Nel 1997 il “New Yorker” dedica un ampio servizio a Jorie Graham, “the most
celebrated American poet of her generation”. L’articolo, Big Poetry, è bello,
ardito, arioso. Stephen Schiff ha agio nel mostrarci la poetessa “vestita di
nero dalla testa ai piedi, con un numero sufficiente di bracciali, collane e
anelli da far venire l’ernia a una danzatrice del ventre”. Studenti, studiosi,
passanti le fanno spazio “con tenero riguardo e cenni di assenso”. Nella
fotografia che ingioiella l’articolo, la Graham ha uno sguardo colpevolmente
innocuo. Il giornalista la descrive così: “occhi vasti, vispi; fronte aperta,
bocca che sboccia nel broncio e dappertutto una massa di capelli scuri”. Alcuni
– compreso Mark Strand, il poeta – sussurrano, “è un genio”.
Nata a New York da Curtis Bill Pepper – inviato speciale per “Newsweek”,
scrittore, autore, tra l’altro, di un romanzo biografico centrato sulla vita di
Leonardo da Vinci – e da Beverly Pepper, scultrice, cresciuta a Roma, studi alla
Sorbona e alla New York University, la Graham è stata, da ragazza, assistente di
Michelangelo Antonioni: voleva fare la regista. Esordisce alla poesia nel 1980
con Hybrids of Plants and of Ghosts, subito elogiato dal “NY Times” – dissero di
“una poetessa di enormi ambizioni, dal ritmo spericolato” –; seguono libri
pressoché infallibili – The End of Beauty, 1987 e Region of Unlikeness, 1991, ad
esempio – fino al “Pulitzer for Poetry”, ottenuto nel 1996 con The Dream of the
Unified Field. “Poetry” la definisce “uno dei poeti statunitensi più noti e
celebrati della generazione post-bellica”: ogni suo libro è – per natura lirica
tellurica – un ‘caso’.
Jorie Graham, potremmo dire, esercita una politica attraverso la poetica. Per
dirla in modo più frugale, usando le parole del critico americano Calvin
Bedient, la Graham “è una campionessa mondiale nel porre le domande più
radicali… Ciò che le importa è la speranza insita nell’interrogativo, non la
risposta”. Anche l’ultimo libro, 2040, è un libro interrogativo, è un
libro-scavo – dacché ogni domanda prevede una zappa, una pala, il desiderio di
dissotterrare qualcosa interrando qualcos’altro. Scritto dal 2020, pubblicato
nel 2023, tradotto quest’anno da Crocetti, 2040 ha per interrogativo
l’estinzione dell’uomo e il massacro del creato. “Protagonista principale di
questa raccolta poetica è una speakerautobiografica che vaga, sola e
disorientata, in uno spazio avvolto nel silenzio, in limine fra un mondo che non
esiste più e a un passo dalla potenziale estinzione dell’umanità e della sua
storia millenaria”, scrive Antonella Francini, la traduttrice della Graham in
Italia, nella partecipe introduzione al libro, Il potere della memoria. Il libro
ruota intorno a una lettera Al 2040 – p.78 della versione italiana – di cocente
bellezza:
“Gli anni spinsero la loro durata in noi come lunghe
corde bagnate, e noi ci aggrappammo, ci tennero appesi per andare avanti, & in
alto, ci impedirono di annegare nei minuti terribili. Una volta mi sedetti &
piansi mentre guardavo sorgere il sole & i fiocchi cadere come ignara del
movimento dalla notte al giorno – ci sia almeno una differenza – altrimenti
qualsiasi cosa rimanda del desiderio se ne andrà – altrimenti non ci sarà
nulla di ciò che ho salvato – nulla da salvare – fate rifiorire il giorno in un
segmento di tempo – fa freddo – il sogno è cosa difficile da scorgere”
Il libro alterna parti in prosa a vertigini in versi, estreme cupezze ed estreme
tenerezze. Si vedono boschi, nevi, uccelli a sciami, sciabordio di bestie – e
malinconia, rapimento, rabbia. Pochi umani in giro.
> “Non ho nulla da offrire.
> Il mondo è sempre stato
> pronto per il mondo.
> Il fiume in secca.
> Vedo pesci sulle rive senza uccelli.
> Cuore umano, mi dico, cosa ci fai qui, questo è troppo
> per posarci
> lo sguardo.
> I pesciolini galleggiano nel salmastro.
> La corrente rallenta. Gridi di uccelli della sera come vetro infranto,
> un grido e hanno finito”.
