza delle cose nate en plein air e la
flessibilità liquida dell’action painting” (Paolo Lagazzi); edito da Garzanti
tra il 1984 e il 1988, scandito da novemila e quattrocento versi, è uno dei
libri ‘impossibili’ della poesia italiana.
Il primo dei quarantasei capitoli in cui è suddiviso – forse il più bello –
s’intitola Fantasticando sulla migrazione dei maremmani; Bertolucci proviene da
un’antica famiglia di allevatori di cavalli trasferitasi sull’Appennino
parmense. Una nota del “Patrimonio culturale dell’Emilia Romagna” dice che i
Bertolucci sono a Casarola “fin dal 1500”; la casa è stata costruita da don
Pietro Bertolucci: domina sul minuscolo borgo, confitto tra i boschi. Il papà di
Attilio, Bernardo, diede agio alla famiglia: sagace nell’arte del commercio, fu,
tra l’altro, presidente della Banca emiliana. Attilio, il poeta, nasce nel
novembre del 1911 poco fuori Parma, a San Prospero.
Casarola, frazione di Monchio delle Corti, dista sessanta chilometri da Parma:
bisogna passare per Langhirano, poi svoltare a Corniglio. D’improvviso, i boschi
ti inghiottono – querce, faggi, castagni in regale assetto. Qualcuno, più tardi,
mi dirà dell’odore penetrante del castagno, un odore che frastornava i sogni di
Bernardo, il figlio di Attilio, il grande regista. Un cartello intima “Strada
bloccata”; bisogna andare oltre. L’abisso, ai margini della strada, spaura,
impone una vita cervide. I paesi, ora, hanno nomi araldici, non istruiti da
mappe o da gps: Svizzo, Grammatica, Riana… In una poesia devotamente nota, Verso
Casarola (raccolta in una delle raccolte più alte, Viaggio d’inverno), il poeta
cita Montebello, Bellasola e Villula. Con nitore omerico, il poeta dice di
Casarola “ricca d’asini di castagni e di sassi”, dice di un cielo in cui si
mescolano “fumo e stelle”. Una trentina i residenti, nessun negozio, la mitica
“Trattoria Tramaloni” ha chiuso qualche anno fa, all’era del covid. Per fortuna,
il cellulare non prende.
Casarola: la dimora settecentesca dei Bertolucci
Nessun poeta italiano ha stretto un rapporto così consustanziale con un luogo
come Attilio Bertolucci con Casarola. Si può dire, in effetti, che l’opera
poetica di Bertolucci sia una specie di casa padronale,che ripercorra, pietra
per pietra, la struttura – scenica e salvifica – della dimora di Casarola. Qui,
il 9 settembre del 1943, il poeta si trasferisce con la famiglia; “vi ho passato
mesi meravigliosi, nella più completa irresponsabilità”, scrive; imperava la
guerra. L’anno dopo, i tedeschi falciano l’Appennino, “erano giovanissimi, le
ultime leve che il Führer era riuscito a strappare dalle case”. Il poeta si
rifugia con i suoi alle pendici del Monte Navert; i nazisti setacciano, bruciano
case, ammazzano partigiani.
Nella casa – proprietà della Fondazione Bernardo Bertolucci dal 2015 – è
allestita una mostra di Carlo Bavagnoli, il grande fotoreporter che lavorava per
“Life”, morto lo scorso anno. Attilio, egualmente scontroso e sorridente,
passeggia per Casarola, siede su una pila di legna, legge, appollaiato sulla
poltrona dello studio. Era ‘Ninetta’, l’incommensurabile moglie del poeta, a
‘fare casa’: aiutava le donne del borgo, organizzava i lavori di restauro. Di
Attilio è restituita l’immagine di un uomo chiuso, buono fino a una sorda
severità – un patriarca. Paolo Lagazzi – il fraterno esegeta del poeta, curatore
delle Opere di Bertolucci nei ‘Meridiani’ Mondadori – ha scritto del “lato
potenzialmente saturnino (depressivo, angoscioso)”, del poeta, in gemellaggio
all’amore per la vita. “Era capace di osservazioni che avevano in sé la forza di
un’improvvisa rivelazione o di un koan zen” (così Lagazzi in un libro di
estatica potenza, La casa del poeta. Ventiquattro estati a Casarola con Attilio
Bertolucci, La nave di Teseo, 2025): un giorno, nell’agosto del 1985, Bertolucci
scocca un aforisma che riassume una poetica, “Io amo la vita, non la morte”.
A Casarola vedo la proverbiale lucertola (“emblema/ o stemma vivo/ non so se
della famiglia o dell’estate”); lo studio e la camera del poeta pullulano di
libri: erano davvero i suoi? Ne scorgo uno, Chiamalo sonno di Henry Roth; in un
articolo, Il libro per la sera – pubblicato sulla “Gazzetta di Parma” nel
dicembre del ’54 – Bertolucci parla dell’“abitudine di portarsi un libro in
camera da letto, la sera, per una lettura intima, che consoli della giornata
finita e aiuti contro la notte imminente”. Alternava Agatha Christie a Marcel
Proust, Marco Aurelio e Lao-tzu ad Anton Čechov, di cui amava, su tutto, La
steppa. Negli anni Cinquanta, Bertolucci era a Roma: abitava in via del Tritone,
in un appartamento di Roberto Longhi. Era amico di Vittorio Sereni e di Gadda;
soprattutto, di Pier Paolo Pasolini. Due settimane prima della sua morte, a
Chia, ricorda, “volle farci gustare certi vini che gli erano stati invitati dal
Friuli”. Per Guanda aveva fondato la straordinaria collana di poesia straniera
“La Fenice”; è stato consulente per Garzanti; ha diretto – con genio
‘fantastico’, extracanonico – la rivista dell’Eni, “Il Gatto Selvatico”. A
Casarola, il figlio di Attilio, Bernardo, quindicenne, scrive il suo primo
‘soggetto’, La teleferica – a quegli anni “della vocazione e dell’apprendistato”
del figlio, il padre dedicherà la poesia omonima. Quando esce Ultimo tango a
Parigi, pare che Attilio abbia sussurrato alla moglie, “questa volta finiamo
tutti in galera”.