Non è, fieramente, un poeta facile, Jorie Graham. Non è poeta di proclami, bensì
di rivelazioni e di affondi. È stata la prima donna, ad Harvard, ad aver coperto
la cattedra di “Rethoric and Oratory” che fu – tra gli altri – di Seamus Heaney.
Per capire il ‘personaggio’ – o meglio: l’impeto politico di una intellettuale
totale –: Jorie Graham è tra i produttori di The Voice of Hind Rajab, il film
che ha straziato la scorsa Mostra internazionale del cinema di Venezia – da cui
ha raccolto il Leone d’argento – e che racconta l’uccisione di una bambina
palestinese, Hind Rajab, appunto, da parte dell’esercito israeliano.
L’ultimo libro di Jorie Graham è previsto per il prossimo
anno. S’intitola Killing Spree. Il suo ‘metodo’ lirico mescola i modi di Wallace
Stevens ai toni del contemporaneo, i ‘modernisti’ alla modernità. I temi sono
quelli di oggi, urticanti: “devastazione ambientale, senso della perdita,
instabilità politica”. Credere nel potere della parola, nel segreto sussurrato
dal verbo, penso – dopo tutto, confidare con sciamanica ostinazione in un
qualche risveglio.
Mi pare che 2040 sia un libro, allo stesso tempo, potentemente poetico e
fortemente “politico”. Esprime una poetica della politica. Come è nato – e
perché?
La poesia è in primo luogo uno strumento in grado di mettere in moto l’intera
anima (“dell’uomo”), come ci ricorda Coleridge. Quindi, siccome vivo in un mondo
che va verso l’autodistruzione e siccome la poesia nasce dall’esperienza del
poeta – corpo, mente, anima – non c’è altra esperienza che possa guidare la mia
scrittura. Non ho altro corpo se non questo corpo mortale. Come ci ricorda
Aristotele, siamo per natura “animali politici”. Vorrei sottolineare questa
nostra caratteristica di mammiferi capaci di intuire nei minimi dettagli i
pericoli, anche lontani, come se li percepissimo attraverso i nostri pori. Siamo
attraversati da una profonda intuizione. Il nostro obiettivo è sopravvivere. La
poesia è uno dei grandi strumenti che lo spirito umano ha sviluppato per
esprimere e approfondire gli istinti della sua natura animale e spirituale.
Potremmo dire che i nostri millenni di poesia sono il nostro manuale
d’istruzioni per quanto riguarda ciò che serve a rimanere umani in mezzo a tutte
quelle forze – interne e esterne – che gravano su di noi allo scopo di
disumanizzarci o indurci a distruggere il resto del creato. Mi risulta che anche
il termine “umano” venga oggi messo in discussione. Abbiamo fatto così tanto
male, e continuiamo a farlo. Forse la nostra estinzione sarebbe una vera
benedizione per questa terra. Ma credo, tuttavia, che in noi esista ancora
l’istinto di provare a risvegliarci. Ecco dove la poesia e la politica si
incontrano.
Che rapporto c’è tra “politica” – nel senso ampio, greco del termine – e
“poesia”? Intendo dire: cosa significa per un poeta, per lei, “prendere
posizione”? Cosa significa per un poeta la parola “impegno”?
In questo momento, negli Stati Uniti – come altrove – proprio le parole che
usiamo implicano il rischio concreto di essere presi di mira politicamente dal
governo – se così possiamo chiamarlo. Per noi il cui mestiere ha a che fare
interamente con le parole – e con le attività palesi e occulte svolte dalle
parole nell’animo umano, nella coscienza, nella memoria, sulla realtà e il suo
senso – è strano vedere il loro potere (e la storia e l’immaginario che esse
evocano) andare in questa direzione. Proprio mentre ci stavano convincendo che
la nostra vita è interamente immersa in una “cultura dell’immagine”, l’uso di
una parola come “genocidio” può portare a essere licenziati, molestati,
arrestati o fatti sparire dalle nostre forze di polizia private e pubbliche.
L’effetto che tutto questo ha su ciò che abbiamo tra le mani quando si mette la
penna sulla carta è notevole. Nel mio nuovo libro, Killing Spree, che uscirà a
maggio negli Stati Uniti e nel Regno Unito, ci sono momenti, ovunque in quelle
poesie, in cui le decisioni che devo prendere su quali parole usare implicano
considerazioni extra-letterarie. Questo testimonia il potere di un tale mezzo
che anche nell’era dell’intelligenza artificiale restituisce la vera forza e il
vero valore a un essere umano quando pronuncia una parola nella sua condizione
vulnerabile, precaria e mortale, al contrario di un bot. Solo attraverso il
sangue e la carne le nostre parole sono “engagé”.