Sul tavolo all’ingresso della sala, il panama di Attilio, un monile: chissà se
basta indossarlo per essere poeta. Il camino è enorme, inquietante – il poeta
sapeva accendere il fuoco; la poesia, d’altronde, è aruspicina verbale.
Fioccano, in abuso, gli aneddoti: lì Giuseppe Bertolucci ha abbozzato insieme a
Benigni Non ci resta che piangere; là Bernardo ha avuto l’idea di Novecento; lì
Attilio scriveva La camera da letto. Sembra di trovarsi al cospetto di una
famiglia biblica, dove non c’è discontinuità tra l’opera dei padri e quella dei
figli: conta la promessa.
Più tardi, ritornato in Romagna, in una sera in cui flottano zanzare che paiono
Sherazade, leggo a mia figlia, che ha il nome di una regina persiana, alcune
poesie di Bertolucci. Amo quella in cui il vento è paragonato al lupo, “poi,
stanco s’addormenta e uno stupore/ prende le cose, come dopo l’amore”. Le dico
che Bertolucci ha pubblicato un libro dal nome stellato, Sirio, a diciotto
anni.
Il poeta è morto a Roma venticinque anni fa, è sepolto a Parma, al Cimitero
della Villetta. Bernardo e Giuseppe, i figli, sono tumulati nel romito cimitero
di Casarola, dove imperano, come gran khan, le erbe selvagge. Da quando Attilio
Bertolucci è morto, dicono, l’aquila reale è tornata a nidificare sul Groppo
Sovrano, la parete di arenaria che sovrasta Casarola – si vede pressoché da ogni
finestra della casa dei Bertolucci. Il poeta è rinato in forma di rapace.
*
Verso Casarola
Lasciate che m’incammini per la strada in salita
e al primo batticuore mi volga,
già da stanchezza e gioia esaltato ed oppresso,
a guardare le valli azzurre per la lontananza,
azzurre le valli e gli anni
che spazio e tempo distanziano.
Così a una curva, vicina
tanto che la frescura dei fitti noccioli e d’un’acqua
pullulante perenne nel cavo gomito d’ombra
giunge sin qui dove sole e aria baciano la fronte le mani
di chi ha saputo vincere la tentazione al riposo,
io veda la compagnia sbucare e meravigliarsi di tutto
con l’inquieta speranza dei migratori e dei profughi
scoccando nel cielo il mezzogiorno montano
del 9 settembre ’43. Oh, campane
di Montebello Belasola Villula Agna ignare,
stordite noi che camminiamo in fuga
mentre immobili guardano da destra e da sinistra
più in alto più in basso nel faticato appennino
dell’aratura quelli cui toccherà pagare
anche per noi insolventi,
ma ora pacificamente lasciano splendere il vomere
a solco incompiuto, asciugare il sudore, arrestarsi
il tempo per speculare sul fatto
che un padre e una madre giovani un bambino e una serva
s’arrampicano svelti, villeggianti fuori stagione
(o gentile inganno ottico del caldo mezzodì),
verso Casarola ricca d’asini di castagni e di sassi.
Potessero ascoltare, questi che non sanno ancora nulla,
noi che parliamo, rimasti un po’ indietro,
perdutisi la ragazza e il bambino più su in un trionfo
inviolato di more ritardatarie e dolcissime,
potessi io, separato da quel giovane
intrepido consiglio di famiglia in cammino,
tenuto dopo aver deciso già tutto, tutto gettato nel piatto
della bilancia con santo senso del giusto,
oggi che nell’orecchio invecchiato e smagrito mi romba
il vuoto di questi anni buttati via. Perché,
chi meglio di un uomo e di una donna in età
di amarsi e amare il frutto dell’amore,
avrebbe potuto scegliere, maturando quel caldo
e troppo calmo giorno di settembre, la strada
per la salvezza dell’anima e del corpo congiunti
strettamente come sposa e sposo nell’abbraccio?
Scende, o sale, verso casa dai campi
gente di Montebello prima, poi di Belasola, assorta
in un lento pensiero, e già la compagnia forestiera
s’è ricomposta, appare impicciolita più in alto
finché l’inghiotte la bocca fresca d’un bosco
di cerri: là
c’è una fontana fresca nel ricordo
di chi guida e ha deciso
una sosta nell’ombra sino a quando i rondoni
irromperanno nel cielo che fu delle allodole. Allora
sarà tempo di caricare il figlio in cima alle spalle,
che all’uscita del folto veda con meraviglia
mischiarsi fumo e stelle su Casarola raggiunta.
Attilio Bertolucci
*In copertina: Attilio Bertolucci e Ninetta, photo Paolo Lagazzi; nel servizio
le fotografie sono di Diana Mazon
L'articolo “Io amo la vita”. Inseguendo Attilio Bertolucci, ovvero: storia
familiare con aquila proviene da Pangea.