Vorrei entrare, come direbbe Hawthorne, nella sua “camera stregata”. Quali
immagini l’hanno ispirata durante la scrittura di 2040? Quale immaginario
linguistico? Quali “fonti”?
Abbiamo vissuto un periodo di intensa siccità – che fa in realtà da sfondo
a 2040 – mentre io mi sottoponevo a un intervento chirurgico, alla radioterapia,
alla chemio. La popolazione aviaria ha subito drastici cambiamenti durante quei
mesi. Alcune specie di alberi sono state attaccate da malattie causate da nuovi
insetti portati dai venti degli uragani che hanno messo a rischio la
sopravvivenza del nostro bioma. Mi sono ritrovata calva e sbalordita lottando
per mantenere le mie forze e salvare i “miei” alberi. Camminavo ogni giorno per
chilometri (come mi aveva consigliato la mia oncologa) e durante quelle
passeggiate nelle nostre foreste ero determinata a sopravvivere entrando in
contatto con la forza magnetica della terra sotto i miei piedi. Quasi tutte le
poesie sono state inizialmente composte mentre camminavo, tranne quelle che
considero odi – “La quiete”, “Nebbia”, “Arco temporale”, “Il visore VR”,
“Giorno” –, sorte nell’intervallo tra una seduta di chemio e l’altra, quando ero
troppo debole per camminare.
Cosa può fare la poesia nel confronto con la Storia? Che cos’è in fondo “la
poesia”?
Ci sono molte risposte a questa domanda e mi sento un po’ sciocca nel cercare di
rispondere. Ma si potrebbe dire che, fra tutti i tipi di storie che creiamo
attraverso lo scorrere del tempo e il suo evolversi mortale, tramite le sue
catastrofiche sorprese e i suoi visibili colpi di scena, la poesia è la storia
che si impegna a rivelare la vita dell’anima. Forse l’evoluzione dell’anima.
Forse la sua permanenza. Forse le sue illusioni o le sue epifanie o i suoi
‘presagi di immortalità’. Ed è meglio, forse, se si porta dietro il minor carico
possibile. Così quel carico si affida alla musica del verso per mantenere il suo
significato rapace, da scoprire, in volo, affidabile e vivo. Ecco perché devo
lavorare così tanto sulla musica – nell’originale e poi, con Antonella Francini,
riscrivendola in quella lingua miracolosa che è l’italiano.
Ritagli un pezzo di 2040 che le sembra esemplare e mi dica perché.
Le rispondo indirettamente. Oggi, in un’epoca in cui stanno scomparendo la
capacità di leggere e comprendere (la capacità di concentrazione e la capacità
di sostenere tempi prolungati), penso molto all’idea di Wallace Stevens secondo
cui “la poesia deve resistere all’intelligenza quasi con successo”. Quel quasi è
essenziale perché costringe a usare i sensi insieme all’intelletto. Cura la
dissociazione della sensibilità di cui parlava Eliot con incredibile
lungimiranza, che oggi sta distruggendo la nostra gente.
Leggo il suo nome tra i produttori di “The Voice of Hind Rajab”: come mai?
All’inizio ho dato una mano. Sembrava davvero impossibile trovare persone
disposte a finanziare quel film. Poi ho dato consigli sulla sceneggiatura,
infine sulle diverse versioni della pellicola. Le devo ricordare che io sono una
regista inappagata. Da giovane, a Roma, ho collaborato con Antonioni come
assistente alla ricerca. Ho frequentato la scuola di cinema alla New York
University. Perciò, quando ora mi viene chiesto di fornire un feedback ad alcuni
film – specialmente documentari – nelle loro varie fasi, torno a usare la mia
immaginazione cinematografica. Alcuni critici sostengono da anni che la mia
poesia sia influenzata dal cinema, in particolare dalle tecniche dell’editing e
del montaggio che ho studiato da giovane.
E ora… quale progetto di scrittura la anima?
Come ho già accennato, ho appena finito di scrivere un nuovo libro, Killing
Spree, che uscirà a maggio. È stato composto durante questi ultimi tre anni in
cui la follia di genocidio, tirannie, fame e IA estrema – sempre presenti fra
noi – hanno raggiunto un livello tale da essere in primo piano sul
palcoscenico.
*La traduzione dell’intervista è di Antonella Francini
In copertina: Jorie Graham; photo Alvaro Almanza
L'articolo “Estinguerci sarebbe una benedizione – ma possiamo provare a
risvegliarci”. Dialogo con Jorie Graham proviene da Pangea.